Ecco le 5 fake news sulla carne “naturale”
Quando si parla di ‘carne sintetica’ o
‘Frankenstein’ invece che di ‘carne coltivata’, la si contrappone a quella che
oggi arriva tutti i giorni nelle case degli italiani, definita spesso
‘naturale’. Lo ha fatto anche il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità
alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, presentando il
disegno di legge approvato nei giorni scorsi dal Consiglio dei ministri e che
introduce disposizioni in materia di divieto di produzione e
di immissione sul mercato di alimenti e mangimi definiti “sintetici”, carne compresa.
L’esponente del governo ha precisato che dietro la misura c’è “la forte volontà
di tutela della salute dei cittadini”, ma anche “produzione,
biodiversità e ambiente”. Sicuro che la carne che consumano gli
italiani, quella che acquistano tutti i giorni sia sempre prodotta in
contesti dove si rispetta l’ambiente, la natura (anche degli stessi animali) e
si tutela la salute? La carne di ottima qualità,
che pure si produce in Italia e che deriva da animali vissuti in contesti
“naturali”, non è la regola assoluta. Facendo riferimento a studi
ed evidenze scientifiche, ilfattoquotidiano.it svela 5 fake news sulla
carne macellata.
Altro che
slogan e spot, è cresciuto il modello intensivo – Nella maggior parte dei
casi, per la carne bovina, ovina, suina ed equina, gli animali vengono
importati dall’estero nei loro primi mesi di vita, per poi essere
allevati e macellati in Italia. La carne bovina arriva spesso dalla Francia,
quella suina dalla Germania. Discorso diverso per la carne di tacchino e di
pollo, le uniche per cui si può parlare di “sovranità alimentare”
italiana. Analizzando i numeri pubblicati dalla Banca Dati Nazionale
dell’Anagrafe Zootecnica, si scopre perché: dei 10mila allevamenti di polli e
tacchini aperti in Italia, circa 5.400 hanno una capienza superiore ai 250
animali. In Veneto, nel mese di febbraio 2023, si sono contati 24,5 milioni di
polli in 800 allevamenti. Ma in Italia sono 367mila le aziende con allevamenti
avicoli, di bovini, bufalini, equidi, conigli, maiali, ovini e caprini. E i pascoli
sono 28.777. Le aziende con allevamenti intensivi si trovano
per la maggior parte in quattro regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto ed
Emilia Romagna. È vero che in altre aree del Paese l’allevamento intensivo
non è così diffuso, ma è da quelle quattro regioni che arriva la maggior parte
della carne consumata in Italia. In Lombardia, in particolare, in
2.739 allevamenti di maiali, si contano oltre 4 milioni di
capi. Proprio incrociando i dati dell’Analisi Zootecnica, con quelli di Istat
(anche elaborati da Ismea) e di Eurostat, Essere Animali ha raccontato in un
report ‘Dieci anni di zootecnica in Italia’, dal 2010 al 2019. Un periodo nel
quale è scomparso il 32% degli allevamenti di mucche da latte ed è aumentato il
numero di animali per ogni struttura.
La favola
della fattoria e del rispetto degli animali – Negli ultimi anni sono decine le inchieste
realizzate all’interno di
allevamenti intensivi di polli, maiali, bovini,
costretti a vivere in condizioni agghiaccianti. In Italia 9 milioni
di maiali sono mutilati della coda e, se maschi, castrati senza anestesia, né
analgesia. Durante la gestazione e il parto, invece, 500mila scrofe sono
rinchiuse in gabbie così piccole da impedire loro qualsiasi movimento. Queste
pratiche causano estrema sofferenza ad animali intelligenti e sensibili e,
nel caso del taglio della coda, sono per giunta illegali, ma diffuse nella
quasi totalità degli allevamenti (anche in quelli Dop). Nella Penisola vengono
allevate circa 2 milioni di vacche da latte e quasi tutte non
hanno mai accesso al pascolo, mentre negli allevamenti intensivi da
loro si esige una produttività massima, che le porta a soffrire di zoppie,
infiammazioni delle mammelle, condannandole a una breve aspettativa di vita.
La fake news
della carne naturale vs quella ‘sintetica’ (che sintetica non è) – Uno dei casi più eclatanti,
che riguarda gli allevamenti di polli, porta diritti alla bufala della carne
‘naturale’. Una premessa: dal 2010 al 2019 è calata di 4,5 milioni di quintali
(-11%) la carne prodotta nei macelli italiani (in linea con il calo delle
importazioni), ma è aumentato di 37 milioni il numero di animali
macellati. Questo perché diminuiscono quelli di grossa taglia e aumentato
quelli di piccola. Come il pollo, appunto. Ma il 98% dei
550 milioni di polli macellati ogni anno in Italia appartiene
alle razze Broiler, condannate geneticamente a una breve vita
di sofferenza, sia che si trovino in allevamenti intensivi, sia che la
trascorrano in contesti protetti. Sono ‘ibridi’ frutto di una selezione genetica
che di naturale non ha nulla. Obiettivo: ottenere una crescita accelerata e
maggiore delle parti più richieste sul mercato, petto e coscia. Questi animali
diventano in poco tempo pulcini troppo cresciuti, non riescono a reggersi sulle
proprie zampe, hanno problemi di circolazione del sangue e cardio-respiratori.
Le condizioni di vita negli allevamenti e una genetica così omogenea
indeboliscono le barriere immunologiche degli animali, che si ammalano
di più.
La salute dei
cittadini, a suon di antibiotici – Nell’ambito della discussione sulle carni
coltivate, si paventa il rischio dell’utilizzo di prodotti
chimici. Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha detto:
“Ribadiamo il massimo livello di tutela della salute dei cittadini”. Eppure
negli allevamenti si utilizzano già prodotti chimici, compresi antibiotici e
fitofarmaci. Di più: secondo i dati del Piano Nazionale di Contrasto
dell’Antimicrobico-Resistenza, il 50% degli antibiotici consumati
in Italia è destinato al settore veterinario. Il suo impiego è una
delle cause principali di diffusione dell’antibiotico resistenza, la
perdita di efficacia di questi farmaci per cui l’Italia è il paese europeo con
il maggior numero di decessi: 11mila sui 33mila totali in Europa, scrive
l’European Centre for Disease Prevention and Control. A fine 2022 sono stati
pubblicati i dati Esvac (Sorveglianza europea del consumo di antimicrobici
veterinari) sulla vendita di antibiotici a scopo zootecnico in 31 Paesi
europei. Nonostante la riduzione del 53% registrata negli ultimi dieci anni,
l’Italia è il terzo paese in Europa per consumo di antibiotici
in allevamento, dopo Cipro e Polonia, con un consumo più che doppio
rispetto alla media europea. Il problema è che gli antibiotici non si
utilizzano solo nei trattamenti al singolo animale. Nel 2021, il 90% degli
antibiotici è stato utilizzato in trattamenti preventivi di massa,
così diffusi perché le infezioni sono più frequenti in condizioni di scarsa
igiene e di sovraffollamento. E poi c’è l’utilizzo per accelerare la
crescita degli animali. A gennaio 2022 è entrato in vigore il nuovo
Regolamento (UE) 2019/6 sull’uso responsabile degli antibiotici negli
allevamenti che vieta i trattamenti di massa a scopo preventivo, ma è evidente
che la strada è ancora lunga.
Allevamenti
tra industrie inquinanti, ma non per l’Italia – Sono sanitari, ma anche ambientali i costi
‘nascosti’ legati alla produzione e al consumo di carne stimati in uno
studio indipendente realizzato per Lav (Lega Anti Vivisezione)
dalla onlus Demetra e pubblicato in
esclusiva su ilfattoquotidiano.it. Eppure, nella locandina con
cui Coldiretti ha dato il via, a novembre 2022, alla petizione contro
il “cibo sintetico”, si sostiene che il cibo definito ‘naturale’
“tutela l’ambiente e lo straordinario paesaggio rurale”. D’altronde
l’Italia è tra i pochi Paesi europei a non avere accolto la revisione della
direttiva europea che include per la prima volta gli allevamenti intensivi di
bovini tra le industrie inquinanti. Perché in Europa, secondo il
Centro comune di ricerca della Commissione europea (JRC), il settore zootecnico
è responsabile dell’80% delle emissioni di ammoniaca nell’aria e di azoto
nell’acqua. Per l’Italia, Ispra stima che le emissioni di ammoniaca del
comparto agricolo rappresentano più del 90% di tutte le emissioni
nazionali di ammoniaca e l’80% di queste emissioni deriva dagli allevamenti. In
modo particolare da quelli di bovini, suini, tacchini e polli e riguardano le
fasi di gestione delle deiezioni nei ricoveri, negli stoccaggi e durante le
fasi di spandimento al suolo. Cosa comporta tutto questo? Gli enormi quantitativi
di ammoniaca prodotti dagli allevamenti italiani sono la seconda
causa della formazione del PM2,5 (per il 17,5%) dopo gli impianti di
riscaldamento (al 37%), ma prima dei trasporti (al 14%). Perché una volta
liberato in atmosfera, questo gas si combina con ossidi di azoto e di zolfo,
formando le polveri sottili. Non è un caso se la Pianura
Padana, la zona d’Italia dove si concentrano più allevamenti, è anche l’area
più inquinata d’Europa. E se in Europa l’inquinamento atmosferico è la
prima causa di morte prematura per fattori ambientali, il primato spetta all’Italia,
con 52mila decessi all’anno da PM2.5, un quinto delle morti
europee.
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