lunedì 24 aprile 2023

Julia Ituma. La fragilità e il silenzio - Roberto Bertoni Bernardi

  

Non sappiamo come siano andate le cose e neanche c’interessa saperlo, almeno in questo momento. Attendiamo l’evoluzione delle indagini e che ogni tassello della vicenda vada al suo posto. Non ci azzardano a compiere ricostruzioni affrettate e, meno che mai, ci lasciamo andare a giudizi impropri e irrispettosi. La tragedia di Julia Ituma, la giovanissima pallavolista della Igor Novara che se n’è andata qualche giorno fa, precipitando dal sesto piano dell’albergo in cui soggiornava con la squadra a Istanbul, ci ha lasciato senza parole. Anche per questo, per qualche giorno, abbiamo preferito rimanere in silenzio.

Abbiamo preferito aspettare, anche perché non sapevamo rispondere ad alcuna domanda, non avevamo chiaro cosa fosse avvenuto e, a dire il vero, non abbiamo certezze nemmeno ora che abbiamo deciso di affrontare l’argomento. La triste realtà è che non sappiamo nulla, tanta è la tragicità di questa vicenda. E allora possiamo fare una sola cosa: immaginare. Immaginiamo la fragilità, il dolore, la sofferenza di questa ragazza e ci guardiamo bene dal giudicarla. Immaginiamo il suo sentirsi piccola pur essendo diventata grande, applaudita, potremmo dire famosa. Immaginiamo il suo tormento interiore e non diciamo altro, proprio perché ogni parola può essere una pietra e noi non abbiamo alcuna intenzione di scagliare massi contro una vita che non c’è più, contro la normalità stravolta della sua famiglia, delle sue amiche e delle sue compagne di squadra. 

Si pensava che Julia potesse essere l’erede di Paola Egonu, ma ormai questa considerazione non ha alcun valore. E anche solo dirlo, anche solo preoccuparcene, anche solo volerla classificare in qualche modo costituisce una mancanza di rispetto. Ciò su cui sarebbe opportuno riflettere, di fronte a questa storia che non consente di giungere ad alcuna conclusione, è invece quanta apparenza, quanta violenza sotterranea, quanta ingiustizia e quanta fragilità ci sianonella nostra società. E chi irride ragazze e ragazzi che chiedono aiuto, chi si scaglia contro la presenza dello psicologo a scuola, chi continua a esaltare un modello di crescita e di sviluppo dissennato, chi non si ferma davanti a niente e a nessuno, chi punta il dito contro le denunce di questa generazione, sottoposta a uno stress senza precedenti, almeno dal dopoguerra, tutte queste persone non meritano la benché minima considerazione. Compiono, infatti, inutili provocazioni che qualificano chi se ne rende protagonista. 

 

Tornando a Julia, noi non possiamo fare altro che inchinarci di fronte alla sua storia, manifestare solidarietà e affetto ai suoi cari e augurarci di non dover mai più scrivere un articolo del genere. Ci auguriamo che lo sport possa essere un antidoto alla debolezza e al senso di frustrazione e di sconfitta che pervade tanti, troppi ragazzi e ragazze. Speriamo che l’agonismo non prevalga mai sulla dignità umana e sul doveroso rispetto per il prossimo. E ci affidiamo al silenzio, alle lacrime, alla dolcezza, alla comprensione e alla totale sospensione di ogni giudizio. Non spetta a noi, non ne abbiamo alcun titolo e, sinceramente, per quanto ci interessi sapere come siano andate effettivamente le cose, crediamo che in questo caso anche parlare di verità sia un po’ forzato.

L’unica verità è che abbiamo perso una ragazza splendida, prim’ancora che una campionessa: forse perché non abbiamo saputo ascoltarla, capirla, starle vicini quando ne avrebbe avuto bisogno. Ci siamo fermati in superficie, come troppo spesso ci accade, in questa società in cui non c’è alcuna attenzione nei confronti degli ultimi, di chi rimane indietro, dello strazio e della sofferenza altrui. Abbiamo costruito un paradigma per cui un atleta, maschio o femmina che sia, non può permettersi di avere dei cedimenti. Non lo accettiamo, lo riteniamo indegno. Abbiamo smesso di porre l’essere umano di fronte al fuoriclasse. Abbiamo introiettato un’idea robotica delle persone e continuiamo a riempirci la bocca di termini come “competizione” e “merito”. Poi accade l’irreparabile e ci scopriamo nudi, senza tuttavia rinunciare a dire la nostra, a sparare il titolo a effetto in prima pagina, a pubblicare il commento pensoso e fuori luogo. 

Cara Julia, noi di parole crediamo di averne spese fin troppe. Possiamo solo salutarti con un commosso addio.

da qui

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