Nonostante
sia assurta alla notorietà internazionale in qualità di sesta potenza economica
mondiale (per Pil), la California annovera anche uno dei più elevati livelli di
sperequazione degli Stati Uniti, a loro volta conosciuti in tutto il mondo per
le fortissime disuguaglianze interne che li caratterizzano. Stando alle stime dello
Us Census Bureau, qualcosa come il 12,3% della popolazione californiana
vivrebbe al di sotto della soglia di povertà, in conseguenza dell’aumento
incontrollato del valore delle abitazioni e, di conseguenza, degli affitti.
A San
Francisco, che il popolare sito «Numbeo» pone alla dodicesima posizione nella graduatoria
delle città più costose al mondo, il prezzo delle case è aumentato del 66% dal
2010 al 2015, a fronte del 50% registrato da un colosso di gran lunga più
rilevante come New York.
Nel 2016, un anonimo ingegnere che lavorava per Twitter denunciò al «Guardian» che non
riusciva a tirare avanti con uno stipendio annuo di 160.000 dollari, in ragione
del fatto che per affittare un monolocale occorrevano 3.000 dollari al mese;
per un appartamentino dotato di due camere, l’affitto saliva a 5.000 dollari.
Attualmente, si calcola che per affittare una singola
stanza a San Francisco occorrano tra i 2.800 e i 4.200 dollari al mese nelle
zone centrali, e tra i 2.000 e i 3.000 nelle aree periferiche. Allo stesso
modo, un appartamento in centro costa in media tra i 10.000 e i quasi 13.000
dollari per metro quadro; in periferia, tra gli 8.600 e i 15.000 dollari.
Naturalmente, i costi delle altre voci che esercitano un peso cruciale sul
costo della vita (cibo, vestiti, bollette, trasporti, educazione) risultano
grosso modo allineati a quelli connessi agli immobili.
«Numbeo» stima che un singolo individuo sia chiamato a sostenere in media spese
mensili pari a 1.327,9 dollari, affitto escluso. Per una famiglia composta da
quattro persone, l’esborso sale a 5.155 dollari – anche in questo caso senza
considerare l’affitto. Nel complesso, San Francisco risulterebbe del 33,3% più
cara rispetto a Milano; i suoi affitti, del 129,4% rispetto al capoluogo
meneghino e del 5,4% maggiori rispetto a quelli di New
York.
Nel
settembre del 2017, l’autorevole Public Policy Institute sottolineava che i californiani
pagavano affitti del 47% più onerosi rispetto alla media statunitense pur
percependo salari del 18% più elevati rispetto agli standard nazionali. Salari,
beninteso, la cui crescita media era già allora trainata dal segmento
relativamente esiguo che riunisce i manager delle grandi imprese hi-tech;
le retribuzioni percepite dai membri dei consigli di amministrazione delle
società della Silicon Valley risultava in altre parole talmente imponente da
compensare alla sostanziale stagnazione dei salari che si registrava in gran
parte degli altri settori sin dai primi anni ’80.
Così, in California, «più di un terzo degli affittuari afferma di trovarsi
sotto forte pressione finanziaria (36%). Allo stesso modo, circa un terzo dei
californiani di età compresa tra i 18 ei 34 anni (33%) e quelli di età compresa
tra 35 e 54 anni (29%) sono sottoposti a forti pressioni finanziarie imputabili
ai costi abitativi. Questa situazione vale in misura maggiore per i Latinos
(55%) e gli afroamericani (54%), rispetto agli americani di origine asiatica
(48%) e ai bianchi (39%)».
Il
prevedibile risultato è consistito in una fuga generalizzata dei cittadini
comuni dalla metropoli, dove si contano oggi più cani che bambini, le minoranze
etniche sono sempre più esigue e coloro che svolgono lavori tradizionali
(autisti di autobus, camerieri, ecc.) lamentano di essere trattati come «cittadini
di seconda classe». Una parte considerevole di questi ultimi si vede non di
rado costretta a trovare alloggio per strada, e ciò concorre a spiegare perché la California ospiti
attualmente circa il 30% di tutti i senzatetto registrati a livello nazionale e
circa la metà degli homeless privi di un rifugio in cui
trascorrere la notte di tutto il Paese.
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