tatte, a partire dal ruolo chiave del sistema alimentare agro-industriale nella generazione di nuove malattie, soprattutto derivate dall’allevamento industriale di suini, pollame e bovini (vedi “Gestando la próxima pandemia”).
Nuovi virus e batteri patogeni potenzialmente pandemici continuano a essere
generati in queste strutture di allevamento intensivo, a causa del
sovraffollamento e dell’uniformità genetica di quegli animali.
Negli ultimi mesi c’è preoccupazione per la diffusione e i nuovi
casi di influenza aviaria in America Latina, una regione che era stata
in gran parte risparmiata da questa malattia, nonostante la presenza del virus
in Nord America dal 2014. Dal 2022, il World Animal Health Information System
[Sistema mondiale di informazione zoosanitaria] ha segnalato la presenza di
influenza aviaria AH5N1 in 14 paesi dell’America Latina, tra cui Messico, Cile,
Ecuador, Uruguay, Panama, Honduras, Argentina, Costa Rica, Guatemala, Bolivia e
Venezuela, in allevamenti di pollame e tra gli uccelli selvatici. In
Perù, circa 60.000 uccelli selvatici e più di 500 leoni marini sono morti in
pochissimo tempo.
Secondo gli esperti dell’Organizzazione Mondiale per la Salute Ambientale
(OMSA), che tiene il suddetto registro, ci sono già 30 specie di
mammiferi che sono state infettate dall’influenza aviaria, con alti tassi di
mortalità. Tra questi ci sono foche, furetti, volpi, puzzole, cani,
gatti, capre e maiali. L’espansione geografica e le nuove specie
infette sono cresciute così tanto che secondo l’OMSA siamo di fronte a una
panzoosi, cioè una pandemia per gli animali (Mongabay, Yvette Sierra,
“Gripe aviar: estudios advierten la posibilidad de que el
virus H5N1 se transmita entre mamíferos”.
Un dato ancora più allarmante è che nel 2023 sono stati segnalati
per la prima volta in America Latina due casi di infezione umana da influenza
aviaria, uno in Ecuador e un altro in Cile.
Fino ad ora, la diffusione dell’influenza aviaria ad altri uccelli,
mammiferi o esseri umani, era avvenuta attraverso il contatto o il consumo di
uccelli che erano malati o portatori del virus. Invece quest’anno è stata accertata
una massiccia trasmissione tra i mammiferi, il che apre un nuovo capitolo nella
storia di questa malattia. Il caso è avvenuto in un macro-allevamento di
animali da pelliccia, in Galizia (Spagna), con migliaia di capi che hanno
dovuto essere sacrificati.
Ciò che ha fatto mutare il virus per adattarsi alla trasmissione tra
mammiferi sono state proprio le condizioni di allevamento, con sovraffollamento
e alta uniformità genetica. Le stesse condizioni che esistono nelle grandi
strutture di allevamento industriale al chiuso di maiali, polli e tacchini. E
dove ci sono anche operatori umani in contatto permanente con questi animali.
L’influenza suina AH1N1, che ha avuto origine in Messico nel 2009 negli
allevamenti di Granjas Carroll (allora di proprietà della transnazionale
Smithfield, attualmente di proprietà della cinese WH, la più grande impresa di
allevamento di suini a livello mondiale), è stata il prodotto della
combinazione di materiale genetico proveniente da un ceppo aviario, due ceppi
suini e un ceppo umano, il che ha facilitato il salto adattativo per infettare
gli esseri umani e perché il contagio si in seguito si trasmettesse da persona
a persona.
Il ceppo dell’influenza aviaria AH5N1 è altamente patogeno, con oltre il
50% di mortalità nell’uomo, una percentuale molto più alta di quella di
SARS-CoV-2, il virus della COVID-19.
Non sappiamo se sarà questo ceppo o un’altra malattia zoonotica a poter
dare origine a una prossima pandemia. Uno studio cinese pubblicato nel 2020 ha rivelato che
erano stati trovati 179 nuovi ceppi di influenza suina negli allevamenti di
suini; uno di questi ceppi aveva uno speciale potenziale pandemico ed era già
stato trasmesso agli esseri umani.
Quello che sappiamo è che il contesto in cui è emersa la pandemia di
covid-19 rimane presente ed è addirittura peggiorato. Ad esempio, per
prevenire parte di questo problema – e per affrontare la peste suina africana,
una malattia suina che ha decimato oltre il 25% della popolazione globale di
maiali – la Cina ha esportato enormi strutture di allevamento suino in
Argentina e Brasile, oltre che in altri paesi.
Sappiamo inoltre che la pandemia di debolezza del sistema immunitario delle
persone – il più grande rischio di fronte alle infezioni – continua ad
aumentare ed è direttamente collegata al cibo cattivo, pieno di agrotossici e a
basso valore nutritivo, con cui le multinazionali agroalimentari inondano i
mercati. Secondo l’OMS, il 76% delle cause di morte a livello globale sono
malattie non trasmissibili. Tra le prime 10 ci sono malattie cardiache,
ipertensione, diabete, malattie renali e tumori dell’apparato digerente, tutti
legati alla cattiva alimentazione derivata dal sistema alimentare
agro-industriale, ai suoi metodi di coltivazione e di allevamento intensivo.
Siamo di fronte a una sindemia: la convergenza della crisi dei sistemi
immunitari, la pandemia di controllo chimico, digitale e transnazionale
dell’agroalimentare e della salute, la devastazione ambientale che espelle gli
animali selvatici dai loro ecosistemi, e non solo. Queste cause devono essere
messe in discussione al fine di prevenire nuove pandemie.
Fonte: “Fin de cuál pandemia?”, in La
Jornada, 20/05/2023.
Traduzione a cura di Camminardomandando.
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