In un’intervista della giornalista Cristina Cossu su l’Unione Sarda del 5 luglio l’Assessore alla sanità Carlo Doria rilascia dichiarazioni preoccupanti: “Stiamo ricostruendo e aggiornando tutta la rete ospedaliera e assistenziale. Oggi in Sardegna abbiamo ventitré ospedali per acuti – un quadro sorpassato e non sostenibile – una quota parte di questi sarà trasformata in Ospedali di Comunità”. Il primo è stato inaugurato a Ghilarza, a febbraio scorso, gli altri sono tutti da realizzare.
L’attivazione deve avvenire entro il 2026, pena la
perdita dei fondi. Siamo ben consapevoli che gli Ospedali e Case di Comunità
sono strumenti indispensabili per rilanciare e rifondare la sanità
territoriale; le prime Case della Salute (declinate a case di comunità dal
PNRR) in Sardegna furono istituite nel 2008; la loro reale attivazione è stata
trascurata dalle amministrazioni regionali che si sono succedute. Ora il PNRR
pone delle regole per attingere ai finanziamenti della Missione 6: attivare le
Case e gli Ospedali di Comunità.
Queste strutture però devono essere aggiuntive rispetto a
quelle esistenti, non possono essere sostitutive dei reparti ospedalieri attivi
e devono essere autonome rispetto alla rete ospedaliera, per evitare di
ricadere nell’ospedale-centrismo. L’esempio di Ghilarza è evidente: a dirigere
l’Ospedale di Comunità istituito a febbraio 2023 sono stati chiamati medici
ospedalieri e non del territorio, indebolendo l’ospedale e aggiungendo poco o
nulla alla medicina territoriale.
L’Assessore vorrebbe estendere la sperimentazione di
Ghilarza a livello regionale, persino a Ospedali storici come il Binaghi e il
Marino, trasformando tali strutture in Ospedali di Comunità e sopprimendo i
servizi preesistenti.
Ventitré ospedali per acuti non sono un quadro sorpassato
e non sostenibile. La drastica riduzione dei posti letto è una delle cause
della crisi della sanità, una ulteriore riduzione non può che aggravare i
problemi. Come si può affermare che gli ospedali per acuti oggi non siano
sostenibili. Non sono sostenibili rispetto alle politiche sanitarie adottate
negli ultimi decenni; sono sostenibili se rapportate alle esigenze di salute
delle popolazioni nei territori. Salvo che non si decida di rinunciare alle
cure dei sardi, che saranno costretti a recarsi in altre regioni del nord,
aumentando la già elevata migrazione sanitaria, specie verso la Lombardia.
La riduzione degli accessi impropri al Pronto Soccorso
(codici bianchi e verdi) è un problema vecchio e mai affrontato seriamente; i
codici bianchi e verdi sono di pertinenza della sanità e della medicina
territoriale. Una riorganizzazione dell’assistenza territoriale è stata
disattesa dalle politiche regionali. Voglio ricordare l’istituzione delle Case
della salute fin dal 2008 (DGR 4/6/2008) e le Linee di indirizzo per la
riqualificazione delle cure primarie (DGR n. 60 del 2/12/2015) di cui,
colpevolmente, non si parla.
Tali Linee d’indirizzo indicavano già dal 2015 un modello
Sardegna di nuove cure primarie, con l’obbiettivo di stimolare la
sperimentazione nel territorio del Chronical Care Model (cura delle malattie
croniche) e della Medicina d’iniziativa e di avviare la riaggregazione dei
professionisti delle Cure Primarie: Aggregazioni Funzionale Territoriali (AFT),
Medicina in Rete e Unità complesse di Cure Primarie (UCCP) con le nuove
Strutture territoriali di riferimento di tipo multidisciplinare (Case della
Salute e Ospedali di Comunità) attraverso la programmazione delle attività con
il Distretto Socio-sanitario. La gestione delle malattie croniche va garantita
sul territorio e, se possibile, a domicilio del malato.
Gli accessi impropri al PS vanno evitati con una adeguata
rete di assistenza territoriale di Cure Primarie. Negli ambulatori di medicina
generale abbiamo sempre assistito i codici bianchi, verdi, gialli e rossi,
inviando in ospedale quando necessario. Se la rete delle cure primarie è in
grave crisi è evidente che aumenti il ricorso improprio al PS. La crisi è determinata
dalla mancata applicazione delle Linee di indirizzo per la riorganizzazione
delle Cure Primarie, dal mancato ricambio generazionale e dal pensionamento di
molti medici (largamente prevedibile). Senza personale sanitario (medici e
infermieri) non si può dare risposta ai problemi nel territorio e in Ospedale.
Un’applicazione dei propositi dell’Assessore, motivata
dal pericolo di perdere finanziamenti, indebolisce ulteriormente il Servizio
Sanitario Pubblico, e spinge settori di popolazione a rivolgersi ancor più
spesso alla sanità privata.
Francesco Carta è un medico di Medicina Democratica
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