Cos’è un laboratorio? La domanda risulta legittima alla luce di due considerazioni. La prima concerne gli usi linguistici in ambito educativo e scolastico di molti vocaboli con statuto concettuale a equilibrio instabile, con accezioni attinenti a diversi contesti e retroterra culturali, storici, di ricerca. La seconda riguarda l’evasione di alcuni concetti verso una sorta di gergo digitale della scuola. Scuola che, da oltre vent’anni, subisce l’ispirazione valoriale-pedagogica e strumentale-didattica del modello socioeconomico neoliberista (in Italia sia di matrice angloamericana, sia ordoliberista). I due aspetti celano e svelano il cambiamento profondo, le derive istituzionali dell’impianto della scuola pubblica (istituzione atta ad assolvere le funzioni di organo costituzionale secondo gli artt, 33, 34 della Carta), che oggi percolano dal Piano del PNRR, Missione 4.01.
Laboratorio, dunque. “Locale attrezzato per scopi determinati”, recita in
prima accezione il Vocabolario De Mauro. Risalendo all’etimologia troviamo il
lavoro, il metabolismo uomo-natura funzionale alla sopravvivenza, gli strumenti
del lavoro elaborati nei millenni del percorso di umanizzazione, fra
tecniche/tecnologia/cultura del lavoro ed educazione come riproduzione sociale.
Gli slittamenti semantico-funzionali, storici, in ambito pedagogico-didattico
inducono a considerare altre sfumature, ad esempio i concetti di sfondo
integratore, contesto, ambiente. Lo sfondo integratore ha,
grosso modo, due dimensioni: una culturale riguardante l’inclusione nella
comunità-classe di tutti gli stili e le differenze espressi dai suoi attori,
un’altra relativa all’inter-trans-disciplinarità, al dialogo fra ambiti
epistemologici differenti, la cui tenuta è garantita dalla Lingua (come
recitano anche le dieci tesi del Gruppo Giscel)2. Fra le innumerevoli occorrenze di contesto è
utile quella di campo di azione: luogo fisico e situazione in
cui si muovono attori la cui specificità di scopo appare grazie a segnali
di contesto (oggetti, regole che abitano quello spazio: in un’aula
scolastica, banchi, lavagne, materiali didattici, e norme di comportamento
implicite, esplicite) 3. Per la parola ambiente, oggi assai
abusata dalla neolingua digitale, si può risalire alla definizione che ne
diedero Arnold Gehlen, e lo zoologo ed etologo Jakob von Uexüll, in opposizione
a mondo: l’homo sapiens si muove nel mondo, esonerato dagli istinti può
superare la ristrettezza degli ambienti; pur abitandoli per convenzione
sociale, può ricrearli, può giocare con campi d’azione fantastici, può cambiare
regole, strumenti, relazioni interindividuali4.
Il laboratorio, nella declinazione della Missione 4.0 del PNRR, è
l’ambiente di apprendimento che scardina la classe tradizionale (con i segnali
di contesto classici di cui su) in “ecosistema di interazione, condivisione,
cooperazione, capace di integrare l’utilizzo proattivo delle tecnologie […] in
un continuum fra scuola e il mondo del lavoro”. Potrei dire che lo
sfondo integratore è qui il Discorso del Capitalismo Cognitivo che
lega “robotica e automazione, intelligenza artificiale, cloud computing […]
internet delle cose” in un ibridismo volutamente oscuro. Nel testo, la
connessione fra Laboratorio, Lavoro, Strumenti e Scuola impone l’addestramento
come adattamento passivo delle creature piccole alle richieste
performanti, verso la competenza futura, l’insieme delle
abilità atte a “prototipare” (sic), di cui il Maestro Pioniere e la casta dei
tecnici sono il modello.
Considerata questa sommaria rassegna semantica sul Discorso della Missione
4.0, provo a riposizionare il concetto di laboratorio. Un luogo laboratoriale
educativo (cantiere? bottega artigianale? biblioteca? aula?…) è abitato da
soggetti e da oggetti mediatori, la cui mediazione è
funzionale alla produzione di saperi di praxis (in un circuito fra teorie,
ipotesi, esperimenti, prove-ed-errori, riformulazioni logico-discorsive,
teorie). Mediare è mettere in relazione soggetti-oggetti-soggetti,
in rapporto epistemico ed ermeneutico5.
I soggetti: in diverso ordine per esperienza (quel che si sa,
come doxa e come episteme, nella
consapevolezza della loro esposizione al rischio, all’errore) e per expertise,
per saperi riconosciuti (che, nel gruppo, competono per funzione
all’insegnante). Nella scuola ridisegnata dal Discorso della Missione 4.0, è
sottesa la vulgata dell’apprendimento naturale, dell’attivismo,
del sapere autogenerantesi, interpretazione volgare, poco
attenta ai riferimenti teorici. Il paradosso è che la libertà del soggetto
conoscente (l’alunno che si attiva e crea il suo sapere) dipende totalmente
dalle disposizioni del dispositivo macchinistico, sotto lo
sguardo di un adulto sorvegliante/funzionario, garante delle regole di
funzionamento.
Gli oggetti: nella relazione, nel luogo della mediazione, troviamo, da quando esiste
qualcosa che chiamiamo “insegnamento intenzionale”, una miriade di apparati, di
artefatti, oggetti fatti ad arte per poter insegnare, perché
possa imprimersi il segno che produce e rivela un cambiamento nella creatura
piccola, giovane. Una traccia capace di ritornare sempre verso l’adulto, perché
osservi, valuti la qualità trasformatrice di quella impressione e ne possa
trarre motivi per correggere il proprio lavoro educativo.
La mediazione soggetto/oggetto operato da apparati e artefatti, è
particolarmente forte in Maria Montessori ed Emma Castelnuovo. Le cito fra i
tanti Maestri e Pedagogisti, alcuni oggi celebrati fuor di misura, perché
furono studiose capaci di quel lavoro transculturale che fa dialogare i
formalismi della matematica con tutto quello che è sapere umanistico e
sapere pratico per la vita activa (nel suo
significato politico del saper stare al mondo criticamente)6. Modelli ancora oggi capaci di orientare il lavoro di
molti docenti.
In Maria Montessori l’oggetto, sia vero, sia simulato (una scarpa da
allacciare e una piastra con tanti tipi di legamento su cui esercitare la
manualità fine che serve allo scopo), ha il suo punto di convergenza fra gioco
e funzionalità. Giocare con un oggetto d’uso, giocare a “fare quel che fanno i
grandi” con le cose, è nutrire la potenzialità immaginativa ed è scoprire le
caratteristiche fisiche della relazione mano-strumento, entrambe forme di
emancipazione della mente, del gesto, della parola. È mettersi nell’ordine
delle concatenazioni simboliche con cui si costruiscono i saperi, e li si mette
a rischio (qualcosa si rompe, smette di funzionare, si ripara, si converte ad
altro uso, danneggia-ferisce, fra conservazione ed entropia dei materiali e
delle conoscenze). Fra i tanti oggetti che popolano un’aula montessoriana c’è
anche il libro, oggetto di raffinata tecnologia che si impara a sfogliare con
il cartonato, che si ascolta, si legge, con il quale si immaginano mondi7.
Se con Maria Montessori il lavoro si situa all’inizio dell’età evolutiva, e
dunque parliamo dei proto-apprendimenti della scuola dell’infanzia e dell’avvio
al disciplinare nella primaria, con Emma Castelnuovo entriamo nel vivo
delle scienze come discipline. Un artefatto del suo vastissimo laboratorio
serve a vedere una sezione aurea e a capirne la formula, a concepire il calcolo
della superficie di una sfera, il significato del π, il p greco, come
convenzione per l’area del cerchio, non solo come nozioni ma come materiale
concettuale indispensabile per fare i conti con il Mondo che abitiamo.
Tutti questi apparati, artefatti, oggetti, strumenti, acquistano al loro
potenza euristica se stanno dentro robusti saperi disciplinari di cui può
disporre solo un insegnante sufficientemente bravo. Un
insegnante che non si dedichi a fare il manovale/funzionario della macchina,
che non si dedichi alla sola comunicazione funzionale, alla caccia di
informazione nello schema semplice emittente-canale-ricevente, ma che pratichi
e insegni la relazione fra viventi, umani e non, fra viventi e macchine, che
sappia evitare l’incantamento, l’effetto alone della tecnicità, dell’esattamento che
fa della macchina una estroflessione protesica. L’exaptation, l’adattamento
di un organo a una funzione a cui inizialmente non era preposto, nel nostro
caso si può applicare a un computer che diventa un organo integrato nel
funzionamento cognitivo di un soggetto, del suo stesso corpo, protesi su cui,
appunto, estroflettere gesto e significati8.
Per concludere. Nominare, curiosare, condividere, tradurre lingue
e linguaggi. Tra i grandi gruppi e le piattaforme non-profit, fra l’ambiente
cibernetico di cui farnetica la Mission 4.0, c’è un problema di scala e uno di
strategia9. Come suggerisce la galassia dei gruppi hacker, la
possibilità di contrastare la potenza dei colossi che sono a monte della
digitalizzazione della scuola, sta nella capacità di fare traduzioni dal
linguaggio-macchina a quello umano, nel luddismo riflessivo che
sa disfare, disfarsi, ricomporre10. Rimane a me una domanda: per deterritorializzare il
luogo fisico e simbolico occupato dal nuovo macchinismo basta l’approccio conviviale come
proposto dai suddetti gruppi di attivisti?11 A quali rischi comunque espone fare convivio con
le nuove tecnologie? La scuola forse va detto, è luogo sacro, luogo
separato. Ad essa va posta l’attenzione che poniamo prendendoci cura delle
creature piccole, dei fragili, la sollecitudine della messa a riparo delle loro
caratteristiche dall’invasività dell’interesse adulto. Ma non so se è risposta
resistente o se è ormai solo l’espressione di una tenue forma di resilienza.
Note
1 Consultabile su “FUTURA, la scuola per l’Italia di domani” portale
del MIM, miur.gov.it
2 Sui mediatori, ovvero su tutto ciò che, strutturato o di bricolage,
può essere adatto ai percorsi di apprendimento nella Scuola dell’Infanzia e
nella Primaria, e sull’insegnante come mediatore di processi, si vedano i
lavori di Andrea Canevaro, Università di Bologna e quelli dei Maestri del
Movimento di Cooperazione Educativa (MCE). Le dieci tesi sulla Lingua furono
pubblicate nel 1975 dal Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione
Linguistica, di cui fu parte attiva Tullio De Mauro.
3 G. Bateson Verso un’ecologia della mente Adelphi MI,
1977/2000
4 A. Gehlen Antropologia filosofica e teoria dell’azione Guida
editori NA, 1983; Jakob von Uexkül, citato in G. Agamben L’aperto.
L’uomo e l’animale Bollati Boringhieri TO, 2002 Cap X
5 Ivan Illich Descolarizzare la società Mimesis MI,
1970
6 M. Montessori La mente del bambino Garzanti MI,
1970; E.Castelnuovo L’officina matematica. Ragionare con i
materiali La Meridiana BA, 2008; su Castelnuovo e altre esperienze di
matematica: Quaderni del GRIMeD, grimed.net. Molto interessanti i Quaderni di
Lega Ambiente e quelli del già citato MCE (in rivista Cooperazione
Educativa, Erikson)
7 A.Angelucci, R Puleo Cos’è un libro. Sull’oblio della lettura
in era digitale Giovanni Fioriti Ed. RM, 2022
8 S. J. Gould Quando i cavalli avevano le dita. Misteri e
stranezze della natura Feltrinelli, MI 1984, p. 172, infra; C.
Milani Tecnologie conviviali elèuthera, MI 2022 pag 107
9 C. Milani Tecnologie conviviali, cit; Ippolita La
rete è libera e democratica. Falso! Laterza RM-BA 2014; B.
Stiegler La miseria simbolica I-II Meltemi MI, 2021
10 A. Alonso, I.Arzoz La Nueva Ciudad de Dios Siruela
Madrid, 2002
11 Il temine deterritorializzare significa lasciare un territorio saturo
di poteri consolidati lungo linee di fuga che consentano nuove espressioni di
soggettività. G. Deleuze, F Guattari Mille piani Orthotes SA,
2017 p. 690, infra.
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