martedì 14 marzo 2023

C’era una volta il negozio sotto casa - Giovanni Caprio

  

Questa potrebbe essere l’estrema sintesi che emerge dalla consueta analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio sulla demografia d’impresa nelle città italiane, in collaborazione con il Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne.
Negli ultimi 10 anni sono sparite quasi centomila attività di commercio al dettaglio e oltre quindicimila imprese di commercio ambulante.
Crescono gli alberghi e i ristoranti ma senza riuscire a compensare le riduzioni del commercio.
La crisi pandemica e quella energetica sembrano avere enfatizzato i trend di riduzione della densità commerciale già presenti prima di tali shock, raggiungendo un picco negativo che non può che destare preoccupazione.

Tra il 2012 e il 2022 sono sparite, complessivamente, oltre 99mila attività di commercio al dettaglio e 16mila imprese di commercio ambulante; in crescita alberghi, bar e ristoranti (+10.275); nello stesso periodo, cresce la presenza straniera nel commercio, sia come numero di imprese (+44mila), sia come occupati (+107mila) e si riducono le attività e gli occupati italiani (rispettivamente -138mila e -148mila).

Concentrando l’analisi sulle 120 città medio-grandi, la riduzione di attività commerciali e la crescita dell’offerta turistica risultano più accentuate nei centri storici rispetto al resto del comune, con il Sud caratterizzato da una maggiore vivacità commerciale rispetto al Centro-Nord. Cambia anche il tessuto commerciale all’interno dei centri storici con sempre meno negozi di beni tradizionali (libri e giocattoli -31,5%, mobili e ferramenta -30,5%, abbigliamento -21,8%) e sempre più servizi e tecnologia (farmacie +12,6%, computer e telefonia +10,8%), attività di alloggio (+43,3%) e ristorazione (+4%).

La modificazione e la riduzione dei livelli di servizio offerto dai negozi in sede fissa confina con il rischio di desertificazione commerciale delle nostre città dove, negli ultimi 10 anni, la densità commerciale è passata da 9 a 7,3 negozi per mille abitanti (un calo di quasi il 20%).
Per evitare gli effetti più gravi di questo fenomeno, per il commercio di prossimità non c’è altra strada che puntare su efficienza e produttività anche attraverso una maggiore innovazione e una ridefinizione dell’offerta. E rimane fondamentale l’omnicanalità, cioè l’utilizzo anche del canale online che ha avuto una crescita esponenziale negli ultimi anni, con le vendite passate da 16,6 miliardi nel 2015 a 48,1miliardi nel 2022. Elemento, questo, che ha contribuito maggiormente alla desertificazione commerciale ma che rimane comunque un’opportunità per il commercio “fisico” tradizionale.

E’ del tutto evidente che la desertificazione commerciale non riguarda solo le imprese, ma interessa le nostre Comunità nel loro complesso perché significa meno servizi, meno vivibilità e meno sicurezza.
E la moria di negozi riconfigura inevitabilmente il profilo delle nostre città. Nel nostro Paese gli esercizi di vicinato rappresentano non soltanto una rete commerciale, ma un vero e proprio presidio culturale e sociale e sono un argine contro lo spopolamento di tanti comuni, soprattutto piccoli e piccolissimi, montani e delle aree interne. I negozi di quartiere sono un luogo dove le persone non solo consumano ma si incontrano, parlano, socializzano, stanno insieme, fanno comunità. Stiamo parlando – insomma- di una vera e propria “infrastruttura sociale”.

Da qualche tempo si fa un gran parlare della città dei 15 minuti, di un modello urbanistico basato sul concetto di prossimità, in cui le persone possano trovare entro 15 minuti a piedi (o in bici) da casa tutto quello che gli serve per vivere, evitando quindi di prendere l’auto o i mezzi pubblici, riducendo traffico e inquinamento, riappropriandosi del tempo perso negli spostamenti e riscoprendo la socialità nel proprio quartiere.

Ma se il piccolo commercio continua nella sua lenta agonia, se i tanti “non luoghi” come i centri commerciali puntellano sempre più il panorama delle nostre città (e soprattutto delle desolate periferie urbane) e se gli acquisti online con il loro carico di sfruttamento e inquinamento crescono in maniera esponenziale, la città dei 15 minuti è costretta per ora a restare un’utopia per molti.

A meno che dalle buone intenzioni e dai programmi elettorali non si sappia repentinamente passare a politiche pubbliche per il commercio di prossimità che- anche utilizzando i fondi del PNRR e altri fondi europei e regionali – puntino a “piani strategici di valorizzazione urbana” in grado effettivamente di rendere più innovative, vivibili, accessibili, sostenibili e “prossime” le nostre città…

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