sabato 25 marzo 2023

due lettere di Mauro Armanino, dal Sahel

                     Migranti nel Sahel, voce del verbo deportare

Le migrazioni fanno la storia e la storia è fatta di migrazioni. La mobilità è costitutiva dell’umanità perché la vita non è altro che una serie di cammini inventati nel tempo. La storia si ingegna a raccontare quanto ogni giorno trova scritto sulla sabbia prima che sia cancellato dal vento. Si tratta dei sogni che, impunemente traditi, rubati o confiscati dal sistema di polizia globale, sopravvivono e si tramandano alle generazioni future. I migranti, spesso senza avvedersene, sono delle migrazioni i drammatici artigiani e profeti. Per questo, senza destare sommovimenti, proteste e rimostranze degne di questo nome, sono ormai da anni oggetto di deportazioni. Basta andare sul net e scrivere questa sinistra parola, abbinata all’Algeria dei militari, del gas e del petrolio, per trovare in fretta una serie impressionante di notizie sul tema.

Sono sinonimi del verbo deportare, verbo transitivo …(che si dice di un verbo che non esaurisce l'azione in sé ma la estende su un “oggetto”), esiliare, bandire, confinare, relegare, deporre, proscrivere, trasferire a forza. Tutto è detto perché il verbo ‘transita’ sull’altro, appunto, come ‘merce di scambio’. Solo perché l’altro è riducibile ad ‘oggetto’ che la storia ha reso le deportazioni tristemente famose e attualiEsse sono state applicate su vasta scala in Europa durante la seconda guerra mondiale e poi applicate dappertutto.

‘Le deportazioni degli africani dall’Algeria al Niger continuano … in condizioni caotiche e persino mortali’, è scritto sul sito di ‘Meltingpot’ del 4 gennaio scorso. Algeria, l’Onu accusa: migranti deportati e abbandonati nel deserto al confine col Niger, del 21 maggio 2018…lo stesso sito ricorda che almeno 10 mila migranti sono stati abbandonati a partire da settembre. Continuano su larga scala le deportazioni dall’Algeria mentre le operazioni di rimpatrio verso i Paesi di origine sono state notevolmente rallentate, segnala il sito italy24.press, del 3 gennaio di quest’anno. Algeri deporta nel deserto i migranti e a denunciarlo è l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM). Secondo l’organizzazione alcuni sono stati abbandonati dai trafficanti, altri sono stati deportati dalle autorità algerine. Riferito sito della rivista missionaria Africa’.

Questo verbo deriva dal latino deportare, infinito presente attivo di deporto, "portare via"… Nell’epoca dello schiavismo, Nel Sahel e altrove in Africa, si è cominciato col ‘portar via’ le persone a milioni dal Continente. Si è continuato col ‘portar via’ la sovranità dei popoli con colonialismo e poi col neocolonialismo che è perpetuato sotto altre vesti dalle attuali elite al potere. In questi decenni le geopolitiche della miseria hanno cospirato per ‘portar via’ il futuro dei giovani del Continente.

 ‘Sono migliaia i fantasmi nel deserto ai confini con la Libia. Migranti e profughi africani e asiatici prelevati dalle carceri libiche ed espulsi nel Sahara. La loro sorte è ignota. La denuncia viene dall’Alto commissariato per i diritti umani dell’Onu che a novembre ha pubblicato il rapporto 'Unsafe and Undignified', insicuri e privati della dignità. Nel 2019 e nel 2020 ha avuto notizie di 7.500 espulsioni arbitrarie di migranti e richiedenti asilo in Sudan, Niger e Ciad. Numero sottostimato, sostiene lo studio, per l’impossibilità di ottenere dati certi. Solo a dicembre o gennaio 2020 ci sono state oltre mille espulsioni nel deserto dalla Libia in Niger. I migranti vengono prelevati da centri e portati nei centri di raccolta dalle quali le unità di pattuglia in frontiera li deportano’. E’ il giornale Avvenire che pubblicava questa notizia tempi addietro.

Tutta deportazione, dunque, nasce dal ‘portar via’ ciò che costituisce quanto di più prezioso possieda una persona: il desiderio di un mondo differente. Un mondo che privilegi l’importazione di beni e capitali, l’esportazione di materie prime e di giovani come ‘mercanzia’ da trafficare, non può che utilizzare la deportazione come strategia di governo. Ed è proprio questo sistema che i migranti rivelano, denunciano e, a modo loro, sconfiggono.

                                                                                Mauro Armanino, Niamey, 12 febbraio 2023



              Come liberare la pace nel Sahel, istruzioni per l’uso

L’amico Pierluigi Maccalli, ostaggio per più di due anni nel deserto, è stato per tanto tempo incatenato dai suoi rapitori. Attaccato come si fai coi cani e coi prigionieri perché non fuggano dalla prigionia, aveva pochi metri di spazio. Proprio a lui, da sempre artigiano di pace nel suo cammino umano e missionario, è toccato in sorte di fare l’esperienza della violenza. In quella circostanza, nelle fredde notti sotto le stelle ancora più luminose del deserto, avrebbe confessato di avere scoperto la libertà. Da allora Pierluigi, nel suo Paese e altrove, condivide, a chi l’ascolta e legge i suoi scritti, una testimonianza di pace. Lui, innocente ostaggio della violenza armata in nome di un dio camuffato da giustiziere, ha trasformato le catene in libertà.

Nel Sahel, altrove in Africa e in Europa, non si fa che parlare di armi, munizioni, militari, tattiche e strategie per ‘neutralizzare’ il nemico. Pure noi in Niger, nel nostro piccolo, possediamo aerei, droni, basi militari, soldati e cimiteri in abbondanza. Non mancano gli investimenti per il settore della difesa e non mancano neppure, nella stessa capitale, le classi fatte di paglia che ogni anno riducono in cenere alunni e strutture. I gruppi armati di dio, dei soldi, dei commerci e soprattutto dei propri interessi, non sono che pedine, vittime anch’essi delle forze del male. Esse, le forze schiave del male, operano in modo aperto e misurabile e assieme occulto, perché indefinito negli effetti poco prevedibili. Di tutto ciò la corsa al riarmo è il segno.

I numeri dell’Istituto Internazionale della Ricerca sulla Pace di Stoccolma, evidenziano che l’anno scorso è stato marcato da una spesa militare senza precedenti, di 2. 100 miliardi di dollari. Il business della guerra è generato dai conflitti armati, le scelte militariste dei paesi belligeranti o cobelligeranti, impegnati a rifornire gli eserciti sul campo. Si prepara poi il business della ricostruzione e i diversi paradisi umanitari con, sullo sfondo, l’industria bellica al comando della politica che si nutre della vita di migliaia di esseri umani. Finché il detto latino anonimo assicura che ’ per volere la pace occorre preparare la guerra’ non sarà messo nelle pattumiere della storia, non usciremo dalla logica della spirale della violenza, di cui anche Dio è vittima.

Ecco perché è da prendere sul serio l’invito accorato dell’amico Pierluigi a ‘liberare la pace’. Nelle politiche, nelle religioni, nell’economia, nelle relazioni e soprattutto nello spirito umano, occorre ‘ripudiare’ la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Disarmare e soprattutto dis-armarsi nel pensiero, nelle parole, nelle scelte e nello sguardo, per liberare la pace, incatenata dalla menzogna e la paura dell’altro.

 

                                                                                             Mauro Armanino, Niamey, 19 febbraio 2023

 


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