Thiesi è la “villa antifeudale”, come recita il famoso
libro di Gavino Palmas che racconta s’annu de s’attaccu,
cioè la resistenza che opposero i thiesini alla feroce spedizione punitiva
voluta dai Savoia e dai loro alleati feudatari, all’inizio del secolo XIX, per
stroncare nel sangue la ribellione anticolonialista e antifeudale che aveva
incendiato tutto il Mejlogu.
Il contesto è quello della sollevazione di molte
comunità sarde al regime oppressivo imposto dalla monarchia Sabauda e dai
feudatari. Un regime fondato sullo sfruttamento del territorio, sull’assoluta
mancanza di prospettive di sviluppo endogeno e sull’idea che l’isola fosse un
limone da spremere senza dare nulla in cambio.
Allora, di fronte allo sfruttamento brutale della
Sardegna e dei sardi e alla sordità di ogni richiesta di cambiamento, si
sollevarono sia i quartieri popolari delle principali città, sia le comunità
contadine e nel Mejlogu e si arrivò a siglare gli “strumenti di concordia e
unione” ossia «patti di alleanza» legale fra ville, vere e proprie leghe di
resistenza antifeudale e anticoloniale, la cui sottoscrizione avvenne in
presenza di testimoni e notai roganti. Questi patti esprimevano un’altissima
conoscenza giuridica, una piena sintonia storica con analoghi strumenti
utilizzati contemporaneamente nella Francia rivoluzionaria e dimostrano una
forte coscienza popolare finalizzata a rompere con il regime di asservimento
difeso a spada tratta dallo stato centrale.
Dopo più di duecento anni, Thiesi ricorda la sua
tradizione ribelle e suona a martello le campane della rivolta. Questa volta
non ci sono più feudatari e mercenari svizzeri a difesa del potere costituito,
ma decreti autoritari della presidenza del Consiglio dei Ministri,
multinazionali affamate di terre, quotidiani e “ambientalisti” prezzolati.
Da una parte i nuovi “barones”, dall’altra la voce del
nuovo “patriota sardu”. Mercoledì 31 maggio, a Thiesi, alle 18 nella sala Sassu
di via Garau, al cospetto della magnifica rappresentazione de “I moti
angioyani” prodotta nel 1962 dall’artista Aligi Sassu, un comitato thiesino ha
convocato un’assemblea popolare per discutere l’assalto coloniale che sta
subendo il Mejlogu. Si parlerà – annuncia il comitato – «dei progetti dei
parchi eolici e del loro reale impatto sul territorio. Ascolteremo la voce di
alcuni esperti sugli aspetti tecnici, naturalistici, scientifici ed economici.
Sentiremo i punti di vista di diversi amministratori locali. Invitiamo tutti
gli interessati a partecipare attivamente e a condividere il proprio parere».
Il territorio infatti è oggetto di interesse per la
realizzazione di un parco di 8 aerogeneratori con potenza complessiva di 48 MW,
con torri alte 206 metri che invaderanno le creste dei monti, delle colline e
degli altopiani fino a perdita d’occhio. La prospettiva è quella di
un’invasione di giganti d’acciaio per produrre energia a basso costo da
indirizzare alle fabbriche del nord Italia, tutto questo senza minimamente
coinvolgere le comunità interessate. La scusa che si usa è quella del
“cambiamento climatico”, ma la realtà, ben più prosaica, è la necessità di
soppiantare la fornitura di gas russo a buon mercato interrotto a causa delle
sanzioni e di spremere la nostra terra come un limone, sfruttandone tutte le
risorse senza dare nulla in cambio e tagliando fuori dai processi decisionali
chi ci vive e ci lavora. Esattamente come facevano Savoia e feudatari all’epoca
della rivoluzione angioyana.
Thiesi non è l’unico territorio sotto assedio da parte
dei nuovi feudatari e dei moderni Savoia. Da tempo il sindaco di Villanovaforru
Maurizio Onnis prende posizione sul tema. E proprio il caso di questo piccolo
paese della Marmilla smentisce la favola egemonica che racconta della lotte tra
le lobbies del carbone e del gas da una parte e dei paladini della “rivoluzione
verde” dall’altra. Una favola a cui molti, purtroppo, anche tra le fila dei
movimenti di resistenza alla guerra e al colonialismo, hanno dato credito.
Villanovaforru, anzi, Biddanoa e’ Forru in lingua sarda, ha dato vita ad una
comunità energetica rinnovabile (CER) edificando un impianto da 44,3 kW,
realizzato sulla palestra della scuola media. Dopo la prima fase di
raccolta delle manifestazioni di interesse a cui hanno risposto 45 soggetti fra
cittadini e imprese, nel luglio del 2021 è stata convocata l’assemblea
costitutiva per dare avvio alla CER. Come nel caso di Ussaramanna, anche qui è
stata costituita un’associazione, alla quale hanno partecipato 34 soci
fondatori. Il tutto con gli strumenti della democrazia, del legame con il
territorio e della giustizia energetica che ripartisce i benefici tra i membri
della Comunità in maniera proporzionale (ciascun membro ha un beneficio
proporzionale al suo standard di consumo).
Bene, proprio il sindaco che si è speso più di tutti
per garantire alla sua comunità un futuro di autosufficienza energetica
ecocompatibile e democratico, ha recentemente denunciato l’assalto organizzato
da parte di Stato e multinazionali contro il suo territorio.
Con un appello pubblico rivolto ai suoi compaesani,
Onnis ha infatti recentemente annunciato di aver ricevuto due avvisi dal
Ministero dell’ambiente, per due diversi progetti di energia alla cui testa
stanno due multinazionali. Lo Stato comunica che sul territorio comunale
verranno impiantate quattro pale eoliche di circa 220 metri, senza alcuna
compensazione per il comune, e sorgeranno su terreni che verranno espropriati
d’imperio.
È così che Stato, multinazionali e ambientalisti da
cortile vogliono realizzare la “rivoluzione climatica” pianificando una vera e
propria invasione di centinaia di nuovi impianti da fonte rinnovabile
(essenzialmente fotovoltaico e eolico, on e off shore), intervenendo d’imperio
su territori che spesso stanno già facendo la loro rivoluzione energetica
comunitaria e imponendosi come fanno le dittature e i regimi autoritari?
Cosa fa il governo regionale a guida “sardista” di
fronte a queste pratiche neosabaude e neocoloniali? Come giustamente ricorda
sempre Onnis «non bastano le interrogazioni in aula, né rivolgersi a Solinas.
Devono legiferare».
Ma ovviamente, su questo e altri fondamentali aspetti
strategici per il benessere e il futuro dei sardi, chi controlla il potere in
viale Trento a Cagliari, si guarda bene dal prendere posizioni nette
nell’interesse delle nostre comunità, evidentemente per non pestare i piedi a
mandatari e portatori d’interesse.
Che alcune comunità inizino a mobilitarsi è di
fondamentale importanza, ma servirà molto altro per impedire la quinta
colonizzazione della nostra terra (dopo il disboscamento, lo sfruttamento
minerario, l’industrializzazione selvaggia e in parallelo all’occupazione
militare si va affiancando la colonizzazione energetica).
È sempre più chiaro che la Sardegna sta diventando un
hub energetico dello Stato e dell’economia del nord e che gli abitanti e le
comunità dell’isola non abbiano alcuna parte in questo scenario disegnato –
come sempre nella storia dello Stato unitario – a Roma, Milano e Torino.
A smascherare la favoletta green sulla Sardegna isola
all’avanguardia nella lotta al climate change propugnata
da Legambiente WWF e FAI (su questo punto rimando
alla lettura del mio articolo scritto per Filosofia de Logu “Decolonizzare
l’ambientalismo. Come la ragion coloniale si tinge di verde”) sta
la più cruda realtà di una schiera di progetti (tra approvati, presentati e in
funzione) di depositi / rigassificatori di gnl.
Del legame tra il metano da una parte e il far west
delle rinnovabili dall’altra, vale a dire delle sempre più numerose richieste
di autorizzazione per impianti eolici e fotovoltaici, si è occupato in maniera
approfondita Piero Loi sul periodico di approfondimento e inchiesta Indip nell’articolo “Sardegna, la giungla dell’energia, e l’oligarca russo va a tutto
gas”, a cui rimando per approfondimenti specifici. Il punto, in
ogni caso, è chiaro: più la Sardegna verrà dotata di infrastrutture per il
trasporto di energia verso il Continente, più aumenterà la produzione da fonti
rinnovabili e più si avrà bisogno di metano per stabilizzare le rinnovabili, la
cui produzione è intermittente.
Si tratta di un processo già in atto, che è possibile
mappare. Nel Porto industriale di Oristano sono previsti almeno quattro
depositi costieri (Higas, in funzione), Edison (approvato – si pensa ad un
ampliamento – ma non ancora realizzato), Ivi petrolifera (due autorizzati). Poi
ci sono le famose FSRU della Snam, vale a dire le navi nasiere dotate di
rigassificatori: oltre a Porto Torres, una seconda FSRU è prevista a
Portovesme. Un secondo deposito costiero a Porto Torres è stato previsto dal
Consorzio industriale, ma il progetto appare dormiente. Infine sono previsti un
deposito costiero con rigassificatore e centrale a metano ad Olbia e un
deposito/rigassificatore di Giorgino a Cagliari. Da nord a sud, da est ad ovest
la Sardegna sta diventando un enorme ormeggio per navi gasiere. Tutti progetti
ad altissimo impatto ambientale e a rischio incidente rilevante, che vanno a
stratificarsi su territori già fortemente segnati da attività inquinanti pregresse
(come per esempio Porto Torres che è un S.i.n in cui tutte le matrici
ambientali risultano compromesse).
Dove li mettiamo questi impianti nella favoletta green
che ci raccontano Governo e Legambiente?
Basterebbe chiedersi se tutta quest’infrastrutturazione
serva al territorio e ai sardi per inquadrare il problema: basti pensare che la
sola nave deposito-rigassificatore prevista a Portovesme è in grado di
rigassificare 5 mld di mc di gas/anno, mentre il fabbisogno della Sardegna
(sovrastimato dal Piano energetico ambientale della regione Sardegna, Pears) è
pari a circa 900 milioni di mc/anno.
Questa programmazione energetica, volta a trasformare
la Sardegna in un hub del gas, è foriera di pesanti conseguenze. Ad esempio, un
rischio concreto è lo sfruttamento futuro di giacimenti locali di
idrocarburi (sul modello del famoso progetto Eleonora della Saras, a cui la
Sardegna si era opposta con successo), on e off shore. Inoltre, uno degli
effetti più che probabili di questo disegno è lo sviluppo di colture energetiche
(land grabbing e conflitto con le colture alimentari) per la produzione di
biometano (metano a tutti gli effetti). Più in generale, si può affermare che
in nome della transizione energetica stanno portando i sardi a non sviluppare
un sistema energetico sotto il nostro controllo e basato sulle necessità della
nostra isola, realmente rispettoso dell’ambiente e della salute, e capace di
far risparmiare gli utenti o addirittura di far guadagnare loro qualcosa. Vale
a dire un modello essenzialmente basato sull’elettrificazione dei consumi,
l’autoproduzione-autoconsumo di energia (generazione distribuita e smart grid),
utilizzo dell’idroelettrico per stabilizzazione le rete elettrica, comunità
energetiche e – in generale – un ripensamento generale dei modelli di
produzione e consumo.
Ma perché il gas è funzionale al più ampio disegno della trasformazione della Sardegna in un gigantesco hub energetico? Fondamentalmente si vuole sacrificare il nostro territorio destinandolo a corridoio di transizione di enormi flussi di energia. Se questo progetto va in porto e non trova una forte opposizione popolare, diventeremo una monocultura energetica intensiva diffusa in tutti i territori, e a beneficio di aree d’Italia ed europee industrializzate e ricche, senza alcuno scambio paritario. Tutto questo si tradurrà in ancora più significativi impatti sulla salute, sugli ecosistemi, sulle matrici ambientali e sul paesaggio e, soprattutto, si arriverà a una profonda trasformazione della proprietà fondiaria. La presenza di grossi impianti, infatti, attiverà operazioni di vendita o di cessione trentennale dei diritti di superficie. Il rischio, dunque, è che il già incrinato rapporto tra i sardi e la terra s’indebolisca ulteriormente. In altre parole, le campagne – sempre più abbandonate – potrebbero non essere più concepite come un’opportunità di reddito (per quanto riguarda le colture alimentari o la pastorizia) e, in definitiva, di radicamento sociale.
La quinta colonizzazione della Sardegna in atto, cioè
la colonizzazione energetica, è ancora più radicale delle precedenti perché non
localizzata in aree specifiche e potenzialmente deleteria per la compromissione
definitiva del rapporto sardi-terra di Sardegna.
Ed è per questo che dobbiamo fermarla, soffiando sul
fuoco della rivolta di coraggiose comunità come Thiesi e Villanovaforru!
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