Un giorno d’estate del 2019 Sergej Vorobev, 42 anni, è andato nel suo orto alla periferia del villaggio di Ozernovskij perché alla moglie era venuta voglia di frutti di bosco. “Arrivo sul posto, esco dalla macchina, mi guardo in giro, e chi ti trovo? Winnie the Pooh. Seduto nel mio orto a mangiare fragole”, racconta Sergej. “A quel punto risalgo in macchina, apro il finestrino e gliene canto quattro: ‘Ma come ti permetti? Mica l’ho coltivato per te! Lo sai quanto costano i frutti di bosco al negozio?’”.
L’orso ha
dato un’occhiata intorno, si è alzato e ha messo da parte un mucchietto di
fragole, guardando Sergej. “Nel linguaggio degli orsi è un gesto di noncuranza.
‘Merda’, mi sono detto. E sono andato a comprare le fragole surgelate”.
D’altra
parte l’orso va capito, aggiunge Sergej: “Noi andiamo nella tundra a rubargli
le bacche, gli portiamo via il pesce dai fiumi e lui non dice nulla. Se viene a
rubare la frutta, non lo fa con cattive intenzioni: è la fame che lo spinge”.
Il villaggio
di Ozernovskij si trova all’estremità meridionale della Kamčatka. Ci vivono
1.560 persone: è il più grande insediamento della cosiddetta macchia di
Ozernovskij (Ozernovskij kust), che comprende anche i villaggi di Zaporože (549
abitanti), Paužetka (78) e Šumnyj (23). Da queste parti la popolazione di orsi
non è molto inferiore al numero di abitanti. La macchia di Ozernovskij confina
con la riserva naturale della Kamčatka meridionale, abitata da circa mille orsi
bruni. Anche per la Kamčatka, dove in totale vivono più di 24mila orsi, è un
numero molto elevato rispetto alla superficie.
Incontri ravvicinati
I villaggi di Ozernovskij e Zaporože sono uno di fronte all’altro sulla costa
del mare di Ochotsk, alla foce del fiume Ozernaja. E gli orsi ci vivono da
decine di migliaia di anni, a differenza degli uomini, che sono arrivati poco
più di un secolo fa.
Il motivo
che ha portato qui animali e persone è il salmone: rosa, keta, reale, argentato
e rosso, il più pregiato. Risalendo l’Ozernaja si raggiunge il lago Kuril, la
più grande area di riproduzione del salmone rosso dell’Asia.
A
Ozernovskij e Zaporože le strade non sono asfaltate, ma costellate di enormi
buche e pozzanghere. L’edificio dell’ospedale è talmente vecchio e malmesso che
sembra essere stato bombardato da poco. E poi ci sono i terremoti: l’ultimo,
molto forte, nella primavera del 2020. La gente del posto dice che a volte la
terra trema così violentemente che sembra di stare in treno.
Dalle mura
delle classiche palazzine di quattro piani la vernice è scrostata. Alcune case
sono dipinte di blu o di arancione, colori che contrastano con il grigio della
natura circostante. Ai margini del villaggio ci sono gli orti di patate, dove
crescono anche i frutti di bosco.
Nell’estate
del 2014 Vasilij Tretjakov, un tornitore di uno stabilimento locale, era andato
a piantare le patate. Finito il lavoro, a una decina di metri di distanza aveva
visto un orso. L’animale si era voltato e se n’era andato per la sua strada.
Dopo aver aspettato un po’, anche Vasilij aveva deciso di tornare a casa. Stava
percorrendo il sentiero lungo il fiume quando, all’incrocio con la via centrale
del villaggio, si è ritrovato faccia a faccia con l’orso. “Mi ha fissato. Poi
si è alzato sulle zampe posteriori e ha fatto un balzo”, ricorda Tretjakov. “Ho
cominciato a urlare a squarciagola, al che lui si è fermato e ha spalancato gli
occhi. Ho pensato che fosse arrivato il mio momento”.
Tretjakov
non sa spiegarsi perché non è scappato subito a gambe levate. In due passi
l’animale l’ha raggiunto, l’ha azzannato a una natica e l’ha steso a terra con
la zampa. Fortunatamente proprio in quel momento stava passando in macchina un
vicino, Žora Židomorov, che ha rivolto la jeep contro la bestia e l’ha colpita
con il paraurti. Prima che l’orso lasciasse la presa ci sono voluti tre
tentativi. Alla fine ha ruggito e si è allontanato. Židomorov ha caricato
Tretjakov e l’ha portato in ospedale. Poi ha raccontato dell’aggressione a un
guardacaccia locale, Dmitrij Lobov.
“L’istinto
ha funzionato, per l’uomo come per l’orso”, sostiene Lobov, che insieme ai suoi
colleghi per tre giorni ha cercato la bestia responsabile dell’attacco. “L’orso
ha capito di essere il più forte e di poter rincorrere l’uomo. E quando l’ha
afferrato, si è reso conto che Vasilij era impotente”. Al sentore del sangue,
l’animale è diventato aggressivo. Se non fosse arrivato l’amico, difficilmente
Tretjakov sarebbe sopravvissuto. “Molto probabilmente l’orso l’avrebbe
trascinato via e sotterrato. L’aggressione è avvenuta all’inizio di luglio,
quando nei fiumi non c’è ancora pesce. Evidentemente l’animale aveva bisogno di
proteine”.
L’orso è
stato riconosciuto da un segno particolare: la punta molto chiara, quasi
bianca, delle orecchie. Come poi si è scoperto, un pescatore lo aveva ripreso
mentre si dirigeva verso il villaggio. Anche se le visite degli orsi nei
villaggi sono frequenti, tutti cercano di filmare ogni incontro.
Alla fine
l’animale è stato trovato su una collina non lontano dal villaggio. Sembrava
che sapesse già il motivo della visita: ha cercato di scappare, ma l’hanno
circondato e gli hanno sparato.
Tretjakov ha
passato un mese in ospedale e un altro a casa in malattia. Dopo l’attacco ha
abbandonato l’orto.
A Zaporože
molte persone vivono in casette che hanno anche l’orto. Ai bordi delle strade
ci sono cespugli alti e fitti e in giro non si vede nessuno. Quando scorgono un
pedone, i conducenti delle auto si fermano, gli spiegano che camminare è
pericoloso e gli offrono un passaggio. Da queste parti, per andare a piedi
bisogna essere in gruppi di tre o quattro, camminare al centro della
carreggiata, lontano dalla vegetazione, e parlare molto e ad alta voce. Gli
orsi hanno una vista difettosa ma un ottimo udito: se sentono che qualcosa di
rumoroso si avvicina, cercano di evitare l’incontro.
Lo scorso
autunno di orsi in giro se ne sono visti più del solito. “I fiumi erano vuoti,
gli orsi non avevano accumulato grasso e stavano per andare in letargo. Senza
uno strato di grasso sufficiente non avrebbero superato l’inverno. Per questo
sono venuti nei centri abitati”, spiega Nadežda Martynjuk, che vive a Zaporože.
La casa dei
Martynjuk si trova a cinquecento metri dal mare di Ochotsk, vicino a una
collinetta ricoperta di erba alta. In lontananza si vedono i sentieri
calpestati dagli orsi. Il cortile non è recintato, nell’orto crescono patate,
qualche fragola e cespugli di ribes nero.
Più che
dalle visite degli orsi, Nadežda è infastidita dalla loro cattive maniere. “Alcuni
vengono, prendono le fragole più mature e se ne vanno. Altri calpestano tutto e
sradicano i cespugli. Ma non c’è niente da fare, non lo fanno apposta”. Quando
un orso si avvicina, l’husky Fifa avverte la famiglia con i suoi latrati.
Allora la madre si siede vicino alla finestra e il figlio esce sul portico. Lo
osservano. A volte Michail filma gli animali e pubblica i video su Instagram. A
scacciarli non ci prova neanche: “Potrei delimitare il giardino con delle
trappole o comprare un’arma e sparargli, ma non siamo così pazzi da metterci a
sparare agli animali. Questa è casa loro, siamo noi gli ospiti”.
Michail fa
l’idraulico in uno stabilimento ittico. Non si è ancora trasferito altrove
perché deve prendersi cura della madre anziana, ma sogna di poter scappare
“sulla terraferma”, come qui chiamano il resto della Russia. “Perché lì fa più
caldo e c’è la frutta, che da noi costa un patrimonio”. Poi s’interrompe
bruscamente. “Eccolo che arriva!”, esclama felice. Nei cespugli di fronte alla
casa si sente un rumore e si vede la testa di un orso. La bestia si mette a
correre verso il fiume. Cinque minuti dopo in lontananza si sentono degli
spari.
Un piede e una bottiglia di vodka
La costa del
mare di Ochotsk è in gran parte sabbiosa. Sul mare incombono nuvole grigie, in
cielo volano i gabbiani e al largo si vedono dei pescherecci. Nell’aria c’è
odore di pesce. La sabbia, nera e vulcanica, è segnata da impronte di animali.
Di tanto in tanto il mare deposita sulla riva resti di pesci, molluschi e
balene. Per questo gli orsi vengono spesso da queste parti. Anche lo
stabilimento per la lavorazione del pesce Rkz n. 55 ha un odore
inconfondibile. La gente del posto chiama questa zona “la mensa degli orsi” ed
evita di andarci senza un buon motivo.
Nell’agosto
2019 un tecnico di Petropavlovsk-Kamčatskij era venuto a riparare l’impianto di
ventilazione della fabbrica. Finito il lavoro, aveva deciso di fare una
passeggiata e ubriacarsi: il giorno prima era stato il suo compleanno. La
mattina dopo gli operai hanno trovato uno scheletro rosicchiato sulla battigia,
un piede staccato dal corpo e una bottiglia di vodka aperta. La polizia ha
subito pensato all’attacco di un orso e ha convocato Anatolij Kosolapov, un
guardacaccia di ottant’anni che fa parte del gruppo incaricato di rintracciare
gli animali che entrano nei luoghi abitati. Il gruppo è stato creato da alcuni
residenti di Ozernovskij e Zaporože nel 2010.
Sapendo che
l’orso sarebbe sicuramente tornato a rosicchiare i resti, Kosolapov e altri
guardacaccia sono saliti in macchina e si sono messi ad aspettare.
All’imbrunire l’orso era sulla riva. Non avendo trovato quello per cui era
venuto, si è alzato sulle zampe posteriori e ha cominciato a fiutare l’aria.
Presto ne è arrivato un altro. I guardacaccia hanno sparato a entrambi e poi,
nel dubbio, ad altri due orsi che vagavano nelle vicinanze.
Nello
stomaco dei primi due sono stati trovati frammenti del corpo dell’uomo e dei
suoi vestiti; uno degli animali emanava un forte odore di alcol. “Un orso che
ha assaggiato carne umana è considerato pericoloso. Per questo li abbiamo
abbattuti”, spiega Kosolapov. L’orso in teoria non considera le persone come
cibo, ma una volta che si rende conto che gli esseri umani sono prede facili, è
portato a uccidere di nuovo.
Le carcasse
degli orsi uccisi di solito sono trasportate in un luogo apposito su una delle
colline intorno al villaggio, gettate in grosse buche e bruciate o coperte con
diversi metri di terra, per evitare che siano mangiate da altri animali. La
maggior parte degli orsi della Kamčatka è infettata dai parassiti che causano
la trichinosi. La loro carne non è commestibile. In epoca sovietica gli orsi
infetti erano pochi, spiega Dmitrij Lobov, ma negli anni novanta è cambiato
tutto. “I bracconieri uccidevano un sacco di animali e lasciavano in giro le
carcasse, che venivano mangiate da altri orsi. Così pian piano si sono
infettati tutti”.
A quei tempi
si uccidevano gli orsi per l’equivalente di trenta o quaranta euro di oggi,
anche solo per le zampe o la bile, destinate al mercato cinese, dove le prime
sono considerate una prelibatezza e la seconda è usata nella medicina
tradizionale. Kirill Volkov, direttore della fabbrica Rkz n. 55, ricorda che
negli anni novanta la polizia gli chiedeva di “conservare nel frigo della
fabbrica tonnellate di zampe d’orso. Una zampa pesa due chili”.
Negli anni
novanta i bracconieri cacciavano non solo gli orsi, ma anche il salmone.
Preparavano reti enormi, sventravano i pesci in riva ai fiumi, tiravano fuori
il caviale e gettavano le carcasse. Alcuni lo facevano per soldi, altri per
mangiare. Come in gran parte della Russia, anche in Kamčatka in quel periodo
spesso gli stipendi non venivano pagati per mesi. Qui la gente mangiava caviale
rosso e salmone, ma non aveva olio o cereali. Il salmone era usato perfino come
mangime per polli e maiali.
Gennadij
Čumičev, 58 anni, di Paužetka, in quegli anni faceva il conducente di
fuoristrada per una centrale geotermica. Ricorda di non aver ricevuto lo
stipendio per quattro anni. Come molti altri, si diede al bracconaggio: “Per
sopravvivere. Mettevo una rete nell’Ozernaja e scambiavo un sacco di salmone
per un sacco di zucchero o di farina con i ‘commercianti’ che venivano apposta
da queste parti. Per un secchio di caviale rosso mi davano una tanica di olio
di girasole”.
Una volta
trovò vicino alla sua rete un orso che gli rubava il pesce: “Lo prendeva
direttamente con la zampa, senza strappare la rete, e se ne andava”. Aspettò
che l’animale si fosse allontanato, poi si avvicinò e improvvisamente il suo
cane, Ryžik, si mise ad abbaiare. Allora si voltò. L’orso era ancora lì, in
piedi, “grosso come una ruspa”. Čumičev sparò e lo ferì alla zampa. Gli eventi
successivi sono resi alla perfezione nel suo infervorato monologo, che
riportiamo letteralmente: “Me l’ha fatta, sì… E che intelligenza! Così gli
sparo altri due colpi, ma non lo sfioro nemmeno. Salgo su un ramo, ricarico il
fucile e lui viene dritto verso di me. Allora butto il fucile e corro via. Ma
ormai a che serve? La morte va affrontata non con il culo, ma con gli occhi. Mi
giro e lui mi viene incontro. È forte, sano, si vede dalle contrazioni dei
muscoli. Decido di corrergli intorno, così non può acchiapparmi, e continuo a
correre. Ma all’improvviso mi afferra, mi solleva in aria e mi scaraventa a
terra. Dalla paura l’anima mi esce dal corpo e se ne vola via da qualche parte.
Guardo il mio corpo dall’alto come se fosse di qualcun altro e vedo al
rallentatore come mi afferra per una gamba e comincia a sbattermi di qua e di
là. In quel momento vedo sopra di me l’immagine della mia mogliettina Nadia che
mi dice: ‘Caro, ci stai lasciando’. È proprio così, non voglio tornare
indietro. Ho conquistato il paradiso. In quel momento capisco tutto: passiamo
la nostra vita nell’illusione, cerchiamo di dimostrare qualcosa, perdiamo il
tempo in stupidaggini. Invece ora mi sento beato: nessun dolore, nessuna paura,
nessuna illusione. Il tempo si è fermato. Ma poi mi ricordo che a settembre
devo portare mio figlio in prima elementare, l’ho sognato tanto quel giorno.
Allora rientro nel mio corpo. E proprio in quell’istante l’orso smette di
tormentarmi. Sento che c’è la mano di Dio a proteggermi, mi alzo e gli vado
incontro come un pazzo, agitando le braccia. Alla fine gli sparo. Urlo, lui
ruggisce e mi guarda. Poi si gira verso la tundra, mi guarda per l’ultima volta
e se ne va”.
Čumičev
racconta che dopo quell’esperienza si era sentito particolarmente orgoglioso di
essere sopravvissuto a un orso. Continuava a cacciare – orsi, visoni e
zibellini – e vendeva le pelli all’impresa statale Gospromchoz. Ma poi, durante
le bevute serali con il fratello gemello, ha cominciato a riflettere sul senso
delle sue azioni. “Ho capito che, quando si caccia, si ruba energia. Non c’è
amore. Ci si arricchisce materialmente, ma l’anima s’inaridisce”, dice. Così
una sera ha raccolto tutte le pelli preparate per la vendita e le ha bruciate.
Da allora non va più a caccia: coltiva cetrioli e pomodori in una serra da cui
si vede il vulcano Kambalnyj. Accanto a casa sua ci sono mucchi di escrementi
di orso. Ma quando esce, Čumičev non porta più con sé il fucile o il razzo di
segnalazione. Dice che ha smesso di avere paura.
Fino in città
Vedere un orso “è sempre una magia”, dice Ekaterina Berzinš. Poi precisa:
“Ovviamente se sei al sicuro in macchina”.
Berzinš è
cresciuta qui. Fa la veterinaria a Ozernovskij e ricorda che da bambina
riusciva a vedere solo le sagome lontane degli orsi al risveglio dal letargo,
in primavera. “Vedevo un punto nero su una collinetta coperta di neve e
pensavo: che bello, anche quest’anno ho visto un orso”, racconta ridendo. “Oggi
basta uscire di casa per incontrarne uno”.
Negli anni
settanta e ottanta gli orsi non entravano quasi mai nei villaggi, afferma il
guardacaccia Lobov: “I fiumi brulicavano letteralmente di pesce. Le orse
crescevano i cuccioli nella tundra. E i cuccioli non vedevano mai gli esseri
umani, ne avevano paura”. Solo di notte poteva succedere che un orso, impegnato
nelle sue faccende, si avvicinasse alle case.
Alla fine
degli anni duemila, però, gli orsi hanno cominciato a entrare nei villaggi la
sera tardi e la mattina presto. E poi anche in pieno giorno: senza curarsi
delle persone, si avventuravano negli orti e tra i cassonetti dell’immondizia.
La gente del posto è convinta che la colpa sia dell’industria ittica. “Molti
fiumi della zona sono completamente morti, non c’è più pesce”, dice Lobov, “e
nessuno si preoccupa del fatto che anche gli orsi devono nutrirsi”.
Sergej
Kolčin, ricercatore dell’Accademia delle scienze russa, è d’accordo. Negli
ultimi quattro anni ha studiato un gruppo di orsi nella riserva naturale della
Kamčatka meridionale e spiega che il 2020 per gli orsi è stato l’anno “con meno
cibo disponibile. La stagione della pesca è stata meno ricca delle precedenti,
e le aziende ittiche non hanno risparmiato nemmeno un pesce”. L’ultimo anno di
abbondanza è stato il 2017, quando nell’Ozernaja sono entrati grandi banchi di
salmoni.
Anche il
governatore della Kamčatka, Vladimir Solodov, sostiene che i fiumi della
regione sono “sovrasfruttati e senza risorse. E quello che succede a
Ozernovskij”, continua, “mostra chiaramente come l’assenza di pesce influenzi
il comportamento degli orsi: quando sono affamati, sono più aggressivi.
Dobbiamo assicurarci che abbiano pesce a sufficienza”.
Nel 2020
qualche orso si è fatto vedere anche nelle città più grandi della Kamčatka,
come Petropavlovsk-Kamčatskij ed Elizovo. A settembre soccorritori,
guardacaccia e poliziotti hanno passato settimane a cercare di catturare un
orso che era arrivato fino all’edificio del comune del capoluogo. Non aveva
attaccato nessuno, cercava solo da mangiare nei cassonetti.
Gli equilibri della natura
Gli orsi della macchia di Ozernovskij dipendono dalla disponibilità di salmone,
ma non riescono a cacciarlo nella profondità delle acque del lago Kuril, quindi
aspettano la seconda metà dell’estate, quando i pesci risalgono i fiumi per
deporre le uova. L’abbondanza di pesce è una festa per tutti, pescatori e orsi.
“Dopo aver placato i morsi della fame, gli orsi cominciano a nutrirsi
esclusivamente di caviale. E quelli che non sanno pescare si accontentano dei
resti lasciati dagli altri”, dice Liana Varavskaja, ispettrice della riserva
della Kamčatka meridionale. “In passato gli orsi riuscivano a sfamarsi senza
problemi. Sapevano che il pesce non mancava, ed erano meno aggressivi l’uno con
l’altro. Non solo i cuccioli, ma anche i maschi adulti giocavano tra loro. E i
casi di cannibalismo erano molto rari”.
Ma le cose
sono cambiate. Ai tempi dell’Unione Sovietica nella zona c’erano due sole
imprese ittiche: il kolchoz (azienda
agricola collettiva) Krasnyj truženik e lo stabilimento conserviero Rkz n. 55.
Oggi ci sono quattro fabbriche a Ozernovskij e cinque a Zaporože. I proprietari
sono Igor Redkin e Sergej Barabanov, che non hanno voluto rispondere alle
nostre domande. Nel 2019, quando gli è stato chiesto dei sempre più frequenti
sconfinamenti degli orsi nel villaggi, Barabanov ha minimizzato, affermando che
il pesce c’era, e in abbondanza, e che si era creata “una situazione
incomprensibile, sfruttata da individui disonesti”.
“È facile
dare la colpa ai pescatori”, ha aggiunto Redkin. “Ma il vero problema è la
riserva naturale, che non tiene sotto controllo la popolazione dei predatori.
Perché fanno affari con i turisti che vanno a fotografare gli orsi”.
Anche
secondo Kirill Volkov, direttore dello stabilimento Rkz n. 55, nei fiumi il
pesce non manca, e gli orsi hanno cominciato ad andare nei villaggi
semplicemente perché sono troppi e non vengono più uccisi dai bracconieri.
Quest’interpretazione
ha altri sostenitori: quando nel 2019 un orso ha fatto a pezzi un uomo nei
pressi di Ozernovskij, Sergej Mylov, direttore del giornale locale Čas Pik, ha
chiesto alla riserva naturale di Kronotskij, da cui dipende la riserva della
Kamčatka meridionale, di sopprimere la metà della popolazione locale degli
orsi.
Secondo
Kolčin, il ricercatore dell’Accademia delle scienze, è una proposta assurda:
“La riserva è patrimonio mondiale dell’Unesco. Il suo scopo è preservare
l’ecosistema: qualsiasi intervento umano sarebbe inaccettabile. Venire in aree
protette a sparare ad animali che le persone stesse stanno costringendo alla
fame non mi pare una buona idea, per usare un eufemismo”, continua Kolčin. “Gli
imprenditori ittici dovrebbero moderare la loro sete di profitto e stare
attenti a non distruggere gli equilibri della natura”.
Gli orsi
hanno dei meccanismi propri per tenere sotto controllo il loro numero. “Non si
riproducono come topi”, spiega Kolčin. Nel sud della Kamčatka, inoltre, spesso
i maschi di grandi dimensioni mangiano i cuccioli e gli orsi più deboli. Per
questo, le orse restano a lungo con i piccoli, fino a tre o quattro anni, e
saltano così diversi cicli riproduttivi. Se s’interviene in questi processi
naturali il gruppo “reagisce di conseguenza: gli esemplari subdominanti
cominciano a riprodursi più attivamente e il tasso di sopravvivenza dei giovani
aumenta”, aggiunge Kolčin.
Oltre che
per la mancanza di pesce, nel 2020 gli orsi hanno sofferto anche per la scarsa
disponibilità del pino nano, un altro cibo che amano molto. “C’è stata
un’ondata di cannibalismo senza precedenti, il tasso di sopravvivenza dei
cuccioli era molto basso”, dice Kolčin. In pochi sono sopravvissuti a quest’ondata
di fame. Liana Varavskaja conferma che il problema va avanti da tre anni: i
maschi sono sempre molto aggressivi e i combattimenti sono frequenti. La
mancanza di cibo costringe quindi gli orsi, attirati dall’odore dei rifiuti
alimentari, a spingersi nelle zone abitate. Anche in Alaska e in California gli
orsi vivono vicino alle persone, ma lì il problema dell’immondizia è stato
risolto cinquant’anni fa, spiega Kolčin: “Non ci sono discariche a cielo
aperto, e gli orsi non hanno accesso alla spazzatura”.
Secondo i
dati ufficiali, dice Andrej Lebedko, direttore dell’Agenzia per la protezione
delle foreste e della fauna selvatica della Kamčatka, nel 2019 nella macchia di
Ozernovskij sono stati abbattuti 35 orsi. Da gennaio a novembre del 2020 gli animali
uccisi sono stati invece 26. Tuttavia un guardacaccia locale, che ha chiesto di
restare anonimo, ci ha detto che due anni fa gli orsi uccisi sono stati almeno
120. Spesso da cittadini armati, che per autodifesa non si fanno scrupolo a
sparare.
Nella tundra
Nell’estate del 2020 ogni settimana i guardacaccia hanno ricevuto tra le 20 e
le 30 segnalazioni di avvistamenti di orsi a Ozernovskij e Zaporože. Gli
abitanti del posto conoscono la regola: se si avvista un orso, bisogna
comunicare il luogo e i tratti specifici dell’animale al gruppo incaricato di
rintracciare gli orsi che entrano nei luoghi abitati. A quel punto due membri
del team vanno sul posto. Quando trovano l’orso, fanno esplodere delle granate
stordenti per metterlo in fuga. Se l’animale si spaventa e torna nella tundra,
non c’è bisogno di abbatterlo. “Potrebbe semplicemente essersi perso”, dice
Lobov. Se invece si mette a ringhiare, attacca o cerca di nascondersi nel
villaggio, viene ucciso.
Sulla chat
di WhatsApp dei residenti di Zaporože a Ozernovskij le discussioni sugli orsi
sono frequenti. E sempre molto accese. Alcuni hanno un terrore assoluto degli
animali e vorrebbero abbatterli tutti, altri sono più comprensivi: gli lasciano
latte condensato e pesce vicino ai cassonetti, e perfino vicino agli orti.
Ekaterina
Berzinš è responsabile del controllo sanitario del caviale e del pesce negli
stabilimenti ittici locali e per passione cura le volpi, le lepri e gli uccelli
feriti che gli abitanti del villaggio le portano dalla tundra. Nell’estate del
2019 le hanno portato un orsacchiotto di un anno: era così debole che riusciva
a malapena a muovere le zampe. Ekaterina l’ha sistemato nel garage e l’ha
nutrito con il pesce per un mese. Appena il cucciolo si è irrobustito, lo ha
riportato nella tundra.
Anche
Michail Martynjuk prova pietà per gli orsi. “Quando vedo uccidere una mamma
orsa mi piange il cuore, i cuccioli non possono sopravvivere senza di lei”,
dice. “Così gli orsi scompariranno. E come faremo senza di loro?”.
Ekaterina
Kostenko, che abita a Ozernovskij, racconta una scena a cui ha assistito
nell’autunno del 2019: sul ponte che collega il villaggio con Zaporože “un orso
e due insegnanti, Ada Vasilevna e Viktoria Anatolevna, camminavano insieme:
l’orso davanti e le donne, quatte quatte, subito dietro”.
“L’animale
sembrava tranquillo, e i bambini ci stavano aspettando in classe. Non potevamo
fermarci”, le hanno raccontato poi le maestre.
Sempre nel
2019 i bambini di Ozernov-skij hanno finalmente avuto lo scuolabus che
chiedevano da tre anni. “Per andare a scuola attraversavano il ponte. Quando
vedevano un orso, si stringevano l’un l’altro per sembrare, da lontano,
un’unica grande macchia scura. Terrorizzati, aspettavano che l’animale se ne
andasse. Vi sembra normale?”, dice Kostenko. Dal 2020 gli orsi sembrano aver
perso ogni timore degli esseri umani. “Arrivano in pieno giorno, liberano i
cani dalle catene e li mangiano lì dove si trovano. È un comportamento
singolare: di solito portano la preda in un luogo appartato, la seppelliscono
per un paio di giorni e solo dopo la mangiano. Ma ormai sono così affamati da
non aver paura di nulla”, racconta la veterinaria.
Tutti in fabbrica
A Ozernovskij e Zaporože quasi tutti lavorano nell’industria del pesce. Lo
stipendio medio è di 40mila rubli al mese, poco più di 400 euro. Poi ci sono i
bonus, che oscillano tra i 250mila e i 400mila rubli. All’inizio dell’anno la
gente aspetta con trepidazione le previsioni degli ittiologi di KamčatNiro
sulla prossima stagione della pesca, da cui dipende il resto dell’anno.
L’11 luglio
tutta la Kamčatka celebra la giornata del pescatore. I bambini si esibiscono in
saggi di danza e canto, le donne cucinano zuppa di pesce e organizzano quiz
sulla pesca locale.
Da queste
parti i prezzi dei prodotti alimentari sono alti anche per gli standard di
Mosca: una dozzina di uova costa 220 rubli (2,80 euro), un litro di latte 150
rubli e per un chilo di pomodori ci vogliono 800 rubli. E il pesce fresco non
si trova. Kirill Volkov spiega che le pescherie non si rivolgono al mercato
locale: la gente del posto non può permettersi di pagare prezzi “moscoviti” e,
se anche trovasse del pesce a buon mercato, lo comprerebbe per rivenderlo. I
residenti, dal canto loro, sono convinti che il pesce migliore sia venduto in
Asia a prezzi elevati e che quello destinato ai russi sia roba di scarto.
Le leggi
contro il bracconaggio, inoltre, vietano ai residenti di pescare nell’Ozernaja,
perfino con una semplice canna da pesca. A c0ntrollare ci sono i guardacaccia
della riserva naturale, l’ispettorato ittico statale e le guardie private delle
fabbriche locali. Tutte queste restrizioni non piacciono al sindaco di
Ozernovskij, Vitalij Petrov. “Quando nei fiumi c’è questa ricchezza, proibire
di accedervi è inumano”, osserva Petrov, che va ancora a pesca, ma fuori dal
villaggio. I ragazzini del posto, invece, pescano sul ponte tra Ozernovskij e
Zaporože e poi vendono quello che hanno preso alla gente di passaggio o tramite
chat su WhatsApp. Quando è stagione catturano i salmoni, mentre d’inverno
pescano le trote facendo buchi nel ghiaccio.
La scorsa
estate Sanja, un ragazzo di Ozernovskij, ha venduto il pesce che aveva
catturato al direttore della scuola che frequenta, attraverso un contatto su
Messanger: salmone rosso a 100-120 rubli al pezzo, poco più di un euro; caviale
rosso – che lui stesso estrae dal pesce, sala e prepara – a 15 euro al chilo. I
suoi genitori hanno divorziato da poco: il padre se n’è andato e ha lasciato
alla madre un debito di 300mila rubli. Per la stagione della pesca la donna ha
trovato lavoro in fabbrica come tranciatrice di pesce. “Ma si è spezzata la
schiena e si è rovinata la salute”, dice Sanja. Per mesi non si sono
praticamente visti: lei andava a lavorare di notte, quando lui tornava dalla
pesca.
Anche in
autunno Sanja ha la sua routine: torna da scuola, indossa la tuta mimetica,
prende il suo cocker spaniel Dina, addetto alla segnalazione degli orsi, e va
al ponte. Con il suo amico Dima trascorre intere giornate a pescare.
Quando siamo
andati al ponte con i due ragazzi, nel vicino boschetto di filipendula abbiamo
visto un orso. “Un orso? E che sarà mai”, ha commentato Sanja. Poi mi ha
raccontato che una sera, mentre stava sistemando il pesce in un secchio, ha sentito
Dina ringhiare, ha alzato gli occhi e si è accorto che a cinque metri da lui,
sul bordo del ruscello, c’era un orso. Ha chiamato il cane, ha raccolto le sue
cose e se n’è andato, come se nulla fosse.
Nella
stagione di pesca del 2020 Sanja ha guadagnato abbastanza da potersi comprare
la Playstation. Dima, invece, si è preso una nuova canna da spinning.
“E due anni
fa d’estate sono andato in vacanza con i miei in Crimea”, si vanta Dima.
“Così ti sei
perso i bocconi migliori”.
“Sì, ma lì
ho pescato le triglie!”.
“Con i soldi
guadagnati, invece, io sono andato a Petropavlovsk-Kamčatskij con mia madre. Ma
in città il denaro finisce molto più in fretta che al villaggio”.
“E io però
ho comprato il set per la pesca a mosca!”, ribatte Dima.
“E io sono
più bello”, conclude Sanja ridendo.
I ragazzi di
queste parti hanno tre svaghi: pescare, giocare a Pubg sul telefonino e bere.
“Lo fanno tutti qui”, dice Sanja.
Qualcuno si
trova un lavoro stagionale in fabbrica e in un mese e mezzo riesce a mettere
insieme anche l’equivalente di 1.500 euro, che poi va a spendere in città, cioè
a Petropavlovsk--Kamčatskij. “La vita a Zaporože è noiosa, i miei coetanei
bevono molto”, dice Olja, 17 anni, che da due anni lavora in una fabbrica di
pesce. È faticoso, ma a Olja piace perché lavora con i suoi amici. Inoltre,
ogni tanto gli adolescenti impiegati nel settore imballaggio ricevono in regalo
un po’ di halibut affumicato.
Olja dice
che tra un anno andrà a studiare design a San Pietroburgo. Ma i genitori sono
convinti che farebbe meglio a rimanere a casa e a trovare un lavoro fisso nello
stabilimento ittico, con il quale si possono tirar su più di quattromila euro a
stagione. Come fa la madre.
Anche Dima e
Sanja vogliono andarsene. “Amo la mia vita qui e mi piacerebbe restare, ma presto
non ci sarà più niente da pescare”, dice Sanja. “Le fabbriche stanno consumando
tutto. Molti fiumi in Kamčatka sono già vuoti. All’Ozernaja toccherà presto la
stessa sorte”. Sanja sogna di prendere il diploma, trasferirsi in un villaggio
siberiano e costruirsi una casa in mezzo a un bosco di betulle. Vorrebbe
lavorare in un allevamento di salmoni, per ripopolare fiume e mari. Oppure fare
il guardacaccia.
Quattrocento chilometri
Il cielo di Ozernovskij e Zaporože è quasi sempre coperto di nuvole, sulla
costa c’è nebbia e piove spesso, il sole appare di rado. Con le sue sorgenti
minerali, il villaggio di Paužetka è l’unico posto nel distretto dove ci si può
prendere una pausa dal clima umido e freddo. I due centri distano appena trenta
chilometri, ma per percorrerli bisogna superare sette ponti pericolanti. La
città, invece, è a 400 chilometri. Un viaggio in elicottero da Ozernovskij a
Petropavlovsk-Kamčatskij costa settemila rubli (77 euro) per i residenti, per
gli altri 17mila. Ma l’elicottero non vola sempre: spesso la nebbia è così
fitta da nascondere le colline e le cime dei vulcani. Allora ci si organizza e
si parte in macchina.
Per andare a
Petropavlovsk-Kam-čatskij bisogna guadare il fiume Javino e prendere un
traghetto per attraversare il Košegoček. La natura qui è selvaggia, regno di
orsi, volpi e rapaci. Si guida su strade sterrate, tra enormi pozzanghere. Con
un altro traghetto si attraversa il fiume Opala, magari osservando le foche a
caccia di pesce. Poi di nuovo strade sterrate che costeggiano il mare di
Ochotsk fino al fiume Bolšaja. La presenza degli orsi in questo tratto è
evidente: le loro orme sono impresse nella sabbia nera e vulcanica. Infine un
ultimo traghetto attraverso il Bolšaja: ancora un centinaio di chilometri e si
arriva in città.
Molti
residenti di Ozernovskij hanno cercato di trasferirsi a
Petropavlovsk--Kamčatskij, alcuni hanno anche comprato casa in città. Ma poi
sono tutti tornati indietro. Qualcuno perché era convinto di poter guadagnare
bene nelle fabbriche di pesce, qualcun altro perché credeva che la vita vera
fosse nel villaggio, non altrove.
Ma negli
ultimi anni l’invasione degli orsi ha complicato le cose. Oggi si rischia
d’incontrare un orso davanti alla porta di casa, com’è successo recentemente a
un tale che rientrava a casa con la spesa. “Al giorno d’oggi va così, bisogna
farsene una ragione e mantenere la calma”, commenta Sergej Vorobev.
“In fondo”,
dice Ekaterina Berzinš, “per noi gli orsi sono come gli ingorghi per i
moscoviti: si sa che ci sono, ma non ci si può far niente. E alla fine ci si
rassegna”.
(Traduzione di Alessandra Bertuccelli)
Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2021 nel numero 1410 di Internazionale.
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