mercoledì 19 aprile 2023

In compagnia degli orsi - Irina Kravtsova

 

Un giorno d’estate del 2019 Sergej Vorobev, 42 anni, è andato nel suo orto alla periferia del villaggio di Ozernovskij perché alla moglie era venuta voglia di frutti di bosco. “Arrivo sul posto, esco dalla macchina, mi guardo in giro, e chi ti trovo? Winnie the Pooh. Seduto nel mio orto a mangiare fragole”, racconta Sergej. “A quel punto risalgo in macchina, apro il finestrino e gliene canto quattro: ‘Ma come ti permetti? Mica l’ho coltivato per te! Lo sai quanto costano i frutti di bosco al negozio?’”.

L’orso ha dato un’occhiata intorno, si è alzato e ha messo da parte un mucchietto di fragole, guardando Sergej. “Nel linguaggio degli orsi è un gesto di noncuranza. ‘Merda’, mi sono detto. E sono andato a comprare le fragole surgelate”.

D’altra parte l’orso va capito, aggiunge Sergej: “Noi andiamo nella tundra a rubargli le bacche, gli portiamo via il pesce dai fiumi e lui non dice nulla. Se viene a rubare la frutta, non lo fa con cattive intenzioni: è la fame che lo spinge”.

Il villaggio di Ozernovskij si trova all’estremità meridionale della Kamčatka. Ci vivono 1.560 persone: è il più grande insediamento della cosiddetta macchia di Ozernovskij (Ozernovskij kust), che comprende anche i villaggi di Zaporože (549 abitanti), Paužetka (78) e Šumnyj (23). Da queste parti la popolazione di orsi non è molto inferiore al numero di abitanti. La macchia di Ozernovskij confina con la riserva naturale della Kamčatka meridionale, abitata da circa mille orsi bruni. Anche per la Kamčatka, dove in totale vivono più di 24mila orsi, è un numero molto elevato rispetto alla superficie.

Incontri ravvicinati
I villaggi di Ozernovskij e Zaporože sono uno di fronte all’altro sulla costa del mare di Ochotsk, alla foce del fiume Ozernaja. E gli orsi ci vivono da decine di migliaia di anni, a differenza degli uomini, che sono arrivati poco più di un secolo fa.

Il motivo che ha portato qui animali e persone è il salmone: rosa, keta, reale, argentato e rosso, il più pregiato. Risalendo l’Ozernaja si raggiunge il lago Kuril, la più grande area di riproduzione del salmone rosso dell’Asia.

A Ozernovskij e Zaporože le strade non sono asfaltate, ma costellate di enormi buche e pozzanghere. L’edificio dell’ospedale è talmente vecchio e malmesso che sembra essere stato bombardato da poco. E poi ci sono i terremoti: l’ultimo, molto forte, nella primavera del 2020. La gente del posto dice che a volte la terra trema così violentemente che sembra di stare in treno.

 

Dalle mura delle classiche palazzine di quattro piani la vernice è scrostata. Alcune case sono dipinte di blu o di arancione, colori che contrastano con il grigio della natura circostante. Ai margini del villaggio ci sono gli orti di patate, dove crescono anche i frutti di bosco.

Nell’estate del 2014 Vasilij Tretjakov, un tornitore di uno stabilimento locale, era andato a piantare le patate. Finito il lavoro, a una decina di metri di distanza aveva visto un orso. L’animale si era voltato e se n’era andato per la sua strada. Dopo aver aspettato un po’, anche Vasilij aveva deciso di tornare a casa. Stava percorrendo il sentiero lungo il fiume quando, all’incrocio con la via centrale del villaggio, si è ritrovato faccia a faccia con l’orso. “Mi ha fissato. Poi si è alzato sulle zampe posteriori e ha fatto un balzo”, ricorda Tretjakov. “Ho cominciato a urlare a squarciagola, al che lui si è fermato e ha spalancato gli occhi. Ho pensato che fosse arrivato il mio momento”.

Tretjakov non sa spiegarsi perché non è scappato subito a gambe levate. In due passi l’animale l’ha raggiunto, l’ha azzannato a una natica e l’ha steso a terra con la zampa. Fortunatamente proprio in quel momento stava passando in macchina un vicino, Žora Židomorov, che ha rivolto la jeep contro la bestia e l’ha colpita con il paraurti. Prima che l’orso lasciasse la presa ci sono voluti tre tentativi. Alla fine ha ruggito e si è allontanato. Židomorov ha caricato Tretjakov e l’ha portato in ospedale. Poi ha raccontato dell’aggressione a un guardacaccia locale, Dmitrij Lobov.

“L’istinto ha funzionato, per l’uomo come per l’orso”, sostiene Lobov, che insieme ai suoi colleghi per tre giorni ha cercato la bestia responsabile dell’attacco. “L’orso ha capito di essere il più forte e di poter rincorrere l’uomo. E quando l’ha afferrato, si è reso conto che Vasilij era impotente”. Al sentore del sangue, l’animale è diventato aggressivo. Se non fosse arrivato l’amico, difficilmente Tretjakov sarebbe sopravvissuto. “Molto probabilmente l’orso l’avrebbe trascinato via e sotterrato. L’aggressione è avvenuta all’inizio di luglio, quando nei fiumi non c’è ancora pesce. Evidentemente l’animale aveva bisogno di proteine”.

L’orso è stato riconosciuto da un segno particolare: la punta molto chiara, quasi bianca, delle orecchie. Come poi si è scoperto, un pescatore lo aveva ripreso mentre si dirigeva verso il villaggio. Anche se le visite degli orsi nei villaggi sono frequenti, tutti cercano di filmare ogni incontro.

Alla fine l’animale è stato trovato su una collina non lontano dal villaggio. Sembrava che sapesse già il motivo della visita: ha cercato di scappare, ma l’hanno circondato e gli hanno sparato.

Tretjakov ha passato un mese in ospedale e un altro a casa in malattia. Dopo l’attacco ha abbandonato l’orto.

A Zaporože molte persone vivono in casette che hanno anche l’orto. Ai bordi delle strade ci sono cespugli alti e fitti e in giro non si vede nessuno. Quando scorgono un pedone, i conducenti delle auto si fermano, gli spiegano che camminare è pericoloso e gli offrono un passaggio. Da queste parti, per andare a piedi bisogna essere in gruppi di tre o quattro, camminare al centro della carreggiata, lontano dalla vegetazione, e parlare molto e ad alta voce. Gli orsi hanno una vista difettosa ma un ottimo udito: se sentono che qualcosa di rumoroso si avvicina, cercano di evitare l’incontro.

Lo scorso autunno di orsi in giro se ne sono visti più del solito. “I fiumi erano vuoti, gli orsi non avevano accumulato grasso e stavano per andare in letargo. Senza uno strato di grasso sufficiente non avrebbero superato l’inverno. Per questo sono venuti nei centri abitati”, spiega Nadežda Martynjuk, che vive a Zaporože.

La casa dei Martynjuk si trova a cinquecento metri dal mare di Ochotsk, vicino a una collinetta ricoperta di erba alta. In lontananza si vedono i sentieri calpestati dagli orsi. Il cortile non è recintato, nell’orto crescono patate, qualche fragola e cespugli di ribes nero.

Più che dalle visite degli orsi, Nadežda è infastidita dalla loro cattive maniere. “Alcuni vengono, prendono le fragole più mature e se ne vanno. Altri calpestano tutto e sradicano i cespugli. Ma non c’è niente da fare, non lo fanno apposta”. Quando un orso si avvicina, l’husky Fifa avverte la famiglia con i suoi latrati. Allora la madre si siede vicino alla finestra e il figlio esce sul portico. Lo osservano. A volte Michail filma gli animali e pubblica i video su Instagram. A scacciarli non ci prova neanche: “Potrei delimitare il giardino con delle trappole o comprare un’arma e sparargli, ma non siamo così pazzi da metterci a sparare agli animali. Questa è casa loro, siamo noi gli ospiti”.

Michail fa l’idraulico in uno stabilimento ittico. Non si è ancora trasferito altrove perché deve prendersi cura della madre anziana, ma sogna di poter scappare “sulla terraferma”, come qui chiamano il resto della Russia. “Perché lì fa più caldo e c’è la frutta, che da noi costa un patrimonio”. Poi s’interrompe bruscamente. “Eccolo che arriva!”, esclama felice. Nei cespugli di fronte alla casa si sente un rumore e si vede la testa di un orso. La bestia si mette a correre verso il fiume. Cinque minuti dopo in lontananza si sentono degli spari.

Un piede e una bottiglia di vodka

La costa del mare di Ochotsk è in gran parte sabbiosa. Sul mare incombono nuvole grigie, in cielo volano i gabbiani e al largo si vedono dei pescherecci. Nell’aria c’è odore di pesce. La sabbia, nera e vulcanica, è segnata da impronte di animali. Di tanto in tanto il mare deposita sulla riva resti di pesci, molluschi e balene. Per questo gli orsi vengono spesso da queste parti. Anche lo stabilimento per la lavorazione del pesce Rkz n. 55 ha un odore inconfondibile. La gente del posto chiama questa zona “la mensa degli orsi” ed evita di andarci senza un buon motivo.

Nell’agosto 2019 un tecnico di Petropavlovsk-Kamčatskij era venuto a riparare l’impianto di ventilazione della fabbrica. Finito il lavoro, aveva deciso di fare una passeggiata e ubriacarsi: il giorno prima era stato il suo compleanno. La mattina dopo gli operai hanno trovato uno scheletro rosicchiato sulla battigia, un piede staccato dal corpo e una bottiglia di vodka aperta. La polizia ha subito pensato all’attacco di un orso e ha convocato Anatolij Kosolapov, un guardacaccia di ottant’anni che fa parte del gruppo incaricato di rintracciare gli animali che entrano nei luoghi abitati. Il gruppo è stato creato da alcuni residenti di Ozernovskij e Zaporože nel 2010.

 

Sapendo che l’orso sarebbe sicuramente tornato a rosicchiare i resti, Kosolapov e altri guardacaccia sono saliti in macchina e si sono messi ad aspettare. All’imbrunire l’orso era sulla riva. Non avendo trovato quello per cui era venuto, si è alzato sulle zampe posteriori e ha cominciato a fiutare l’aria. Presto ne è arrivato un altro. I guardacaccia hanno sparato a entrambi e poi, nel dubbio, ad altri due orsi che vagavano nelle vicinanze.

Nello stomaco dei primi due sono stati trovati frammenti del corpo dell’uomo e dei suoi vestiti; uno degli animali emanava un forte odore di alcol. “Un orso che ha assaggiato carne umana è considerato pericoloso. Per questo li abbiamo abbattuti”, spiega Kosolapov. L’orso in teoria non considera le persone come cibo, ma una volta che si rende conto che gli esseri umani sono prede facili, è portato a uccidere di nuovo.

Le carcasse degli orsi uccisi di solito sono trasportate in un luogo apposito su una delle colline intorno al villaggio, gettate in grosse buche e bruciate o coperte con diversi metri di terra, per evitare che siano mangiate da altri animali. La maggior parte degli orsi della Kamčatka è infettata dai parassiti che causano la trichinosi. La loro carne non è commestibile. In epoca sovietica gli orsi infetti erano pochi, spiega Dmitrij Lobov, ma negli anni novanta è cambiato tutto. “I bracconieri uccidevano un sacco di animali e lasciavano in giro le carcasse, che venivano mangiate da altri orsi. Così pian piano si sono infettati tutti”.

A quei tempi si uccidevano gli orsi per l’equivalente di trenta o quaranta euro di oggi, anche solo per le zampe o la bile, destinate al mercato cinese, dove le prime sono considerate una prelibatezza e la seconda è usata nella medicina tradizionale. Kirill Volkov, direttore della fabbrica Rkz n. 55, ricorda che negli anni novanta la polizia gli chiedeva di “conservare nel frigo della fabbrica tonnellate di zampe d’orso. Una zampa pesa due chili”.

Negli anni novanta i bracconieri cacciavano non solo gli orsi, ma anche il salmone. Preparavano reti enormi, sventravano i pesci in riva ai fiumi, tiravano fuori il caviale e gettavano le carcasse. Alcuni lo facevano per soldi, altri per mangiare. Come in gran parte della Russia, anche in Kamčatka in quel periodo spesso gli stipendi non venivano pagati per mesi. Qui la gente mangiava caviale rosso e salmone, ma non aveva olio o cereali. Il salmone era usato perfino come mangime per polli e maiali.

Gennadij Čumičev, 58 anni, di Paužetka, in quegli anni faceva il conducente di fuoristrada per una centrale geotermica. Ricorda di non aver ricevuto lo stipendio per quattro anni. Come molti altri, si diede al bracconaggio: “Per sopravvivere. Mettevo una rete nell’Ozernaja e scambiavo un sacco di salmone per un sacco di zucchero o di farina con i ‘commercianti’ che venivano apposta da queste parti. Per un secchio di caviale rosso mi davano una tanica di olio di girasole”.

Una volta trovò vicino alla sua rete un orso che gli rubava il pesce: “Lo prendeva direttamente con la zampa, senza strappare la rete, e se ne andava”. Aspettò che l’animale si fosse allontanato, poi si avvicinò e improvvisamente il suo cane, Ryžik, si mise ad abbaiare. Allora si voltò. L’orso era ancora lì, in piedi, “grosso come una ruspa”. Čumičev sparò e lo ferì alla zampa. Gli eventi successivi sono resi alla perfezione nel suo infervorato monologo, che riportiamo letteralmente: “Me l’ha fatta, sì… E che intelligenza! Così gli sparo altri due colpi, ma non lo sfioro nemmeno. Salgo su un ramo, ricarico il fucile e lui viene dritto verso di me. Allora butto il fucile e corro via. Ma ormai a che serve? La morte va affrontata non con il culo, ma con gli occhi. Mi giro e lui mi viene incontro. È forte, sano, si vede dalle contrazioni dei muscoli. Decido di corrergli intorno, così non può acchiapparmi, e continuo a correre. Ma all’improvviso mi afferra, mi solleva in aria e mi scaraventa a terra. Dalla paura l’anima mi esce dal corpo e se ne vola via da qualche parte. Guardo il mio corpo dall’alto come se fosse di qualcun altro e vedo al rallentatore come mi afferra per una gamba e comincia a sbattermi di qua e di là. In quel momento vedo sopra di me l’immagine della mia mogliettina Nadia che mi dice: ‘Caro, ci stai lasciando’. È proprio così, non voglio tornare indietro. Ho conquistato il paradiso. In quel momento capisco tutto: passiamo la nostra vita nell’illusione, cerchiamo di dimostrare qualcosa, perdiamo il tempo in stupidaggini. Invece ora mi sento beato: nessun dolore, nessuna paura, nessuna illusione. Il tempo si è fermato. Ma poi mi ricordo che a settembre devo portare mio figlio in prima elementare, l’ho sognato tanto quel giorno. Allora rientro nel mio corpo. E proprio in quell’istante l’orso smette di tormentarmi. Sento che c’è la mano di Dio a proteggermi, mi alzo e gli vado incontro come un pazzo, agitando le braccia. Alla fine gli sparo. Urlo, lui ruggisce e mi guarda. Poi si gira verso la tundra, mi guarda per l’ultima volta e se ne va”.

Čumičev racconta che dopo quell’esperienza si era sentito particolarmente orgoglioso di essere sopravvissuto a un orso. Continuava a cacciare – orsi, visoni e zibellini – e vendeva le pelli all’impresa statale Gospromchoz. Ma poi, durante le bevute serali con il fratello gemello, ha cominciato a riflettere sul senso delle sue azioni. “Ho capito che, quando si caccia, si ruba energia. Non c’è amore. Ci si arricchisce materialmente, ma l’anima s’inaridisce”, dice. Così una sera ha raccolto tutte le pelli preparate per la vendita e le ha bruciate. Da allora non va più a caccia: coltiva cetrioli e pomodori in una serra da cui si vede il vulcano Kambalnyj. Accanto a casa sua ci sono mucchi di escrementi di orso. Ma quando esce, Čumičev non porta più con sé il fucile o il razzo di segnalazione. Dice che ha smesso di avere paura.

Fino in città
Vedere un orso “è sempre una magia”, dice Ekaterina Berzinš. Poi precisa: “Ovviamente se sei al sicuro in macchina”.

Berzinš è cresciuta qui. Fa la veterinaria a Ozernovskij e ricorda che da bambina riusciva a vedere solo le sagome lontane degli orsi al risveglio dal letargo, in primavera. “Vedevo un punto nero su una collinetta coperta di neve e pensavo: che bello, anche quest’anno ho visto un orso”, racconta ridendo. “Oggi basta uscire di casa per incontrarne uno”.

Negli anni settanta e ottanta gli orsi non entravano quasi mai nei villaggi, afferma il guardacaccia Lobov: “I fiumi brulicavano letteralmente di pesce. Le orse crescevano i cuccioli nella tundra. E i cuccioli non vedevano mai gli esseri umani, ne avevano paura”. Solo di notte poteva succedere che un orso, impegnato nelle sue faccende, si avvicinasse alle case.

Alla fine degli anni duemila, però, gli orsi hanno cominciato a entrare nei villaggi la sera tardi e la mattina presto. E poi anche in pieno giorno: senza curarsi delle persone, si avventuravano negli orti e tra i cassonetti dell’immondizia. La gente del posto è convinta che la colpa sia dell’industria ittica. “Molti fiumi della zona sono completamente morti, non c’è più pesce”, dice Lobov, “e nessuno si preoccupa del fatto che anche gli orsi devono nutrirsi”.

Sergej Kolčin, ricercatore dell’Accademia delle scienze russa, è d’accordo. Negli ultimi quattro anni ha studiato un gruppo di orsi nella riserva naturale della Kamčatka meridionale e spiega che il 2020 per gli orsi è stato l’anno “con meno cibo disponibile. La stagione della pesca è stata meno ricca delle precedenti, e le aziende ittiche non hanno risparmiato nemmeno un pesce”. L’ultimo anno di abbondanza è stato il 2017, quando nell’Ozernaja sono entrati grandi banchi di salmoni.

Anche il governatore della Kamčatka, Vladimir Solodov, sostiene che i fiumi della regione sono “sovrasfruttati e senza risorse. E quello che succede a Ozernovskij”, continua, “mostra chiaramente come l’assenza di pesce influenzi il comportamento degli orsi: quando sono affamati, sono più aggressivi. Dobbiamo assicurarci che abbiano pesce a sufficienza”.

Nel 2020 qualche orso si è fatto vedere anche nelle città più grandi della Kamčatka, come Petropavlovsk-Kamčatskij ed Elizovo. A settembre soccorritori, guardacaccia e poliziotti hanno passato settimane a cercare di catturare un orso che era arrivato fino all’edificio del comune del capoluogo. Non aveva attaccato nessuno, cercava solo da mangiare nei cassonetti.

Gli equilibri della natura
Gli orsi della macchia di Ozernovskij dipendono dalla disponibilità di salmone, ma non riescono a cacciarlo nella profondità delle acque del lago Kuril, quindi aspettano la seconda metà dell’estate, quando i pesci risalgono i fiumi per deporre le uova. L’abbondanza di pesce è una festa per tutti, pescatori e orsi. “Dopo aver placato i morsi della fame, gli orsi cominciano a nutrirsi esclusivamente di caviale. E quelli che non sanno pescare si accontentano dei resti lasciati dagli altri”, dice Liana Varavskaja, ispettrice della riserva della Kamčatka meridionale. “In passato gli orsi riuscivano a sfamarsi senza problemi. Sapevano che il pesce non mancava, ed erano meno aggressivi l’uno con l’altro. Non solo i cuccioli, ma anche i maschi adulti giocavano tra loro. E i casi di cannibalismo erano molto rari”.

Ma le cose sono cambiate. Ai tempi dell’Unione Sovietica nella zona c’erano due sole imprese ittiche: il kolchoz (azienda agricola collettiva) Krasnyj truženik e lo stabilimento conserviero Rkz n. 55. Oggi ci sono quattro fabbriche a Ozernovskij e cinque a Zaporože. I proprietari sono Igor Redkin e Sergej Barabanov, che non hanno voluto rispondere alle nostre domande. Nel 2019, quando gli è stato chiesto dei sempre più frequenti sconfinamenti degli orsi nel villaggi, Barabanov ha minimizzato, affermando che il pesce c’era, e in abbondanza, e che si era creata “una situazione incomprensibile, sfruttata da individui disonesti”.

“È facile dare la colpa ai pescatori”, ha aggiunto Redkin. “Ma il vero problema è la riserva naturale, che non tiene sotto controllo la popolazione dei predatori. Perché fanno affari con i turisti che vanno a fotografare gli orsi”.

Anche secondo Kirill Volkov, direttore dello stabilimento Rkz n. 55, nei fiumi il pesce non manca, e gli orsi hanno cominciato ad andare nei villaggi semplicemente perché sono troppi e non vengono più uccisi dai bracconieri.

Quest’interpretazione ha altri sostenitori: quando nel 2019 un orso ha fatto a pezzi un uomo nei pressi di Ozernovskij, Sergej Mylov, direttore del giornale locale Čas Pik, ha chiesto alla riserva naturale di Kronotskij, da cui dipende la riserva della Kamčatka meridionale, di sopprimere la metà della popolazione locale degli orsi.

Secondo Kolčin, il ricercatore dell’Accademia delle scienze, è una proposta assurda: “La riserva è patrimonio mondiale dell’Unesco. Il suo scopo è preservare l’ecosistema: qualsiasi intervento umano sarebbe inaccettabile. Venire in aree protette a sparare ad animali che le persone stesse stanno costringendo alla fame non mi pare una buona idea, per usare un eufemismo”, continua Kolčin. “Gli imprenditori ittici dovrebbero moderare la loro sete di profitto e stare attenti a non distruggere gli equilibri della natura”.

Gli orsi hanno dei meccanismi propri per tenere sotto controllo il loro numero. “Non si riproducono come topi”, spiega Kolčin. Nel sud della Kamčatka, inoltre, spesso i maschi di grandi dimensioni mangiano i cuccioli e gli orsi più deboli. Per questo, le orse restano a lungo con i piccoli, fino a tre o quattro anni, e saltano così diversi cicli riproduttivi. Se s’interviene in questi processi naturali il gruppo “reagisce di conseguenza: gli esemplari subdominanti cominciano a riprodursi più attivamente e il tasso di sopravvivenza dei giovani aumenta”, aggiunge Kolčin.

Oltre che per la mancanza di pesce, nel 2020 gli orsi hanno sofferto anche per la scarsa disponibilità del pino nano, un altro cibo che amano molto. “C’è stata un’ondata di cannibalismo senza precedenti, il tasso di sopravvivenza dei cuccioli era molto basso”, dice Kolčin. In pochi sono sopravvissuti a quest’ondata di fame. Liana Varavskaja conferma che il problema va avanti da tre anni: i maschi sono sempre molto aggressivi e i combattimenti sono frequenti. La mancanza di cibo costringe quindi gli orsi, attirati dall’odore dei rifiuti alimentari, a spingersi nelle zone abitate. Anche in Alaska e in California gli orsi vivono vicino alle persone, ma lì il problema dell’immondizia è stato risolto cinquant’anni fa, spiega Kolčin: “Non ci sono discariche a cielo aperto, e gli orsi non hanno accesso alla spazzatura”.

Secondo i dati ufficiali, dice Andrej Lebedko, direttore dell’Agenzia per la protezione delle foreste e della fauna selvatica della Kamčatka, nel 2019 nella macchia di Ozernovskij sono stati abbattuti 35 orsi. Da gennaio a novembre del 2020 gli animali uccisi sono stati invece 26. Tuttavia un guardacaccia locale, che ha chiesto di restare anonimo, ci ha detto che due anni fa gli orsi uccisi sono stati almeno 120. Spesso da cittadini armati, che per autodifesa non si fanno scrupolo a sparare.

Nella tundra
Nell’estate del 2020 ogni settimana i guardacaccia hanno ricevuto tra le 20 e le 30 segnalazioni di avvistamenti di orsi a Ozernovskij e Zaporože. Gli abitanti del posto conoscono la regola: se si avvista un orso, bisogna comunicare il luogo e i tratti specifici dell’animale al gruppo incaricato di rintracciare gli orsi che entrano nei luoghi abitati. A quel punto due membri del team vanno sul posto. Quando trovano l’orso, fanno esplodere delle granate stordenti per metterlo in fuga. Se l’animale si spaventa e torna nella tundra, non c’è bisogno di abbatterlo. “Potrebbe semplicemente essersi perso”, dice Lobov. Se invece si mette a ringhiare, attacca o cerca di nascondersi nel villaggio, viene ucciso.

Sulla chat di WhatsApp dei residenti di Zaporože a Ozernovskij le discussioni sugli orsi sono frequenti. E sempre molto accese. Alcuni hanno un terrore assoluto degli animali e vorrebbero abbatterli tutti, altri sono più comprensivi: gli lasciano latte condensato e pesce vicino ai cassonetti, e perfino vicino agli orti.

Ekaterina Berzinš è responsabile del controllo sanitario del caviale e del pesce negli stabilimenti ittici locali e per passione cura le volpi, le lepri e gli uccelli feriti che gli abitanti del villaggio le portano dalla tundra. Nell’estate del 2019 le hanno portato un orsacchiotto di un anno: era così debole che riusciva a malapena a muovere le zampe. Ekaterina l’ha sistemato nel garage e l’ha nutrito con il pesce per un mese. Appena il cucciolo si è irrobustito, lo ha riportato nella tundra.

Anche Michail Martynjuk prova pietà per gli orsi. “Quando vedo uccidere una mamma orsa mi piange il cuore, i cuccioli non possono sopravvivere senza di lei”, dice. “Così gli orsi scompariranno. E come faremo senza di loro?”.

Ekaterina Kostenko, che abita a Ozernovskij, racconta una scena a cui ha assistito nell’autunno del 2019: sul ponte che collega il villaggio con Zaporože “un orso e due insegnanti, Ada Vasilevna e Viktoria Anatolevna, camminavano insieme: l’orso davanti e le donne, quatte quatte, subito dietro”.

“L’animale sembrava tranquillo, e i bambini ci stavano aspettando in classe. Non potevamo fermarci”, le hanno raccontato poi le maestre.

Sempre nel 2019 i bambini di Ozernov-skij hanno finalmente avuto lo scuolabus che chiedevano da tre anni. “Per andare a scuola attraversavano il ponte. Quando vedevano un orso, si stringevano l’un l’altro per sembrare, da lontano, un’unica grande macchia scura. Terrorizzati, aspettavano che l’animale se ne andasse. Vi sembra normale?”, dice Kostenko. Dal 2020 gli orsi sembrano aver perso ogni timore degli esseri umani. “Arrivano in pieno giorno, liberano i cani dalle catene e li mangiano lì dove si trovano. È un comportamento singolare: di solito portano la preda in un luogo appartato, la seppelliscono per un paio di giorni e solo dopo la mangiano. Ma ormai sono così affamati da non aver paura di nulla”, racconta la veterinaria.

Tutti in fabbrica
A Ozernovskij e Zaporože quasi tutti lavorano nell’industria del pesce. Lo stipendio medio è di 40mila rubli al mese, poco più di 400 euro. Poi ci sono i bonus, che oscillano tra i 250mila e i 400mila rubli. All’inizio dell’anno la gente aspetta con trepidazione le previsioni degli ittiologi di KamčatNiro sulla prossima stagione della pesca, da cui dipende il resto dell’anno.

L’11 luglio tutta la Kamčatka celebra la giornata del pescatore. I bambini si esibiscono in saggi di danza e canto, le donne cucinano zuppa di pesce e organizzano quiz sulla pesca locale.

Da queste parti i prezzi dei prodotti alimentari sono alti anche per gli standard di Mosca: una dozzina di uova costa 220 rubli (2,80 euro), un litro di latte 150 rubli e per un chilo di pomodori ci vogliono 800 rubli. E il pesce fresco non si trova. Kirill Volkov spiega che le pescherie non si rivolgono al mercato locale: la gente del posto non può permettersi di pagare prezzi “moscoviti” e, se anche trovasse del pesce a buon mercato, lo comprerebbe per rivenderlo. I residenti, dal canto loro, sono convinti che il pesce migliore sia venduto in Asia a prezzi elevati e che quello destinato ai russi sia roba di scarto.

Le leggi contro il bracconaggio, inoltre, vietano ai residenti di pescare nell’Ozernaja, perfino con una semplice canna da pesca. A c0ntrollare ci sono i guardacaccia della riserva naturale, l’ispettorato ittico statale e le guardie private delle fabbriche locali. Tutte queste restrizioni non piacciono al sindaco di Ozernovskij, Vitalij Petrov. “Quando nei fiumi c’è questa ricchezza, proibire di accedervi è inumano”, osserva Petrov, che va ancora a pesca, ma fuori dal villaggio. I ragazzini del posto, invece, pescano sul ponte tra Ozernovskij e Zaporože e poi vendono quello che hanno preso alla gente di passaggio o tramite chat su WhatsApp. Quando è stagione catturano i salmoni, mentre d’inverno pescano le trote facendo buchi nel ghiaccio.

La scorsa estate Sanja, un ragazzo di Ozernovskij, ha venduto il pesce che aveva catturato al direttore della scuola che frequenta, attraverso un contatto su Messanger: salmone rosso a 100-120 rubli al pezzo, poco più di un euro; caviale rosso – che lui stesso estrae dal pesce, sala e prepara – a 15 euro al chilo. I suoi genitori hanno divorziato da poco: il padre se n’è andato e ha lasciato alla madre un debito di 300mila rubli. Per la stagione della pesca la donna ha trovato lavoro in fabbrica come tranciatrice di pesce. “Ma si è spezzata la schiena e si è rovinata la salute”, dice Sanja. Per mesi non si sono praticamente visti: lei andava a lavorare di notte, quando lui tornava dalla pesca.

Anche in autunno Sanja ha la sua routine: torna da scuola, indossa la tuta mimetica, prende il suo cocker spaniel Dina, addetto alla segnalazione degli orsi, e va al ponte. Con il suo amico Dima trascorre intere giornate a pescare.

Quando siamo andati al ponte con i due ragazzi, nel vicino boschetto di filipendula abbiamo visto un orso. “Un orso? E che sarà mai”, ha commentato Sanja. Poi mi ha raccontato che una sera, mentre stava sistemando il pesce in un secchio, ha sentito Dina ringhiare, ha alzato gli occhi e si è accorto che a cinque metri da lui, sul bordo del ruscello, c’era un orso. Ha chiamato il cane, ha raccolto le sue cose e se n’è andato, come se nulla fosse.

Nella stagione di pesca del 2020 Sanja ha guadagnato abbastanza da potersi comprare la Playstation. Dima, invece, si è preso una nuova canna da spinning.

“E due anni fa d’estate sono andato in vacanza con i miei in Crimea”, si vanta Dima.

“Così ti sei perso i bocconi migliori”.

“Sì, ma lì ho pescato le triglie!”.

“Con i soldi guadagnati, invece, io sono andato a Petropavlovsk-Kamčatskij con mia madre. Ma in città il denaro finisce molto più in fretta che al villaggio”.

“E io però ho comprato il set per la pesca a mosca!”, ribatte Dima.

“E io sono più bello”, conclude Sanja ridendo.

I ragazzi di queste parti hanno tre svaghi: pescare, giocare a Pubg sul telefonino e bere. “Lo fanno tutti qui”, dice Sanja.

Qualcuno si trova un lavoro stagionale in fabbrica e in un mese e mezzo riesce a mettere insieme anche l’equivalente di 1.500 euro, che poi va a spendere in città, cioè a Petropavlovsk--Kamčatskij. “La vita a Zaporože è noiosa, i miei coetanei bevono molto”, dice Olja, 17 anni, che da due anni lavora in una fabbrica di pesce. È faticoso, ma a Olja piace perché lavora con i suoi amici. Inoltre, ogni tanto gli adolescenti impiegati nel settore imballaggio ricevono in regalo un po’ di halibut affumicato.

Olja dice che tra un anno andrà a studiare design a San Pietroburgo. Ma i genitori sono convinti che farebbe meglio a rimanere a casa e a trovare un lavoro fisso nello stabilimento ittico, con il quale si possono tirar su più di quattromila euro a stagione. Come fa la madre.

Anche Dima e Sanja vogliono andarsene. “Amo la mia vita qui e mi piacerebbe restare, ma presto non ci sarà più niente da pescare”, dice Sanja. “Le fabbriche stanno consumando tutto. Molti fiumi in Kamčatka sono già vuoti. All’Ozernaja toccherà presto la stessa sorte”. Sanja sogna di prendere il diploma, trasferirsi in un villaggio siberiano e costruirsi una casa in mezzo a un bosco di betulle. Vorrebbe lavorare in un allevamento di salmoni, per ripopolare fiume e mari. Oppure fare il guardacaccia.

Quattrocento chilometri
Il cielo di Ozernovskij e Zaporože è quasi sempre coperto di nuvole, sulla costa c’è nebbia e piove spesso, il sole appare di rado. Con le sue sorgenti minerali, il villaggio di Paužetka è l’unico posto nel distretto dove ci si può prendere una pausa dal clima umido e freddo. I due centri distano appena trenta chilometri, ma per percorrerli bisogna superare sette ponti pericolanti. La città, invece, è a 400 chilometri. Un viaggio in elicottero da Ozernovskij a Petropavlovsk-Kamčatskij costa settemila rubli (77 euro) per i residenti, per gli altri 17mila. Ma l’elicottero non vola sempre: spesso la nebbia è così fitta da nascondere le colline e le cime dei vulcani. Allora ci si organizza e si parte in macchina.

Per andare a Petropavlovsk-Kam-čatskij bisogna guadare il fiume Javino e prendere un traghetto per attraversare il Košegoček. La natura qui è selvaggia, regno di orsi, volpi e rapaci. Si guida su strade sterrate, tra enormi pozzanghere. Con un altro traghetto si attraversa il fiume Opala, magari osservando le foche a caccia di pesce. Poi di nuovo strade sterrate che costeggiano il mare di Ochotsk fino al fiume Bolšaja. La presenza degli orsi in questo tratto è evidente: le loro orme sono impresse nella sabbia nera e vulcanica. Infine un ultimo traghetto attraverso il Bolšaja: ancora un centinaio di chilometri e si arriva in città.

Molti residenti di Ozernovskij hanno cercato di trasferirsi a Petropavlovsk--Kamčatskij, alcuni hanno anche comprato casa in città. Ma poi sono tutti tornati indietro. Qualcuno perché era convinto di poter guadagnare bene nelle fabbriche di pesce, qualcun altro perché credeva che la vita vera fosse nel villaggio, non altrove.

Ma negli ultimi anni l’invasione degli orsi ha complicato le cose. Oggi si rischia d’incontrare un orso davanti alla porta di casa, com’è successo recentemente a un tale che rientrava a casa con la spesa. “Al giorno d’oggi va così, bisogna farsene una ragione e mantenere la calma”, commenta Sergej Vorobev.

“In fondo”, dice Ekaterina Berzinš, “per noi gli orsi sono come gli ingorghi per i moscoviti: si sa che ci sono, ma non ci si può far niente. E alla fine ci si rassegna”.

(Traduzione di Alessandra Bertuccelli)

Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2021 nel numero 1410 di Internazionale.

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