Un’inchiesta dell’agenzia Reuters svela in che modo sono stati utilizzati i fondi pubblici concessi ai Paesi poveri per l’adattamento ai cambiamenti climatici
Era il lontano 2009. Il mondo era riunito per la quindicesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la Cop15 di Copenaghen. Ci si aspettava che da quel summit potesse emergere un consenso internazionale per un nuovo accordo che potesse succedere al Protocollo di Kyoto, ormai datato e inefficace nei contenuti rispetto all’inasprirsi della crisi climatica. Per quell’accordo occorrerà aspettare sei anni: lo si raggiungerà alla Cop21 di Parigi. E la Cop di Copenaghen rimarrà alla storia come un sostanziale fallimento.
I 100
miliardi di dollari promessi dai Paesi ricchi alla Cop15 del 2009
All’epoca,
però, un risultato fu raggiunto. Il mondo ricco accettò il principio secondo il
quale sarebbe stato necessario concedere denaro ai Paesi più
poveri per consentire loro di adattarsi ai
cambiamenti climatici. Una quota di questi è infatti ormai inevitabile, anche
se si azzerassero immediatamente e totalmente le emissioni di gas ad
effetto serra. Le nazioni meno abbienti sono, paradossalmente, quelle che
hanno beneficiato meno dello sfruttamento delle fonti di energia fossile,
e quelle che patiscono gli effetti più gravi dei cambiamenti
climatici.
La cifra fu
stabilita in 100 miliardi di dollari all’anno. Quei trasferimenti,
prestiti, sovvenzioni di vario genere, però, non sono mai arrivati per intero.
La cifra annuale è via via cresciuta, ma i Paesi ricchi non
hanno mai rispettato la promessa, in quattordici anni. La domanda però è: cosa
si è fatto con ciò che è stato concesso finora? A spiegarlo è un’ampia inchiesta condotta dalla
Reuters e da Big Local News, laboratorio di giornalismo
dell’università di Stanford. Dalla quale emerge una realtà inquietante e ai
limiti del ridicolo.
I casi
assurdi di Italia, Stati Uniti, Belgio e Giappone
Con il
denaro necessario per consentire al mondo povero di adattarsi agli impatti del
riscaldamento globale, secondo l’agenzia di stampa «l’Italia ha
aiutato una catena di negozi di gelati ad aprire dei punti vendita in Asia.
Gli Stati Uniti hanno offerto un prestito per ampliare un
albergo con affaccio sul mare ad Haiti. Il Belgio a produrre
il film La Tierra Roma, storia d’amore ambientata nella foresta pluviale
argentina. Il Giappone a costruire una nuova centrale a
carbone in Bangladesh e ad estendere un aeroporto in Egitto».
Troppo
greenwashing
Prese in
giro, semplicemente. Per le quali neppure il
termine greenwashing appare appropriato, dal momento che esso
designa teoricamente progetti presentati come buoni ma che in realtà non lo
sono. O che sono utili soltanto a nasconderne altri per nulla utili alla causa
climatica. In questo caso, invece, si sarebbe scelto di agire,
semplicemente, senza alcuna vergogna.
Mancano
linee guida internazionali. E ciascuno fa come vuole
E a farlo
stavolta non sono multinazionali del carbone, compagnie petrolifere o
minerarie. No, sono i nostri stessi governi. Quelli che dovrebbero
indicare la via. Quelli che ogni anno ci riempiono di parole (evidentemente
vuote) alle Conferenze sul clima delle Nazioni Unite. E che ci invitano anche a
risparmiare acqua, a non tenere troppe luci accese in
casa e a fare la raccolta differenziata.
L’inchiesta
ha analizzato in particolare più di 40mila contributi diretti inclusi
negli stanziamenti decisi alla Cop15 del 2009 e ribaditi alla Cop21 del 2015.
Ebbene nel periodo post-Accordo di Parigi sul clima, tra il 2015
e il 2020, i 40mila contributi sono stati pari a 182 miliardi di dollari.
E in mancanza di paletti e linee guida internazionali,
stabiliti dall’Unfccc (la Convenzione quadro dell’Onu
che organizza le Cop), ciascuno ha agito di testa propria. Tanto che, precisa
Reuters «quella centrale a carbone, quell’hotel, quelle gelaterie, quel film e
quell’aeroporto non sembrano in alcun modo utili per la causa climatica. Ma ciò
non ha impedito ai governi che hanno stanziato i fondi di presentarli
alle Nazioni Unite come tali. E nel farlo, non hanno violato alcuna
regola».
Le risposte
senza commento dei governi in questione
L’agenzia di
stampa ha interpellato a riguardo i governi in questione. E quelli italiano,
americano, belga e giapponese hanno risposto in modo oggettivamente grottesco.
Secondo l’esecutivo di Roma, «tutti gli investimenti considerano la questione
climatica, ma non è stato spiegato come le gelaterie possano esservi incluse».
Washington ha affermato che «l’hotel ad Haiti include sistemi di protezione
contro gli uragani». Bruxelles ha sottolineato che il film «parla anche di
deforestazione». E Tokyo che «la centrale a carbone e l’aeroporto prevedono
l’uso di tecnologie pulite o installazioni sostenibili».
La Cop27
C’è da
mettersi in questo senso nei panni delle Nazioni Unite. Che, di
fatto, si sono fidate dei governi, non ritenendo necessario specificare che
quei 100 miliardi di dollari all’anno, se necessari per la lotta agli impatti
dei cambiamenti climatici, non potevano essere destinati all’apertura di
gelaterie. Ai piani alti del Palazzo di vetro devono avere la sensazione di
essere come i maestri di una prima elementare. Di bambini piccoli.
E anche particolarmente indisciplinati.
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