mercoledì 26 aprile 2023

L’incubo dell’ossessione securitaria - Raúl Zibechi

Fino ad ora i campi di concentramento, cioè i campi di sterminio, sono stati associati al regime nazista o alle dittature latinoamericane. Ora il Centro de Confinamiento del Terrorismo, costruito a 70 chilometri da San Salvador, capitale dello Stato di El Salvador, in una zona rurale isolata, nasce in quella che potrebbe essere considerata una democrazia in America Latina.

Lo spazio recintato è un orrore. È costruito su 23 ettari, ha otto padiglioni che sono circondati da un muro di cemento alto 11 metri e lungo due chilometri ed è protetto da filo spinato elettrificato. I detenuti non hanno spazi all’aria aperta o aree ricreative e ciascuna delle 32 celle ospiterà un centinaio di detenuti che avranno a disposizione per tutti solo due bagni e due lavandini.

I detenuti dormono su lastre di ferro senza materasso, ci sono anche celle di punizione e un sistema che blocca i cellulari, in un carcere che può contenere fino a 40mila reclusi. I familiari devono pagare il cibo e i prodotti per l’igiene dei detenuti. Tutto questo è possibile grazie al regime di emergenza decretato un anno fa dal governo di Nayib Bukele.

Trasferendo i primi 2mila detenuti nella nuova prigione, il presidente ha condiviso con orgoglio queste immagini, twittando: “Questa sarà la vostra nuova casa, dove vivrete per decenni”. Mentre il ministro della Giustizia e della Sicurezza ha scritto: “Sappiate che non ne uscirete camminando”.

I video e le foto mostrano i prigionieri nudi e scalzi, con biancheria intima bianca come unico indumento. Camminano sempre curvi e guardano per terra, il che dimostra che non si intende solo umiliarli e distruggerli come persone, con un’attitudine che è non è certo di giustizia per i crimini che hanno commesso, ma esercitare pura vendetta.

 

Il fatto che alcune organizzazioni per i diritti umani e l’Università centroamericana abbiano criticato questa prigione e il modo in cui vengono trattati i detenuti non può nascondere il fatto che l’80% della popolazione sostiene il regime carcerario di Bukele, che fino a qualche anno fa era un membro del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (il FMLN, forza politica di sinistra, nata come opposizione guerrigliera alla dittatura militare nella guerra “civile” cominciata dopo l’assassinio sull’altare di Monsignor Romero nel marzo del 1980, ndt), da cui si è separato durante la sua gestione come sindaco di San Salvador. Bukele conta ora anche su un’ampia maggioranza parlamentare che non gli impone alcuna limitazione.

Le maras o pandillas non sono nate in El Salvador o in Guatemala ma a Los Angeles, Stati Uniti, nel processo di smobilitazione delle guerriglie e dei gruppi paramilitari nei primi anni Novanta. Molti dei loro membri sono stati deportati in El Salvador, dove hanno continuato la loro attività criminale.

La prigione istituita da Bukele ha una sospetta somiglianza con quella di Guantánamo, dove Washington ospita i terroristi, dopo gli attentati dell’11 settembre 2001.

Siamo di fronte a un tipo di dispositivo che ha molto in comune con Auschwitz e altri campi di concentramento: mirano a distruggere la persona, lasciandola come un corpo biologico spogliato di ogni umanità, quel che il filosofo Giorgio Agamben ha chiamato “nuda vita”, un’esistenza privata di ogni qualità umana.

Naturalmente, quello di Bukele non è l’unico carcere di questo tipo, anche se è il più moderno, di massa e tecnologicamente avanzato che si conosca. Ci sono anche prigioni a cielo aperto dove vengono rinchiuse centinaia di migliaia di persone, una delle più note situazioni di questo tipo è quella della Striscia di Gaza, dove gli abitanti non hanno accesso all’acqua, oppure sono costretti a berla sporca e contaminata, e sono militarmente accerchiati dall’esercito israeliano.

 

In America Latina conosciamo anche le “zone di sacrificio” dell’estrattivismo, aree in cui le miniere a cielo aperto o le monocolture transgeniche minacciano la vita con muri invisibili, eretti con glifosato e mercurio. Possiamo aggiungere, infine, la situazione dei Mapuche e delle altre comunità originarie che sono materialmente e simbolicamente isolate dal sistema. Si potrebbe continuare ancora, con le non poche periferie urbane circondate da muri che separano i quartieri poveri dalle lussuose residenze private.

Oggi il sistema è basato su un modello di accumulazione per espropriazione che genera enormi disuguaglianze. È un modello di esclusioni, che lascia fuori due terzi o più della popolazione e in cui i giovani non hanno futuro, specie se hanno un colore della pelle diverso da quello delle classi medio-alte. Fanno parte tutti della “popolazione eccedente” , quella che secondo Agamben può essere uccisa senza che questo costituisca un delitto.

 

La versione in castigliano dell’articolo che ci invia Zibechi è uscita su Pelota de Trapo

Traduzione per Comune-info: marco calabria

da qui

Nessun commento:

Posta un commento