Giù le mani dagli ecoattivisti di Ultima Generazione minacciati dalla repressione su misura del governo Meloni
Dalla discussione del Consiglio dei Ministri di ieri, a margine del DEF (il documento di programmazione finanziaria del Governo), sono uscite due proposte. Entrambe sono espedienti per distogliere l’attenzione dal fatto che il Governo, da un lato, non mette in programma le risorse che aveva promesso al mondo del lavoro, a partire da salario e pensioni; dall’altro, non riesce a risolvere politicamente alcuni dei temi politici più urgenti del paese, a partire dall’ondata migratoria che proviene dalla Tunisia e dalla crisi energetica. Come per il decreto rave, se non riesci a risolvere un problema, la cosa più facile è brandire il pugno di ferro e gestire la politica come fosse un problema di ordine pubblico. Ti inventi un nuovo reato, una nuova emergenza, un’altra ondata di repressione e criminalizzazione.
È così che ieri sono uscite dal Consiglio dei Ministri
queste due proposte: l’istituzione dello stato di emergenza sull’immigrazione
(si parla addirsi di una possibile chiusura della frontiera con la Slovenia!) e
un pesante inasprimento delle pene (retroattivo!), cucito addosso agli
attivisti e alle attiviste di Ultima Generazione e di altri gruppi simili,
definiti in senso dispregiativo «ecovandali».
Nella bozza, si legge: «Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in
tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici
propri o altrui è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una
somma da euro 20 mila a euro 60 mila». (…) «Chiunque deturpa o imbratta beni
culturali o paesaggistici propri o altrui, ovvero destina i beni culturali a un
uso pregiudizievole per la loro conservazione o integrità ovvero ad un uso
incompatibile con il loro carattere storico o artistico, è punito con la
sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10 mila a euro 40
mila». I proventi delle sanzioni saranno devoluti al Ministero della Cultura
per il ripristino dei beni, «a prescindere dall’appartenenza pubblica o privata
dei medesimi».
Come è ovvio, il reato esiste già. È l’articolo 733
del Codice Penale e incrimina «chiunque distrugga, deteriori o comunque
danneggi un monumento o altra cosa propria di rilevante pregio, purché ciò
cagioni un nocumento al patrimonio archeologico, storico o artistico della
nazione». Quello che viene introdotto è un inasprimento severo della pena e
soprattutto un messaggio di tolleranza zero verso le iniziative dei gruppi per
la giustizia climatica, ormai sempre più noti e evidentemente importanti,
altrimenti non servirebbe tanta enfasi per provare a fermarli.
Se il Governo impiegasse altrettanta determinazione nel dare risposte ai temi
della siccità, della transizione energetica e della crisi climatica, forse
saremmo un paese migliore. Anche se venisse usata altrettanta fermezza contro
chi inquina, devasta, saccheggia, cementifica, distrugge valli, fiumi, laghi, territori
interi.
Peraltro i ragazzi e le ragazze di Ultima Generazione non sembrano così facili
da piegare e se il Governo pensa che si lascino impaurire tanto facilmente, a
occhio e croce, pecca di sottovalutazione, non soltanto di loro, ma soprattutto
della causa che stanno portando avanti. Il pugno di ferro e l’olio di ricino
non funzionano sempre e, a volte, la repressione non rende più debole la
militanza, ma al contrario la irrobustisce. Soprattutto se è in gioco la
salvaguardia del pianeta e il futuro stesso di una generazione che mette in
conto di essere «l’ultima».
La scelta di criminalizzazione del consenso non è
certo imprevedibile da parte di questo Governo. Va però detto che questa
decisione è frutto del clima di caccia alle streghe che è montato in queste
settimane contro le iniziative di Ultima Generazione, sui social, nell’opinione
pubblica e in larga parte nella rappresentanza politica, in modo abbastanza
trasversale. Il punto è la loro scelta di usare anche monumenti, opere d’arte e
palazzi storici come mezzi per veicolare al grande pubblico le loro azioni.
Scelta in tutta evidenza efficace per uscire da quel cono d’ombra in cui
altrimenti rimarrebbero, come infinite altre vertenze e cause. Non certo per
colpa loro, ma a causa di un sistema di informazione che difficilmente ti dà
ascolto se non usi metodi eclatanti, indipendentemente da quanto sia importante
e urgente quello che denunci.
Premetto che amo l’arte, ne studio la storia e mi appassiona il mondo del
restauro, ma questo clima mi porta a una considerazione, forse non popolare.
Questa diffusa indignazione intorno alla difesa dell’arte e alla sua
intoccabile importanza mi pare, a volte, più perbenista che convinta. Anche
perché c’è un incontrovertibile dato di fatto: ad oggi, dopo mesi di iniziative
del movimento sulla giustizia climatica, nessuna opera d’arte «si è fatta
male». Il pianeta, il clima, la natura, nel frattempo, hanno invece continuato
a bruciare.
A me pare incredibile che si dovesse attendere che un gruppo di ragazze e
ragazzi decidesse di metterci in guardia sul collasso del pianeta per
accorgerci di quanto siano inviolabili e preziose le opere d’arte di questo
paese.
Se ci si indigna per i danni prodotti dalla iniziative di Ultime Generazione
sulle opere d’arte, danni che oggi si approssimano allo zero, perché invece si
rimane più o meno indifferenti ai danni causati dal turismo di massa, per
esempio, a Pompei? Alle alluvioni nel parco archeologico della piana di Sibari.
All’inquinamento che quotidianamente rovina opere all’aperto nelle nostre
grandi città.
Lo sapete, tanto per dire, che la Piramide Cestia a
Roma è solo recentemente tornata bianca, perché dopo decenni di inquinamento
era talmente annerita da attirare l’attenzione di un ricchissimo mecenate
orientale ossessionato dal bianco, che ha deciso di finanziarne a sua spese il
restauro?
Perché a Roma istituzioni e opinione pubblica insorgono perché non sopportano
di vedere l’acqua nera di carbone vegetale nella Barcaccia di Piazza Spagna, ma
non gli interessa se il giorno dopo i turisti ci buttano dentro bottiglie vuote
come fosse un cestino della spazzatura. Perché, per fare un altro esempio,
l’opinione pubblica ha più o meno taciuto quando si è deciso di costruire la
metropolitana sotto il Colosseo e i Fori Imperiali?
L’arte è preziosa e inviolabile, è necessaria come ogni bene comune, è
insostituibile come l’aria che respiriamo e l’acqua che beviamo, vale più di
ogni pozzo di petrolio al mondo. Allora perché un paese come questo, che ne è
una delle più antiche culle, normalmente la trascura, la lascia all’incuria, la
consegna come se niente fosse al mercato, la sfrutta a uso e consumo del
turismo di massa, costringe chi ci lavora a precarietà, bassi salari, catene
infinite di appalti e subappalti, lavoro gratuito e gavette infinite. Perché
opinione pubblica e istituzioni se ne accorgono solo quando Ultima Generazione
la usa come veicolo per comunicare che un bene per definizione ancora più
prezioso e primario come il pianeta stesso sta per implodere.
A me pare ipocrita questo meccanismo. E mi fa infuriare ancora di più quando
proviene da sinistra. Da destra me lo aspetto: chi si schiera con le
multinazionali del fossile, perché dovrebbe perdere l’occasione di attaccare il
movimento per la giustizia climatica. Non mi aspetto chi invece si professa
progressista, democratico e ambientalista, chi da un lato dice che hanno
ragione i ragazzi e le ragazze di Ultima Generazione, d’altro li biasima perché
usano l’arte in modo provocatorio.
La cosa che più mi fa infuriare è il paternalismo di coloro che dispensano
giudizi e consigli come Gesù nel tempio. «Avete ragione ma sbagliate nei metodi
che usate!»
Erano allora giusti i metodi che abbiamo usato noi e
ancora prima la generazione precedente alla mia e ancora indietro? È stato giusto
sottovalutare gli scienziati che ci dicevano decenni fa che così il pianeta non
reggeva?
Secondo me, una volta ogni tanto, dobbiamo essere noi a fare autocritica e
ammettere che siamo noi quelli che hanno sbagliato, perché anche se lo sapevamo
da sempre, abbiamo lasciato correre il conto alla rovescia di quanto mancava
alla fine del mondo, tanto era lontano. Ora, questi ragazzi e ragazze non
possono più fare finta di niente, sono «ultima generazione». E davvero pensiamo
di avere l’autorità di consigliare, giudicare, venire a dire loro che
sbagliano, peggio ancora, lasciare che un governo di destra radicale li
criminalizzi.
Sarò provocatoria, ma se pensiamo che abbiano ragione, se pensiamo che non c’è
più tempo, che è esaurito anche il tempo della sensibilizzazione, se pensiamo
che i governi non hanno più tempo di rimandare, se pensiamo che la salvaguardia
del pianeta non possa più essere graduale né indolore e che ambiente e profitto
saranno su due lati opposti del tavolo. Insomma, se hanno ragione, dobbiamo
difenderli, appoggiare le loro lotte e al limite ammettere che sono
responsabili perché la zuppa di pomodoro l’hanno lanciata sul vetro e non sulla
tela di Van Gogh invece che sul vetro. Non dobbiamo accusarli ma ringraziarli
per quanto sono intelligenti nel decide di essere provocatorii, si, ma non
violenti. Altro che 40mila euro di multa.
Anche perché, se trasmettere l’arte ai posteri è un dovere assoluto
dell’umanità, la prima preoccupazione che dobbiamo avere è che ci sia un
pianeta da tramandare alle generazioni future.
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