Fino ad ora i campi di concentramento, cioè i campi di sterminio, sono stati associati al regime nazista o alle dittature latinoamericane. Ora il Centro de Confinamiento del Terrorismo, costruito a 70 chilometri da San Salvador, capitale dello Stato di El Salvador, in una zona rurale isolata, nasce in quella che potrebbe essere considerata una democrazia in America Latina.
Lo spazio recintato è un orrore. È costruito su 23 ettari, ha otto
padiglioni che sono circondati da un muro di cemento alto 11 metri e lungo due
chilometri ed è protetto da filo spinato elettrificato. I detenuti non hanno
spazi all’aria aperta o aree ricreative e ciascuna delle 32 celle
ospiterà un centinaio di detenuti che avranno a
disposizione per tutti solo due bagni e due lavandini.
I detenuti dormono su lastre di ferro senza materasso, ci sono anche celle
di punizione e un sistema che blocca i cellulari, in un carcere che può
contenere fino a 40mila reclusi. I familiari devono pagare il cibo e i
prodotti per l’igiene dei detenuti. Tutto questo è possibile grazie al regime
di emergenza decretato un anno fa dal governo di Nayib Bukele.
Trasferendo i primi 2mila detenuti nella nuova prigione, il presidente ha
condiviso con orgoglio queste immagini, twittando: “Questa sarà la vostra nuova
casa, dove vivrete per decenni”. Mentre il ministro della Giustizia e della
Sicurezza ha scritto: “Sappiate che non ne uscirete camminando”.
I video e le foto mostrano i prigionieri
nudi e scalzi, con biancheria intima bianca come unico indumento.
Camminano sempre curvi e guardano per terra, il che dimostra che non si intende
solo umiliarli e distruggerli come persone, con un’attitudine che è non è certo
di giustizia per i crimini che hanno commesso, ma esercitare pura vendetta.
Il fatto che alcune organizzazioni per i diritti umani e l’Università
centroamericana abbiano criticato questa prigione e il modo in cui vengono
trattati i detenuti non può nascondere il fatto che l’80% della
popolazione sostiene il regime carcerario di Bukele, che fino a
qualche anno fa era un membro del Frente Farabundo Martí para la
Liberación Nacional (il FMLN, forza politica di sinistra, nata come opposizione
guerrigliera alla dittatura militare nella guerra “civile” cominciata
dopo l’assassinio sull’altare di Monsignor Romero nel marzo del
1980, ndt), da cui si è separato durante la sua gestione come
sindaco di San Salvador. Bukele conta ora anche su un’ampia maggioranza
parlamentare che non gli impone alcuna limitazione.
Le maras o pandillas non sono nate in El
Salvador o in Guatemala ma a Los Angeles, Stati Uniti, nel processo di
smobilitazione delle guerriglie e dei gruppi paramilitari nei primi anni
Novanta. Molti dei loro membri sono stati deportati in El Salvador, dove hanno
continuato la loro attività criminale.
La prigione istituita da Bukele ha una sospetta somiglianza con quella di
Guantánamo, dove Washington ospita i terroristi, dopo gli attentati dell’11 settembre
2001.
Siamo di fronte a un tipo di dispositivo che ha molto in comune con
Auschwitz e altri campi di concentramento: mirano a distruggere la persona,
lasciandola come un corpo biologico spogliato di ogni umanità, quel che il
filosofo Giorgio Agamben ha chiamato “nuda vita”, un’esistenza privata di ogni
qualità umana.
Naturalmente, quello di Bukele non è l’unico carcere di questo
tipo, anche se è il più moderno, di massa e tecnologicamente avanzato che si
conosca. Ci sono anche prigioni a cielo aperto dove vengono rinchiuse
centinaia di migliaia di persone, una delle più note situazioni di questo tipo
è quella della Striscia di Gaza, dove gli abitanti non hanno accesso all’acqua,
oppure sono costretti a berla sporca e contaminata, e sono militarmente
accerchiati dall’esercito israeliano.
In America Latina conosciamo anche le “zone di sacrificio” dell’estrattivismo, aree
in cui le miniere a cielo aperto o le monocolture transgeniche minacciano la
vita con muri invisibili, eretti con glifosato e mercurio. Possiamo aggiungere,
infine, la situazione dei Mapuche e delle altre comunità originarie che sono
materialmente e simbolicamente isolate dal sistema. Si potrebbe continuare
ancora, con le non poche periferie urbane circondate da muri che separano i
quartieri poveri dalle lussuose residenze private.
Oggi il sistema è basato su un modello di accumulazione per
espropriazione che genera enormi disuguaglianze. È un modello di
esclusioni, che lascia fuori due terzi o più della popolazione e in cui i
giovani non hanno futuro, specie se hanno un colore della pelle diverso da
quello delle classi medio-alte. Fanno parte tutti della “popolazione
eccedente” , quella che secondo Agamben può essere uccisa senza che questo
costituisca un delitto.
La versione in castigliano dell’articolo che ci invia Zibechi è uscita
su Pelota de Trapo
Traduzione per Comune-info: marco calabria
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