sabato 15 aprile 2023

Perché il consumo del pesce non è così salutare? - Simona Mazza

 

Nella dieta mediterranea il consumo del pesce è contemplato circa due volte a settimana. Questa alimentazione consente di ridurre il rischio di malattie croniche, cardiovascolari e metaboliche oltre a prevenire l’insorgenza di tumori.

Inoltre i sostenitori di tale dieta sono convinti che la pesca sia meno crudele e distruttiva dell’agricoltura. Teoria abbracciata anche da coloro che hanno scelto di eliminare la carne dalle loro tavole. In questo articolo sveliamo perché questa teoria non ha ragion d’essere.

Il consumo del pesce secondo gli studiosi

Partiamo da un esempio: le linee guida del Regno Unito raccomandano di mangiare almeno due porzioni di pesce da 140 g a settimana, una delle quali dovrebbe essere grassa.

Questo per la diffusa convinzione che mangiare pesce grasso o assumere integratori di olio di pesce omega-3 riduca il rischio di malattie cardiache, ictus e morte.

Un contributo volto a sfatare questi miti è arrivato dalla dottoressa Justin Butler, laureata presso l’Università di Bristol con un dottorato di ricerca in biologia molecolare e una laurea triennale in biochimica presso la UWE.

L’apporto di grassi essenziali

Il consumo del pesce consentirebbe di ottenere la quota raccomandata di acidi grassi essenziali, chiamati così perché non possiamo produrli autonomamente, ma dobbiamo ottenerli dal cibo.

La dottoressa afferma che non è necessario mangiare pesce per assimilare tali grassi, poiché i pesci stessi li ricavano mangiando alghe e plancton.

In particolare, l’ALA è un acido grasso essenziale omega-3 presente negli alimenti vegetali come semi di lino, semi di colza, soia, noci, e oli estratti da tali cibi. Viene convertito nei nostri corpi in EPA e DHA omega-3 a catena più lunga.

Nel 2018 una recensione ha rilevato che l’aumento di EPA e DHA da integratori di pesce grasso o olio di pesce non ha avuto alcun beneficio significativo a carico del cuore.

Al contrario, si è scoperto che l’ALA ricavata da alimenti vegetali può ridurre leggermente il rischio di eventi cardiovascolari e aritmia (ritmo cardiaco anormale).

Tesi sostenuta anche dal British Journal of Nutrition (2018), secondo cui una maggiore assunzione di ALA dai cibi vegetali comporta un minor rischio di malattie cardiache.

Molti altri studi hanno confermato che consumare questo grasso direttamente dagli alimenti vegetali, sia decisamente più salutare.

Mercurio in aumento. Un pericolo da non sottovalutare

Secondo alcune ricerche, l’assunzione di pesci grassi e supplementi di olio di pesce può addirittura sortire l’effetto opposto rispetto a quello dichiarato, aumentando il rischio di eventi cardiovascolari.

Secondo l’American Heart Association, il consumo del pesce comporta dei rischi connessi alla presenza di agenti inquinanti quali il metilmercurio, bifenili, policlorutati e diossine.

Queste sostanze hanno ormai contaminato mari e oceani e si accumulano specialmente nei pesci grassi, annullando di fatto qualsiasi presunto effetto benefico degli omega-3.

Tra i vari studi, è stato rilevato che in Finlandia orientale la presenza del mercurio nei pesci è consistente al punto che gli uomini possiedono un livello elevato di questo elemento nei capelli. La quantità di pesce che mangiano è proporzionale all’aumento del rischio di morte cardiovascolare.

Gli allevamenti ittici e la contaminazione delle acque

Gli allevamenti ittici sono fonte di trasmissione di malattie e causano inquinamento nelle acque. La fauna marina è costantemente inquinata da agenti organici persistenti, antibiotici e sostanze chimiche da trattamenti parassitari.

Le acque sono contaminate da anestetici e disinfettanti, additivi per mangimi, metalli e anti vegetativi.

I pesci di allevamento inoltre contengono una quantità ridotta di omega-3, in quanto vengono alimentati con oli vegetali ricchi di omega-6, oltre a ricevere farina di pesce e oli di pesce.

Il consumo del pesce a livello etico

C’è infine l’insensata convinzione che i pesci non soffrano. Numerose ricerche scientifiche, incentrate sui collegamenti neurologici, dimostrano che i pesci provano paura e dolore cosciente, proprio come gli altri animali.

Ogni pesce catturato muore per soffocamento. Quelli catturati in acque profonde soffrono ancora di più perché quando vengono tirati in superficie, la depressurizzazione può far esplodere i loro organi o sporgere lo stomaco dalla bocca.

Anche se può sembrare assurdo, i pesci sono capaci di rapporti empatici, come testimonia uno studio pubblicato su Nature nel 2017, secondo cui i pesci si affidano all’interazione sociale e alla comunità per affrontare eventi stressanti.

L’alternativa vegetale al consumo del pesce

Per ottenere grassi essenziali non c’è bisogno di distruggere gli oceani, né di infliggere dolore ai pesci o mangiare neurotossine e sostanze cancerogene.

Gli alimenti vegetali possono sostituire il consumo del pesce. Garantiscono il fabbisogno giornaliero di grassi essenziali utili a mantenere il cuore sano e combattere le condizioni infiammatorie come l’artrite.

I cibi con queste proprietà sono ad esempio olio di semi di lino, olio di semi di canapa, olio di colza, noci e alghe.

In aggiunta, si possono assumere dei validissimi integratori vegan omega-3 a base di alghe che forniscono EPA e DHA. Questa alternativa non presenta rischi di contaminazione e consente di ridurre le preoccupazioni etiche e ambientali connesse al consumo del pesce.

Ricordate: le fonti vegetali di omega-3 sono sostenibili, i pesci no.

https://www.kulturjam.it/salute-ambiente/perche-il-consumo-del-pesce-non-e-cosi-salutare/

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