A causa dell’emergenza sanitaria la spesa sociale dei Comuni, come
certifica l’ISTAT, è cambiata e a fare “la parte del leone” sono
stati gli interventi per il contrasto alla povertà. Nel 2020, i Comuni hanno
dovuto affrontare un anomalo incremento dei bisogni assistenziali, a causa
dell’emergenza sanitaria e della conseguente crisi sociale ed economica e per
questo è aumentata del 72,9% (da 555 a 959 milioni di euro) la spesa per l’area
povertà, disagio adulti e persone senza dimora (dal 7,4% al 12,2% della spesa
complessiva). In forte crescita i contributi a sostegno del reddito: 377.000
beneficiari nel 2020, mentre 743mila sono stati i beneficiari dei buoni spesa
per emergenza alimentare (21.500 nel 2019).
Ma anche il Report dell’ISTAT relativo alla spesa dei
comuni per i servizi sociali (anno 2020) certifica inoppugnabilmente il divario
territoriale tra il Nord e il Sud del Paese. A partire dalle risorse economiche che i
Comuni hanno utilizzato nell’anno per i servizi sociali in rapporto alla
popolazione residente: mediamente la spesa sociale dei Comuni del Sud,
pari a 66 euro pro-capite, è la metà rispetto alla media nazionale e poco più
di un terzo rispetto al Nord-est (184 euro). Il Nord-ovest e il Centro,
invece, si attestano su 145 e 141 euro rispettivamente, al di sopra della media
italiana (132 euro), su cui converge la ripartizione delle Isole, ma con due
situazioni molto differenti: da un lato la Sardegna, che ha una spesa
pro-capite fra le più alte in Italia (283 euro pro-capite) e dall’altro la
Sicilia, con un valore decisamente inferiore (82 euro).
“La spesa pro-capite media al Sud– si legge nel Report dell’Istat– è
al di sotto del dato nazionale per tutte le tipologie di utenza, a eccezione
dell’area <Immigrati, Rom, Sinti e Caminanti>. Questo si traduce in 155
euro in meno in media per ciascun minore residente, 917 euro in meno per una
persona con disabilità (bambino o adulto fino a 64 anni), 49 euro in meno per
l’assistenza agli anziani, 14 euro in meno per le persone in età lavorativa,
utilizzati nei casi di povertà ed esclusione sociale. Solo in relazione agli stranieri
residenti i Comuni del Sud destinano mediamente più risorse ai servizi per gli
immigrati (15 euro l’anno) rispetto alla media nazionale”.
Entrando nel dettaglio dei servizi, il Rapporto ISTAT certifica,
ad esempio, che quasi il 30% dei Comuni del Mezzogiorno non offre il
servizio di assistenza domiciliare agli anziani in condizioni di fragilità,
che prevede un supporto per la cura della persona e dell’abitazione. Al Centro
i Comuni che non offrono questo tipo di assistenza sono invece meno del 15% e sono
meno del 10% al Nord, dove per altro vengono erogati voucher, assegni di cura e
buoni socio-sanitari agli anziani non autosufficienti da più del 70% dei
Comuni, contro il 33% dei Comuni al Centro, il 12% al Sud e il 13% nelle Isole.
Qui il Report integrale dell’ISTAT: https://www.istat.it/it/files//2023/04/report-spesa-sociale-comuni-2020.pdf.
E qualche giorno fa era stato il Rapporto “I
servizi sociali territoriali: Analisi delle variazioni 2015-2019 e confronti
fra i singoli comuni” realizzato dall’Osservatorio Nazionale
sui Servizi Sociali Territoriali del CNEL (ONSST) in cooperazione con l’Alma
Mater Studiorum – Università di Bologna, Dipartimento di Scienze
Aziendali a certificare che tra le regioni esistono differenze
a livello pro-capite di oltre venti volte fra il territorio che spende meno, la
Calabria (45 milioni), e quello che spende di più, la Lombardia (1.336 mln).
I livelli di spesa pro-capite più elevati si registrano nei territori delle
regioni autonome di Trentino-Alto Adige (€ 416) con una punta massima di € 583
per la provincia autonoma di Bolzano, Friuli-Venezia Giulia (€ 275), Sardegna
(€ 253) e Valle d’Aosta (€ 217). Solo dal quinto posto in avanti si collocano i
territori delle regioni a statuto ordinario, a partire dall’Emilia-Romagna (€
177), Liguria (€ 144) e Lombardia (€ 141). A livello pro-capite il Sud spende
meno della metà del Nord-est, con soli 59 euro: Calabria (€ 24), Basilicata (€
55) e Campania (€ 56) sono agli ultimi posti. Documenti da
scaricare: CNEL_Rapporto SERVIZI SOCIALI2023_30marzo2023.
Cinquant’anni fa il meridionalista Pasquale Saraceno pronosticava
che il divario tra Nord e Sud sarebbe stato colmato nel 2020.
Purtroppo non è andata affatto così. E l’Autonomia differenziata, come
si denuncia da più parti, a partire dal Movimento 24 AGOSTO per
l’Equità Territoriale, è un grande pericolo perché non solo non
affronta la sostanza del divario tra Nord e Sud, ma si adopera per aggravarlo
pesantemente, avviando di fatto la distruzione dell’Italia nella
sua unità perché scava un solco profondo tra Nord e Sud sui grandi servizi come
sanità pubblica e scuola pubblica statale: https://movimentoequitaterritoriale.it/.
Per bloccare questo progetto di Autonomia differenziata bisogna
cambiare buona parte del Titolo V della Costituzione sciaguratamente riformato
nel 2001, in particolare gli articoli 116 e 117. E’ quanto si propone di fare
una proposta di legge di iniziativa popolare di revisione
costituzionale.
Si può firmare anche per via digitale, con lo Spid. Per
conoscere e firmare la proposta di legge: www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it
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