La sanità oltre la privatizzazione - Gianluigi Trianni, Aldo Gazzetti
1.
Lo scopo di queste note non è definire il quadro sistemico, economico e
patrimoniale della sanità privata in Italia, ma richiamare l’attenzione, anche
tramite semplici ricerche empiriche, sull’attuale e avanzata fase di trasformazione
del “privato in sanità” in termini di privatizzazione, concentrazione di
capitali e finanziarizzazione, tipologie che al contempo coesistono e tendono a
soppiantare quelle preesistenti. Il rischio, infatti, che sia l’economia –
cioè “il mercato”, cioè “i mercanti” – a guidare la politica in sanità in
Italia è tra il certo e l’immanente.
Quanto segue
prende spunto e attualizza il nostro intervento alla presentazione a Modena del
libro Privatocrazia di C. Cordelli nel dicembre 2022. Il libro,
la cui lettura consigliamo, affronta, in ottica di filosofia politica e del
diritto, il tema dell’evoluzione dello Stato da strumento volto alla
gestione imparziale degli affari comuni, tramite un sistema di cariche
pubbliche, a strumento di co-responsabilità e co-amministrazione
pubblico-privato. Di tale approdo evidenzia i problemi di legittimità
democratica. Segnala, infatti, l’autrice che la privatizzazione delle funzioni
pubbliche, infatti, specialmente quando assume un carattere sistematico e quando
coinvolge organizzazioni a scopo di lucro, compromette “l’autogoverno
democratico”. La privatizzazione sistematica a favore di organizzazioni che
perseguono fini di lucro «non solo trasferisce poteri, responsabilità e
discrezionalità significative ai privati, ma allo stesso tempo compromette
ciascuna delle tre condizioni di autogoverno, rappresentanza e indipendenza
reciproca che servono a legittimare l’esercizio di quei poteri e responsabilità
(della pubblica amministrazione, ndr) riproducendo così il problema
del dominio privato all’interno dello stato amministrativo».
In Italia,
sia nei settori “ospedalieri” che in quelli “territoriali” che in quelli dei
servizi di supporto all’assistenza sanitaria, si è assistito alla progressiva
sostituzione della piccola e locale imprenditorialità familiare/professionale (strutture
private a base familiare fondate e gestite da pneumologi, ginecologi,
laboratoristi, radiologi e anche medici di medicina generale) con
sempre maggiori entità imprenditoriali. Entità imprenditoriali prima
nazionali e successivamente anche multinazionali, sia per la trasformazione di
gruppi nazionali italiani in imprese multinazionali (cfr. KOS di De Benedetti)
sia per espansione nel mercato della sanità italiano di multinazionali europee.
«La ricerca sulla “finanziarizzazione della salute” descrive questo processo
come la trasformazione del finanziamento e della prestazione sanitaria in
investimenti finanziari e la correlata partecipazione degli attori finanziari
nel settore» (Cordilha). Anche in Italia gli attori finanziari, ad
esempio i fondi assicurativi, agiscono da tempo nella sanità. La fase attuale,
tuttavia, si distingue per il loro ruolo centrale e prevalente nel guidare i
cambiamenti strutturali nella sanità pubblica e privata, e beneficiarne.
In Italia il
Servizio sanitario Nazionale opera in un contesto di politiche economiche
neoliberali, come del resto i sistemi sanitari pubblici della Unione Europea, e
in grandissima prevalenza in tutti i continenti dalle Americhe del Nord e del Sud,
all’Africa, all’Asia, all’Oceania. È in questo quadro che si inserisce il definanziamento
del SSN stabilito dal Governo Meloni e dalla sua maggioranza con
la legge n. 197/2022 (Bilancio di previsione dello Stato per
l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio
2023-2025). A fronte delle evidenti carenze di personale per decine di
migliaia di addetti e di strutture assistenziali per migliaia di edifici
(fattori produttivi entrambi gravemente sottostimati sia dalle previsioni del PNRR
che dagli obsoleti decreti ministeriali 70/2015, sugli standard
dell’assistenza ospedaliera, e 77/2022, su quelli “territoriali”) nonché dei
debiti accumulati dal SSN durante la pandemia Covid 19 e indotti dalla crisi
energetica in corso, sono stai stanziati per la sanità, dal 2023 al
2026, fondi inferiori non solo alle necessità di ripiano richieste
dalle Regioni, ma anche alla crescita dell’inflazione e del PIL nominale. È
appena il caso di ricordare che con il “Documento per incontro 7
marzo 2023”, la cui premessa è “Il sottofinanziamento del SSN: un
problema che viene da lontano”, le Regioni avevano prospettato
un fabbisogno aggiuntivo tra i 20 e i 40 miliardi l’anno (sia pur tramite il
confronto con altri paesi europei che gli scriventi ritengono opinabile per i
diversi sistemi di sanità pubblica)!
Questa la contestualizzazione, tanto sintetica quanto non esaustiva, necessaria a inquadrare la discussione sulla privatizzazione della sanità in Italia...
Una riflessione sulla
sanità pubblica - Umberto Franchi
Nel lontano 1978, a
seguito di una lunga stagione conflittuale con vaste lotte operaie,
studentesche e di popolo… fu fatta la legge, la n. 833 basata sulla
Universalità, uguaglianza, equità di trattamento dei cittadini, in osservanza
di un nuovo concetto di salute che prevedeva la globalità
dell’intervento sanitario, con la centralità dell’azione preventiva, l’
uniformità territoriale, l’unitarietà del sistema, la controllabilità e
la partecipazione democratica “dal basso”, il
finanziamento tramite la fiscalità progressiva generale.
Il nuovo Servizio Sanitario
Nazionale ( SSN) con la legge n. 833, permise di superare la
frammentazione per Zone e Categorie mutualistica dell’assetto precedente, ed
affermare il principio dell’universalità e dell’eguaglianza con la prevenzione
nei territori , nell’accesso ai servizi, attuando i principi presenti
nella nostra carta costituzionale, a partire dagli articoli 2; 3, 2°
comma; 32, con l’affermazione della Repubblica «tutela la salute come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e
garantisce cure gratuite agli indigenti».
Negli anni ‘70 ero un giovane
sindacalista della CGIL che dirigeva la categoria dei tessili e dopo dei
lavoratori chimici. Con l’entrata in vigore della legge 833, vennero
costituiti i servizi di medicina del lavoro delle USL composti da medici e
tecnici, con i quali facevamo assieme le assemblee con i lavoratori delle
fabbriche e per ridurre gli infortuni , partivamo sempre dalla valorizzazione
delle soggettività dei lavoratori nei gruppi di lavoro omogeni, ciò al
fine di individuare i rischi, successivamente i tecnici procedevano alla
indagine sugli impianti e sui luoghi di lavoro, i medici effettuavano le visite
mirate in base ai rischi esistenti ed infine si apriva un confronto con
la direzione aziendale per contrattare (spesso tramite le lotte conflittuali)
gli investimenti da destinare alla prevenzione e sicurezza nonché tutta
l’organizzazione del lavoro, degli orari di lavoro, degli investimenti da
effettuare, del come e del per cosa si lavora… con il rifiuto di ogni forma di
lavoro a rischio.
Mentre oggi, siamo tornati molto
indietro con una media di tre morti al giorno sul lavoro… con la
maggioranza dei datori di lavoro i quali pensano che la prevenzione e
sicurezza sul lavoro sia un costo da ridurre al minimo… quindi fanno fare
la valutazione dei rischi come previsto dalla normativa “Testo Unico Sulla
Sicurezza”, sulla carta, in termini burocratici senza interventi tesi a prevenire
gli incidenti; cercano di ridurre tutti i costi del lavoro, senza fare
investimenti di prevenzione sugli impianti e spesso per incrementare la
produzione tolgono anche i dispositivi di sicurezza esistenti; cercano di
incrementare carichi e ritmi di lavoro, assumano i lavoratori in modo precario
senza formazione, fanno fare ore di straordinario per non assumere nuovo
personale con affaticamento e maggiore stress da parte dei dipendenti.
Occorre quindi rilevare che quello che è
avvenuto in termini di arretramento con la mancata sicurezza nei luoghi di
lavoro è strettamente legato alle successive trasformazioni ed indebolimento,
con i tagli d spesa nella Sanità Pubblica.
Lo scenario attuale
che vede l’Italia maglia nera nella UE con un 15% in
meno nella spesa per la Sanità Pubblica e ben il 50% i meno della
Germania, è il frutto di un’inversione di rotta, rispetto ai valori comuni
collettivi degli anni 70 che aveva portato alla riforma sanitaria del 1978,
con le nuove politiche di welfare attuate partire dalla fine
degli anni 80 del secolo scorso.
In particolare la sanità è
stata un ambito privilegiato di applicazione di nuovi modelli liberisti ancora
in vigore.
C’è stato un gran martellamento ideologico tramite i mass/media
sponsorizzati dalla Confindustria e con nuovi interlocutori del
capitalismo mondiale, (come la Banca Mondiale, grandi imprese farmaceutiche
multinazionali, a cominciare da Big Pharma, e le società finanziarie
legate alle assicurazioni private), nelle scelte dei vari governi nelle politiche
sanitarie ed economiche in funzione del privato.
In questo contesto, hanno
convenuto sulla necessità di ridimensionare le attività pubblica a favore degli
interessi privati, tutti i governi di centrodestra e centrosinistra che
si sono succeduti negli anni. Sono state così attuate strategie
orientate a una generale riconfigurazione dell’intervento dello Stato rispetto
al mercato, con minor tutela dei diritti sociali, a un ridimensionamento dei
servizi collettivi di welfare pubblico, all’introduzione di un maggior peso di
attività e soggetti privati nell’ambito delle attività di cura.
Il capitalismo in chiave
neoliberista si è sviluppato (ed ha vinto) nella sanità pubblica
soprattutto a partire degli anni Novanta, con le attività la prevenzione
nei luoghi di lavoro, come le cure sanitarie e l’assistenza ai più fragili,
che sono state ridotte con ingenti tagli alla sanità pubblica, (ben 15 miliardi
negli ultimi 17 anni) e sempre più fornite nella forma di
merci comprati sul mercato del “privato è bello”, da quanti hanno capacità di
spesa, anziché di diritti garantiti dallo Stato sociale.
Mercato e concorrenza sono
diventati «il pensiero dominante delle politiche sanitarie» anche e
soprattutto del governo di Meloni che ha stanziato una cifra irrisoria di
1,9 miliardi, che sono utili solo per fronteggiare gli incrementi
di luce e gas che si sono verificati negli ultimi sei mesi.
Quello che scontiamo oggi in
Italia è anche il processo dell’affermazione dell’ingresso del capitale privato
nel campo della sanità, che ha coinvolto supinamente, anche le
OO.SS., andando a contrattare nei rinnovi dei CCNL, il welfare aziendale
al posto degli incrementi salariali sulla busta paga.
Si sono così affermati processi inediti regressivi,
nell’ambito della salute e della sanità, come in altre attività di cura,
istruzione e assistenza, pensioni.
Occorre dire che anche le gravi
difficoltà che si sono mostrati nella sanità pubblica, a fronte dell’impatto di
Covid-19 , sono derivati soprattutto dal depotenziamento della SSN, dallo
spazio lasciato alla sanità privata e dall’indebolimento della medicina
territoriale che ne aveva informato la fisionomia originaria.
Ecco il perché di liste di d’attesa infinite, i pronto soccorso al
collasso, mancano migliaia di medici e di infermieri, le strutture e gli
strumenti dei plessi ospedalieri sono inadeguati. Il Ssn è
sostanzialmente de-finanziato, i privati e le assicurazioni lo vampirizzano !
Per comprendere quindi il cosa
sia possibile fare oggi, occorre allora partire dalle suddette
considerazioni ed invertire la rotta rispetto alle problematiche che
negli anni passati hanno contrassegnato l’assetto sanitario.
Serve un impegno volto a riformulare un progetto politico che rimetta la
salute al centro del cambiamento sociale.
La sfida odierna è quella di ripristinare un nuovo modello di welfare
socio-sanitario espansivo, espressione di una gestione partecipata,
democratica, comune, capace di riprendere quel percorso che fu stabilito dalle
lotte degli anni 70.
Credo che oggi la tenuta, il potenziamento e la riqualificazione di un
servizio sanitario pubblico dipendano soprattutto dalle scelte politiche che a
livello nazionale, europeo e internazionale si compiranno, ma soprattutto dalla
rimessa in campo di una programmazione nazionale dei servizi e dalla loro
capillarizzazione territoriale, dal rifinanziamento della spesa sanitaria e
sociale, da una nuova spinta culturale e politica, che può essere affermata
solo se dal basso, nei territori, nei luoghi di lavoro, nella scuola… riparte
una rivendicazione di massa che faccia ridiventare la riforma del 1978 la
base essenziale del potenziamento del SSN, viceversa, la rinuncia all’uso di un
servizio pubblico avrebbe conseguenze ancor più gravi ed irreversibili sul
piano dell’aggravamento delle odierne diseguaglianze.
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