“L’acqua la insegna la sete”, è un verso di una poesia di Emily Dickinson del 1859. Nel 2023, invece, il rapporto ONU relativo al fabbisogno idrico del pianeta, pubblicato in occasione della Giornata Mondiale dell’acqua del 22 marzo scorso, evidenzia che in questo momento sul pianeta 2 miliardi di persone non hanno acqua sicura da bere; con la previsione che nel 2050 saranno 5 miliardi le persone che non avranno accesso all’acqua potabile; e il 2050, per quelli nati dal 2000 in poi, significa “dopodomani”.
In questo primo periodo dell’anno, in Italia si è registrato in media il
18% in meno di precipitazioni rispetto allo stesso periodo dell’anno
precedente. È scaduto il 17 aprile il bando della Regione Marche per i ristori alla
perdita delle produzioni agricole, dovute alla siccità del 2022. Palese
evidenza che la crisi climatica in corso non è una fantasia
del canale/blog specializzato in fake-news ByoBlu, nè un’invenzione
dell’ipotizzata “associazione a delinquere” (secondo la Procura di Padova) di
cittadini di Ultima Generazione che si battono per la giustizia climatica;
ma un fatto scientifico in corso, che si ripercuote
sull’attività economica delle imprese agricole; e che arriva anche nel
“paniere” della spesa, con il rincaro dei prezzi (già 10,8%
per la frutta e dell’11,8% della verdura).
Diverse Regioni, già da gennaio sono in conclamata crisi idrica, e si profila una
situazione peggiore di quella del 2022; la Regione Veneto, il 14
marzo ha emanato già un’ordinanza su “Carenza di disponibilità idrica nel
territorio della Regione”. Non molto differente la situazione della
Regione Marche, in cui già le sole perdite della rete idrica sono
pari al 34% dell’acqua immessa (Istat 2023). I dati del “monitor siccità”
dell’ASSA Marche, forniscono un quadro classificabile come “moderatamente
siccitoso” fino ad aprile, con una situazione più positiva nel
centro-nord. La scorsa estate la situazione fu critica: fioccarono le
ordinanze dei sindaci marchigiani, che prescrivevano misure per limitare l’uso
pubblico e privato dell’acqua. Oltre a richiamare i cittadini alla sobrietà
nell’utilizzo dell’acqua, si impediva il prelievo, o limitava l’uso per: irrigazione
e annaffiatura di orti, giardini e prati; lavaggio di aree cortilizie,
piazzali, veicoli a motore; riempimento di piscine su aree private (ma non quelle
delle attività economiche turistiche o sportive, ndr); usi diversi da quello
alimentare domestico, per l’igiene personale e per l’abbeveraggio degli
animali. Una situazione che, in vista dell’estate prossima, ha tutte le
condizioni per replicarsi. È giusto chiedere sacrifici ai cittadini. Ma
c’è un settore del sistema produttivo in Italia, al quale però su questo tema,
non viene chiesto alcun “sacrificio”. Specie in un periodo come questo,
dove in alcune zone del Paese, l’uso dell’acqua viene razionato e molti
cittadini vengono riforniti con le autobotti (questo, senza aspettare l’estate,
è già avvenuto a gennaio scorso in alcuni centri del Piemonte). Ed è
quello dell’industria dell’acqua minerale, che preleva l'”acqua bene comune”
dal sottosuolo e dalle sorgenti.
Il business delle acque in bottiglia
Le scienze geologiche ci spiegano che i fiumi, per avere un loro
equilibrio, debbono vivere nel loro rapporto con le falde che sono sotterranee;
se si emunge troppo, il livello delle falde si abbassa talmente tanto, che
prima che si ricarichino ci impiegano un tempo troppo lungo; noi usiamo, o
meglio beviamo, acqua fossile, che è piovuta anche centinaia di anni fa, e che
quindi è risorsa idrica che è andata a caricare i nostri serbatoi sotterranei
con un tempo lungo. Siccome specie in questo periodo, complice anche la
siccità, si sta emungendo in maniera straordinaria, quelle falde non si
ricaricano più nei tempi e nei modi “normali”.
Il business delle acque in bottiglia garantisce enormi
profitti ai privati e somme irrisorie alle Regioni. Ad esempio, l’ultimo
bilancio di Rocchetta Spa, certifica nel 2020 ricavi per 56,4 milioni di euro,
e utili per 1,6 milioni a fronte dei quali, in base ai dati forniti dalla
Regione Umbria, l’azienda ha pagato poco più di 445mila euro per lo
sfruttamento delle sorgenti di Gualdo Tadino, dove da anni va avanti indomita la
battaglia civile e giudiziaria della locale Comunanza Agraria contro lo
sfruttamento delle risorse idriche, a seguito delle concessioni date dal Comune
e dalla Regione alla multinazionale dell’acqua minerale. Per l’emungimento,
infatti, le società versano pochissimo. Lo confermano i dati del 2020 (da
un’inchiesta di Altreconomia): sono stati emunti circa 17,9
miliardi di litri d’acqua, mentre i canoni corrisposti alle Regioni ammontano a
poco meno di 18,8 milioni di euro. Ed è un dato parziale, perché non tutti gli
enti regionali hanno fornito dati. C’è infatti molta reticenza, perché emerge
che le aziende pagano pochissimo la materia prima che sta alla base della loro
attività: un litro d’acqua viene pagato nell’ordine dei millesimi di euro, una
cifra quasi virtuale (la media italiana per litro emunto nel 2020, ma mancano i
dati di 7 Regioni, è di 0,0007 €). Pensiamo poi che quella stessa
acqua, una volta imbottigliata e distribuita, viene venduta tra i 20 centesimi
e i 2 euro al litro. Il sistema è regolato da concessioni per l’emungimento,
spesso di natura ultradecennale, che le Regioni stabiliscono con i privati. A
determinare l’importo concorrono due fattori: un canone relativo alla
superficie di territorio dato in concessione, e uno commisurato alla quantità
d’acqua emunta o imbottigliata.
Il caso della Marche
Nelle Marche, le concessioni a soggetti privati per l’emungimento di acqua
ai fini della sua commercializzazione, sono regolate da una legge del 1982, la n. 32:
“Disciplina della ricerca, coltivazione ed utilizzazione delle acque minerali e
termali nella Regione Marche”. La durata delle concessioni è di 20
anni, con possibilità di proroga per altri 30 anni. Si può osservare come nelle
Marche non si sia mai proceduto al rilascio, o al rinnovo, attraverso una
procedura pubblica di avviso o gara. Nel caso di nuove richieste, l’avvio
del procedimento delle istanze presentate dai soggetti interessati, viene pubblicato
sia su BUR, che su albo pretorio del Comune interessato. Per quanto riguarda
l’utilizzo di acque termali, le concessioni sono perpetue.
Altro aspetto “singolare”, è che il privato certifica alla Regione Marche
l’emungimento in “autolettura”, un po’ come per l’uso domestico. Tutte le ditte
titolari di concessioni minerarie di acque minerali e termali sono tenute a
dotarsi di contatore per misurare le portate prelevate; le quote dovute per
l’imbottigliamento vengono pagate a conguaglio in base alle fatture emesse
dalle aziende, in cui si evincono i litri e le tipologie volumetriche dei
recipienti, e il materiale utilizzato per l’imbottigliamento e la
commercializzazione (vetro, plastica). La Regione, semmai, procede
a campione nel fare dei sopralluoghi di verifica della corrispondenza tra
misurato e dichiarato. Mentre, nel caso dell’acqua potabile a uso domestico, il
personale della società territoriale, viene sempre periodicamente a leggere il
nostro contatore.
La legge disciplina anche l’aspetto economico; ogni azienda versa una royalties che
è composta da due voci: una quota parte relativa al diritto di superficie, e
un’altra data dai litri imbottigliati. Da questo si può dedurre come non venga
pagata la probabile quantità, seppur minima, di acqua dispersa.
Nello specifico: il concessionario corrisponde alla Regione un diritto
annuo anticipato proporzionale all’estensione della superficie accordata in
concessione pari, per ogni ettaro o frazione di ettaro, a:
a) euro 120,00, per le concessioni relative ad acque minerali
naturali e di sorgente che utilizzano oltre 25 milioni di litri/anno destinate
all’imbottigliamento;
b) euro 60,00, per le concessioni relative ad acque minerali
naturali e di sorgente che utilizzano meno di 25 milioni di litri/anno destinate
all’imbottigliamento;
b bis) euro 30,00 per le concessioni relative ad acque minerali
naturali e di sorgente che utilizzano meno di 5 milioni di litri/anno destinate
all’imbottigliamento;
c) euro 20,00, per le concessioni relative ad acque minerali ad uso
termale.
Zeri virgola
Relativamente alla quota parte di acqua commercializzata, il titolare della
concessione ad eccezione di quella esclusivamente destinata a cure termali,
corrisponde alla Regione un diritto annuo commisurato alla quantità imbottigliata
e pari, ogni mille litri, a euro 1,25 dal 1° gennaio 2010. Questa tariffa, pari
a 0,00125 euro per litro d’acqua emunta, e poi messa in
vendita, non è stata più aggiornata da tredici anni. C’è però un incentivo alla
ecosostenibilità: se l’acqua viene imbottigliata in vetro, anziché
plastica, c’è una riduzione del 30% della tariffa mobile,
per cui diventa 0,000875 euro per litro d’acqua.
“Zeri virgola”, che sono cifre quasi immateriali dal punto di vista della
vita comune; un po’ come quando si deve provare a dare un senso pratico alla
quantità monetaria del “bilione” o del “trilione”. Confrontando questa tariffa,
con quella applicata ad esempio da Vivaservizi – gestore della provincia di
Ancona – a una famiglia di quattro persone, che statisticamente consuma circa
180 mc d’acqua all’anno (180.000 litri), vediamo che a casa paghiamo 0,00159
euro al litro. Insomma l’acqua ad uso domestico è più costosa
rispetto a quella emunta dal sottosuolo, e venduta per profitto aziendale.
Nomi, tariffe e greenwashing
Quali sono le aziende concessionarie che imbottigliano acqua? Industrie Togni (Acqua
Frasassi) di Serra S. Quirico (due sorgenti, San Cassiano a Fabriano e Piagge
del Prete a Genga), Società Fonti di Palme a Fermo, S.A.G.M.A. a Montefortino,
San Ruffino ad Amandola, Sarnano Terzo Millennio (due sorgenti), S.I.B.E. ad
Ussita, Nerea a Castelsantangelo sul Nera, Blu Service a Fossombrone, Galvanina
ad Apecchio, Viti Oriana a Cagli (sorgente Calvagna). Le concessioni sono tutte
attive con scadenze che arrivano anche fino al 2047, tranne per tre
recentemente scadute, ma di cui risulta il rinnovo in corso (Fonte di Palme,
S.A.G.M.A. e San Ruffino). Per quanto attiene ai dati economici del 2022,
complessivamente hanno versato alla Regione un canone base di € 61.046 (sono
comprese anche le concessionarie di sorgenti termali), e un canone per
l’imbottigliato di € 390.791 (ma devono versare ancora in diversi). Completo il
dato 2021, pari a € 611.696; c’è da osservare che però le società S.A.G.M.A.,
San Ruffino, Sarnano Terzo Millennio e Viti Oriana, non versano il canone
imbottigliato dal 2017; qui si può solo benevolmente presupporre che in questi
anni, queste imprese non abbiano emunto, imbottigliato e commercializzato.
Entrando più nello specifico, si evince che la quasi totalità dell’incasso
derivante dal canone imbottigliato nella Regione, lo fanno le Industrie Togni e
Nerea. Riprendendo il dato relativo alla tariffa di 0,00125 euro per litro
emunto, e ipotizzando che tutta l’acqua sia imbottigliata in plastica, proviamo
ad andare proprio nel dettaglio. Le Industrie Togni nel 2022 hanno versato di
canone imbottigliato € 4.315,18 per la sorgente di San Cassiano e € 386.476,60
per quella di Genga. Facendo un semplice calcolo aritmetico, l’acqua emunta
sarebbe pari a 312.632.944 litri. Va sottolineato che Industrie Togni è l’unica
tra le imprese ad aver versato il canone nel 2022. Per le altre, quindi,
dobbiamo riferirci all’anno precedente, ovvero il 2021. La società Nerea ha
versato € 75.000 per 60.000.000 di litri emunti. La Galvanina ha versato €
85.516,44 per 68.413.152 di litri emunti. La Blu Service ha versato € 2.695,74
per 2.156.592 di litri emunti. La SIBE di Ussita ha versato € 7.982,11 per
6.385.688 di litri emunti. La Fonte di Palme ha versato € 1.018,71 per 814.400
litri emunti. Complessivamente, nel 2021 nelle Marche, l’industria dell’acqua
minerale ha emunto dal sottosuolo, imbottigliato e commercioalizzato
489.357.360 di litri d’acqua. Risorsa che, essendo acqua di sorgente e falda,
dovrebbe considerarsi pubblica e “bene comune”.
Invece il canone fisso, versato alla Regione dai concessionari delle
sorgenti a uso termale, è complessivamente di € 61.046,33; due di queste
imprese, le Terme di Carignano a Fano, e quelle dell’Aspio a Camerano, godono
di concessioni perpetue. Le altre imprese che nelle Marche hanno concessioni
termali sono: Terme San Vittore a Genga, Soc. Wellness & Resort a Camerano,
Nuove Terme di Acquasanta Terme, Sarnano Terzo Millennio, Azienda Specializzata
a Tolentino, Gestione Spedalità Private a Carignano, Terme di Macerata Feltria,
Bellisio Solfare Terme a Pergola, Terme di Riccione a Petriano e Comune di San
Lorenzo in Campo.
In conclusione di questa piccola inchiesta sulle concessioni delle acque
minerali e termali della Regione Marche, i commenti da fare sono ben pochi,
così come le valutazioni. I dati parlano da soli. E il fatto che
questi nelle Marche siano pubblicamente consultabili dal sito istituzionale
della Regione, non è poca cosa. Andando sui siti di gran parte di
queste aziende, c’è immancabile il link dell’impegno ecologico
dell’impresa, una sorta di decalogo del greenwashing; in
quanto, il vero impegno ambientale sarebbe quello di pompare meno acqua,
facendo meno business. Ma quello che è veramente scandaloso è che
ai cittadini dei territori dove viene prelevata l’acqua ai fini commerciali
privati, non ritorni nulla, neanche il poco che queste aziende versano
come royalties (che vanno alle Regioni e non ai Comuni);
imprese che, quando va bene, si puliscono la coscienza con qualche sponsorizzazione
paesana, una rotatoria, o la fornitura di bottigliette di plastica per
qualche evento pubblico. In fondo, è come se chi abita in un Comune dove c’è
un’impresa di acque minerali, venisse rapinato due volte.
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