La fase attuale del sistema economico
Si moltiplicano le analisi che evidenziano una svolta sostanziale
dell’economia capitalistica, non ancora pervenuta a livello politico e nei
mezzi di comunicazione di massa. In italiano è uscito di recente un testo
dal titolo molto attraente, “Karl Marx aveva ragione”, (1), dove si sostiene
che il capitalismo ha bisogno di riforme profonde, altrimenti soccomberà. In
effetti si susseguono enormi problemi collegati fra loro.
La crisi energetica, lo scontro commerciale tra Cina e Stati Uniti, il
rischio di una guerra mondiale, l’attacco dei populisti e dei leader autoritari
alla democrazia e molti altri se ne potrebbero aggiungere. E l’articolo
continua: “Fino a poco tempo fa, per tutti questi problemi sarebbe stata
proposta una sola soluzione: il mercato.
Oggi chi ci crede più? Soprattutto alla luce del grande moltiplicatore di
tutte le storture del sistema: la crisi climatica.” Ora non possiamo pensare
che analisi di questo genere possano rivelarsi risolutive a breve termine, però
non possiamo ignorare il fatto che la crisi climatica è in fase di rapido
peggioramento (2) e che la mancanza quasi assoluta di interventi e politiche
degli Stati in materia ambientale potrebbe nel giro di pochi anni diventare
inutile di fronte a fenomeni che abbiano superato “il punto di non
ritorno” dei quali gli scienziati parlano sempre più spesso, oppure finora
totalmente ignorati, come l’innalzamento del livello dei mari e le mutazioni
avvenute nelle emissioni di metano.
Quali sono oggi le inizative possibili e concrete.
In linea generale sono almeno due i processi che potrebbero prendere forma
nella fase attuale del sistema capitalistico dominante. La prima appartiene
ancora integralmente a questo sistema, e comprende una molteplicità di
politiche e azioni concrete che cercano di attenuare le difficoltà che le
economie incontrano e di ridurre gli effetti negativi della crisi climatica in
pieno sviluppo. Le strutture economiche sarebbero chiamate a modificarsi per
tenere conto dei principali fenomeni indotti dal clima, senza però intaccare in
alcun modo le logiche di fondo e strutturali del sistema dominante.
Questo tentativo viene effettuato periodicamente in sede IPCC dove si parla
di mutazioni e adeguamenti, ma solo marginali e spesso, nella realtà,
completamente trascurati per rispondere alle pressioni delle attività
economiche in atto. In termini più generali si parla di “sostenibilità”,
indicando in tal modo una serie di piccoli adattamenti alle modificazioni
prodotte dagli andamenti climatici, senza intaccare in alcun modo le logiche di
fondo del sistema economico complessivo.
Il secondo processo, in pratica ancora non calato nella realtà, descrive
gli interventi, su una realtà socioeconomica ed ecologica in via di rapido
peggioramento, che diventano sempre più urgenti e difficili da realizzare. Anzi
questo tipo di processi è ormai costellato da analisi e previsioni che prendono
sempre più in considerazione la pratica impossibilità di realizzare gran parte
delle iniziative in tempi utili per modificare radicalmente gli andamenti
climatici. In altri termini, aumentano le analisi che prendono in considerazione
la pratica impossibilità di intervenire e suggeriscono solo misure dirette a
contenere le perdite ambientali e il numero delle vittime.
A tale proposito citiamo la copertina di un volumetto di Jonathan Franzen,
stampato già nel 2019, intitolato “E se smettessimo di fingere?” e che in
copertina continua: “Ammettiamo che non possiamo più fermare la
catastrofe climatica” e ”L’apocalisse climatica sta arrivando.
Per prepararci ad affrontarla abbiamo bisogno di ammettere che non possiamo
prevenirla”. ( 3 ) E da allora sono passati altri quattro anni. In effetti anche
interventi di pura sopravvivenza su scala planetaria richiederebbero parecchi
anni per essere progettati e attuati, in particolare nei paesi con minori
risorse e capacità, ma che rappresentano oltre due terzi della attuale
popolazione mondiale.
Di quali iniziative possiamo parlare
Vediamo ora in concreto di quali forme di transizione possiamo
realisticamente parlare. In primo luogo è interessante sottolineare
che di recente si stanno moltiplicando le analisi che evidenziano i limiti del
sistema capitalistico in termini molto radicali, sottolineando cioè i
limiti e le carenze che mostra nel suo funzionamento (non i danni che provoca)
e delineano un futuro molto limitato per la sua sopravvivenza.
Ne indichiamo solo alcune, più stimolanti e concrete. L’articolo “Karl
Marx aveva ragione”, già citato, afferma che il capitalismo ormai
funziona male e i suoi problemi peggiorano con la crisi climatica, a sua volta
definita “il grande moltiplicatore di tutte le storture del sistema”. In
particolare, cosa ne pensa il fondatore del più grande fondo speculativo del
mondo e titolare di un patriminio stimato in 26 miliardi di dollari, Ray
Dalio?: “Esagerando con le cose buone, si rischia di farle implodere.
Se queste cose non si trasformano muoiono”, “Il capitalismo ha bisogno di
riforme profonde.
Altrimenti soccomberà. E sarà giusto così” . E in effetti ci sono troppe
cose che non funzionano, l’inflazione aumenta il divario tra ricchi e poveri,
la quasi totalità degli obiettivi climatici non è stata raggiunta e la politica
non riesce a riparare le continue crepe del sistema. E perfino i grandi gruppi
discutono dell’opportunità di privilegiare finalmente gli interessi della
collettività rispetto a quelli degli azionisti.
“ Ma ormai le debolezze del sistema sono così evidenti: la globalizzazione
è fuori controllo, la ricchezza finsce quasi per intero in tasca al 10% più
ricco della popolazione, il consumo irresponsabile delle risorse rovina il
pianeta e la finanza si abbandona a eccessi continui “.
“Fino a poco tempo fa, per tutti questi problemi sarebbe stata proposta una
sola soluzione: il mercato. Oggi chi ci crede più? Inoltre di idee per un
ordine economico più giusto e sostenibile ne circolano molte e arrivano dagli
schieramenti ideologici più diversi. In sintesi si può dire che affermano la
necessità di “meno mercato, più Stato, meno crescita”.
Il testo riporta anche una affermazione di un economista che in
passato era il capo dei consulenti economici del presidente Bush: “Per
avere successo nel lungo periodo un sistema economico deve migliorare il tenore
di vita del maggior numero di persone possibile. Non mi pare che il
capitalismo attuale abbia ampi margini per aumentare il benessero collettivo”.
E ancora, secondo Kohei Saito, un economista giapponese, “Il collasso del
pianeta potrà essere fermato solo da un sistema postcapitalistico senza più
crescita, in cui la produzione rallenta e la ricchezza è redistribuita in modo
mirato”.
“L’appello di Saito per una cultura marxista della decrescita, con orari di
lavoro ridotti e più attenzione a lavori meno prientati al profitto e con
maggiore utilità sociale, come l’assistenza agli anziani e ai malati, ha
centrato lo spirito dei tempi “. Secondo Mariana Mazzuccato, ora all’University
College di Londra, una esperta molto ricercata, “Da solo, il mercato non ha
nessuna speranza di vincere le sfide del ventunesimo secolo, soprattutto quella
della crisi climatica. Per arrivare a una economia a emissioni zero bisogna
cambiare il sistema economico”. “Ci si chiede perchè i soldi escano fuori
di colpo solo nelle emergenze, mentre per questioni sociali importanti, come la
sanità e l’ambienta, sembra sempre tutto impossibile perchè bisogna tenere
sotto controllo il debito pubblico”.
Nel testo c’è anche un’altra osservazione: “Solo che, se il pianeta
continua a riscaldarsi a questo ritmo, non è chiaro per quanto tempo ancora la
rinuncia alla crescita possa essere considerata una scelta volontaria?” E
questa è una domanda cruciale, alla quale tutti dovremmo rispondere nel giro di
pochi mesi. Il testo fornisce una prima risposta, quella dei fratelli Freitag,
una azienda che produce borse e portafogli in 25 paesi: “Il turbocapitalismo
non riesce più a offrire le risposte giuste e produce danni eccessivi: le
cose possono funzionare anche ad un ritmo più lento, più equilibrato e più sano
per tutti”.
Il testo, infine, descrive le posizioni di due studiosi, Shafik e
Redecker, che suggeriscono ulteriori percorsi alternativi. In conclusione,
sembra si possa affermare che le critiche al sistema dominante si stanno
moltiplicando, mentre le ipotesi di alternative radicali sono forse ancora alla
stato di suggestioni, sicuramente valide ma ancora non entrate a far parte di
una realtà alternativa effettiva, di cui però è sempre più elevato il grado di
realismo.
Sempre al fine di inserire le ipotesi di evoluzione in un quadro di massimo
realismo, sembra opportuno citare molto sinteticamente quanto riportato in due
recentissimi articoli apparsi in italiano nel gennaio 2023, “Il
collasso che sta per arrivare” e “Il ghiacciaio del destino”, i titoli sono
impressionanti, il contenuto ancora di più.
Nel primo, apparso su “Le Scienze”, (4) si descrivono i risultati di due
spedizioni di ricerca sulla piattaforma di ghiaccio Thwaites in Antartide, che
hanno rivelato che potrebbe sgretolarsi in meno di un decennio. Si tratta di
una massa di ghiaccio grande due terzi dell’Italia, formata da una piattaforma
galleggiante, da un ghiacciaio in parte marino, in parte sulla terraferma e da
una parte completamente su base terrestre. In precedenti esplorazioni si era
già scoperto che l’intera area aveva uno spessore di ghiaccio di circa 4000
metri che poggiava su un antico fondo oceanico a 2500 metri sotto il livello
del mare.
Nel 1978 un glaciologo aveva già lanciato un primo allarme, circa
l’eventuale scioglimento dei ghiacci nella regione. Le ultime spedizioni,
ancora in corso, hanno rivelato una situazione già in parte compromessa.
L’articolo è molto lungo, ed è correlato da mappe, grafici, immagini e non sono
sicuro di aver compreso tutto quanto vi è accuratamente analizzato. In sintesi,
tutti questi ghiacciai sono in lento movimento a causa del riscaldamento
globale, ma le preoccupazioni immediate riguardano la piattaforma galleggiare,
che è percorsa da fratture che si stanno allargando e che quindi potrebbe
sbriciolarsi in un breve volgere di anni.
Ma la sua distruzione non bloccherebbe più la parte del ghiacciaio in parte
marino e in parte a base terrestre, che potrebbe accelerare il suo movimento
verso il mare e non ostacolerebbe più la parte più interna del Thwaites.
Secondo gli scienziati l’intero processo potrebbe svolgersi entro un decennio e
non sono escluse possibili accelerazioni.
Ma la parte più proccupante riguarda lo scioglimento di ghiacciai di questo
spessore nel mare: gli oceani potrebbero aumentare da un minimo di 65
centimetri fino a tre o cinque metri, con le conseguenze che possiamo solo
immaginare su tutti gli insediamenti umani sulle coste, su interi paesi già
oggi sotto il livello del mare, sull’intera pianura padana già oggi in
difficoltà per la siccità e la ridotta portata del Po. Nel secondo articolo,
apparso su “Internazionale” (5), e riferito alle stesse spedizioni, già nel
titolo viene descritta la reazione a catena che farà salire di più di tre
metri il livello dei mari, anche se gli scienziati stanno cercando di capire
quando tutto ciò succederà. Nel testo si forniscono elementi storici
sull’intera vicenda, si descrive lo scioglimento dal basso che caratterizza i
ghiacciai e li mette in movimento, si parla delle indicazioni raccolte da un
robot sottomarino immerso sotto le pattaforme. Gli autori poi descivono i
rapporti con l’Antartide che hanno numerosi paesi, sia in termini di ricerche
che militari; descrive le esperienze di altri ricercatori nell’intera regione
polare; evidenzia il riscaldamento dell’intera regione polare non dipendente
dai meccanismi attuali dovuti alla anidride carbonica; indica in quali città si
avranno i peggiori effetti del collasso previsto nella zona; infine intervista
un esperto che afferma:
”Per quanto riguarda l’innalzamento del livello dei mari non ci sono dubbi:
la situazione è fuori controllo”. I due articoli si completano a
vicenda e dovrebbero essere studiati e compresi a fondo da quanti sono
realmente preoccupati dagli andamenti climatici globali e per la pratica
mancanza di provvedimenti adeguati da parte della stragrande maggioranza dei
governi.
E’ ancora possibile agire, quali i limiti e i vincoli
In questa situazione, è ancora possibile agire o impegnarsi per una società
diversa? In effetti, diventano stimolanti e attraenti tutti i progetti e
i percorsi che abbiano come prospettiva la completa sostituzione del
capitalismo con una società totalmente diversa, ma che in primo luogo si prende
cura del Pianeta e della urgente necessità di ridurre tutti gli inquinamenti e
di eliminare o trasformare tutte le attività produttive e tutte le forme di
utilizzazione delle risorse naturali che incidono sugli equilibri del pianeta e
della sua atmosfera. Se queste prospettive vengono giudicate necessarie e
realizzabili, allora delineare processi verso un assetto completamente
nuovo diventa un lavoro concreto e urgente.
Naturalmente, mentre le catastrofiche prospettive dei danni climatici, che
incalzano ogni mese e ogni anno più velocemente, lo richiederebbero, nel
sistema dominante non sono certo maturi i tempi per un qualche
ricorso alle logiche di fondo della riduzione della crescita. Quindi la strada
percorribile è quella degli specifici interventi subito utili (anche se modesti
e parziali), restando però attenti a dare la precedenza a quelli che, sia pure
marginalmente, in qualche modo sono diversi dalla logica della crescita
illimitata.
Cosa possiamo fare oggi: condizioni, vincoli, grado di realismo,
potenzialità
Le misure finora adottate ed etichettate come interventi per l’ambiente,
sono poche e poco incisive, ma soprattutto rientrano nelle norme di una
maggiore “sostenibilità”. Tendono cioè a migliorare superficialmente il sistema
capitalistico, senza incidere sui suoi meccanismi sostanziali. Possiamo qui
ricordare i vari Green New Deal adottati da qualche organizzazione
internazionale ed europea, le misure che adottano dei miglioramenti a fini
ambientali (molto pubblicizzati) ma che non modificano le logiche di fondo
dell’economia dominante, le poche concessioni ai risvolti ambientali concessi
da enti locali e anche da alcuni governi, e tutte le iniziative di base che
hanno obiettivi di tutela ambientale, ma che non hanno la portata e la forza
politica di incidere sulla struttura portante del sistema economico.
Vi sono tuttavia una serie di iniziative e attività già in corso, sia
decise dagli Stati, sia avviate da iniziative di base, espresse
direttamente dalle popolazioni, ovviamente con una pluralità di caratteristiche
e di finalità, che possono essere prese in considerazione e utilizzate
per i nuovi obiettivi:
1.
Sono sempre più numerose le affermazioni di chi ritiene ormai impossibile
intervenire sugli andamenti climatici se non per rallentare o modificare
marginalmente i fenomeni in corso.
2.
L’andamento del clima è sempre più complesso, esteso e veloce; si
moltiplicano gli eventi estremi, aumentano senza soste il riscaldamento dei
mari e lo scioglimento dei ghiacciai, si hanno le prime indicazioni di aree di
siccità in aumento e di scarsità gravi di acqua potabile, nelle zone insulari e
in molte zone costiere è sensibile l’aumento del livello dei
mari.
3.
Gli scienziati individuano sempre nuove trasformazioni in atto, come nel
caso delle emissioni di metano o dell’espansione delle aree di siccità.
4.
I tempi disponibili per eventuali interventi massicci e radicali per
modificare il clima si accorciano sempre più, forse sono ancora disponibili
otto-dieci anni o forse meno. In ogni caso ancora non vi è traccia di svolte
importanti in questo campo a livello dei governi e quindi ogni giorno che passa
si riducono le opportunità di cambiamenti radicali.
5.
In altri termini, forse possiamo già parlare solo di interventi
emergenziali diretti a salvaguardare il maggior numero possibile di vite umane,
oppure di interventi concentrati solo nelle regioni esposte a rischi maggiori
al fine di “spostare” intere popolazioni.
6.
Infine, non sono certo da escludere, anche in paesi con un certo livello di
industrializzazione, il moltiplicarsi di situazioni gravi causate da meccanismi
climatici, e che richiedano consistenti interventi di urgenza anche
internazionali.
Se queste premesse sono valide, le pagine seguenti descrivono solo delle
iniziative che possono sia incidere sul clima che salvaguardare le popolazioni,
affidate al lavoro e all’impegno di chi abita determinate zone e che presentano
delle caratteristiche tecniche e fisiche che le rendono realizzabili per opera
delle relative popolazioni locali. Sono anche concepite per permettere
una maggiore concentrazione di interventi in tempi stretti per fronteggiare gli
effetti di eventuali “eventi estremi”, qualora il clima sempre più dannoso subisse
delle accelerazioni, già verificatesi negli ultimi anni e che ormai
sembrano diventare sempre più probabili.
Prime proposte di interventi settoriali a scala nazionale
In questa situazione indicare delle azioni e delle attività di
contrasto degli andamenti climatici ormai indiscutibili è una operazione
complessa, poiché si può essere convinti che le mutazioni in corso siano ormai
inarrestabili e insieme di dover comunque avviare o moltiplicare delle attività
che possono non incidere sui fenomeni negativi in corso o essere completamente
assorbite dai peggioramenti in corso.
Inoltre è particolarmente difficile indicare degli obiettivi quando
di fatto non si può sperare in una inversione di tendenze ormai ben affermate.
D’altra parte, a livello sociale non sono ancora emersi la molteplicità di
gruppi di pressione capaci di incidere sulle attività di quasi tutti i governi
e di un ristretto gruppo di potenti transnazionali.
Quanto segue, pertanto, è coscientemente un tentativo (si spera non
disperato) di indicare dei campi di azione dove già esistono da tempo soggetti
attivi significativi e dove potrebbero coagularsi delle forze sociali molto
diffuse, non appena sarà riconosciuta in un numero sufficiente di paesi
l’assoluta necessità di cercare di invertire le tendenze climatiche o almeno di
ridurre i loro effetti peggiori. Infine, non si è trascurata, nella scelta dei
settori prioritari d’intervento, il vantaggio che si potrebbe avere, nel caso
di alcuni eventi climatici estremi particolari, – carenze di acqua potabile,
incendi, alluvioni, ecc. – una rete operativa già funzionante e
collaudata, capace di realizzare interventi che vadano anche al di là delle
urgenze.
A. Interventi idrogeologici e riduzione sprechi di acqua
Controllo degli argini dei principali corsi d’acqua, ripristino dei
percorsi originali, verifica della importanza del “cuneo salino”, creazione di centri
di controllo automatici nei punti cruciali dei percorsi, potenziare i centri di
analisi dei rapporti tra scioglimento dei ghiacciai e livello della portata dei
fiumi, creazione, sul modello cinese, di un gruppo di persone accuratamente
formate, responsabili della sorveglianza di ogni tratto dei fiumi principali,
per prevenire esondazioni e cambiamenti improvvisi di percorso. Misure
analoghe per i laghi e in genere dei bacini idrici artificiali o a monte delle
dighe. Controlli sui punti di prelievo di acqua autorizzati e illegali. In caso
di siccità crescente, verificare i prelievi per usi agricoli e i consumi
eccessivi delle abitazioni.
Sui ghiacciai alpine e appenninici, misurare con continuità il grado di
scioglimento delle nevi e dei ghiacci. Controllare rigidamente gli impianti per
la produzione di neve artificiale.
Per gli acquedotti, effettuare subito tutti gli investimenti necessari per evitare
perdite nella fase del trasporto dell’acqua. Controllare tutti i punti di
distribuzione dell’acqua nei centri ubani di ogni dimensione. Controllare di
frequente i consumi idrici negli impianti industriali e nelle abitazioni ed
eventualmente introdurre misure per limitare i consumi e ridurre gli sprechi.
Effettuare periodicamente campagne per ridurre gli sprechi al momento del
consumo negli impianti, negli uffici e nelle abitazioni. Controllare con
continuità le navi di ogni dimensione, specie se dirette all’estero, e i porti
di attracco.
Sostenere e potenziare i centri per studi e ricerche riguardanti il settore
idrogeologico.
B. Riforestazione
I processi di deforestazione sono in uno stato avanzato nella maggior
parte dei paesi e il tempo di una sparizione pressochè totale delle zone
coperte da alberi si riduce continuamente. Secondo il Global
Forest Resouces Assessment della Fao del 2020 le foreste ricoprivano circa il
31% delle terre emerse, circa 4 miliardi di ettari. Più di metà del terreno ricoperto
da foreste nel mondo appartiene a soli sei paesi, Russia, Brasile, Canada,
Stati Uniti, Congo e Cina. Il 45% delle foreste è nella fascia tropicale, con
le due più grandi foreste pluviali al mondo, quella dell’Amazzonia e quella
della Repubblica Democratica del Congo.
Tra il 1990 e il 2020 sembra che il ritmo di deforestazione stia
diminuendo: il primo decennio si deforestavano circa 8 milioni di ettari di
foreste ogni anno, dal 2000 al 2010 se ne deforestavano circa 5 milioni di
ettari, dal 2011 al 2020 solo 4,74 milioni. L’andamento della deforestazione è
in aumento in Africa, Il Brasile guida la classifica dei paesi che hanno
registrato la più alta perdita annua netta di di superficie forestale, tra il
2010 e il 2020, seguito dalla R.D. Del Congo, Indonesia, Angola, Tanzania,
paraguay, Myanmar, Bolivia e Mozambico. Nella sola Amazzonia dall’agosto
2020 al giugno 2022 sono stati distrutti 13.000 chilometri quadrati di foresta
pluviale, quella più antica e mai sfiorata da attività umane, con un aumento
del 22% rispetto all’anno precedente.
Si tratta di un ritmo di deforestazione preoccupante, oltre che in termini
quantitativi anche qualitativi, per la perdita di aree tra le più ricche di
biodiversità del pianeta, e che tra l’altro non prende in considerazioe lo
stato di salute di foreste degradate a causa di sovrasfruttamento,
inquinamento, disastri originati da eventi climatici, incendi o
conflitti. Inoltre vi sono delle iniziative che si propongono di
“riparare” le emissini eccessive di anidride carbonica: ad esempio in Nuova
Zelanda il governo si è posto l’obiettivo di piantare un miliardo di
alberi entro il 2028; in Italia, in Emilia-Romagna, il progetto
“Mettiamo radici per il futuro” ha portato alla piantumazione di 587.OOO nuovi
alberi in aree pubbliche e private. Però si tratta purtroppo ancora di
iniziative di piccole dimensioni rispetto alla necessità urgente di riostituire
le foreste dell’intero pianeta.
Inoltre mentre in Europa le foreste erano formate in origine da
faggi e querce, molti boschi sono stati ripiantati con pecci e pini. Ma
l’aspetto che preoccupa di più gli esperti di foreste è la sempre crescente
frequenza degli eventi meteorologici estremi, incendi, tempeste violente,
infestazioni di insetti e soprattutto il caldo eccessivo e la siccità che
possono peggiorare gli effetti di tutto il resto. (6)
C, Moltiplicazione delle comunità autonome
In Italia, come in numerosi altri paesi, negli ultimi anni si sono
moltiplicate le comunità di base, cioè la intensificazione delle relazioni e
degli scambi all’interno di gruppi di persone che decidono di modificare i loro
consumi e le loro attività, economiche e culturali e di svolgerli in misura
crescente al di fuori del mercato di tipo capitalistico.
Si può trattare degli abitanti di un piccolo comune, oppure di parti di
quartieri di città più grandi, o ancora di una intera vallata o di un’area
omogenea impoverita dalle emigrazioni. Ciò che conta è l’aumento delle persone
coinvolte e delle realzioni che si stabiliscono di comune accordo, nonché la
sperimentazione continua di nuove attività sempre più autonome rispetto al
contesto sociale ed economico di partenza. In Italia tali comunità superano
ormai le 600 e una recente ricerca le ha censite secondo alcune categorie di
attività prevalente
§
Salvaguardia e valorizzazione di beni comuni
Ogni comunità locale, enti locali e associazioni di base in primo luogo,
devono individuare e analizzare i beni comuni che incidono su ogni territorio.
Una prima lista: mura antiche (etrusche, romane, medievali) strade romane,
scavi e giacimenti, torri medievali, cattedrali, chiese, conventi,
palazzi municipali, palazzi nobiliari e storici, statue e monumenti, musei e
collezioni di arte, fontane e ville, feste, giochi e processioni tradizionali,
produzione e utilizzazione di strumenti musicali, produzioni artigianali,
imbarcazioni tradizionali, strutture antiche industriali e tecnologiche,
mari e isole, valli e monti particolarmente attraenti, centri di
produzione di cibi tipici ecc. (7)
L’italia è particolarmente ricca di tutto ciò, però è necessario
distinguere tra beni tradizionalmente curati e celebrati periodicamente e
beni che sono in stato di abbandono o scarsamente noti. Moltissimi enti locali
curano annualmente gli eventi per cui sono noti, ma nel resto dell’anno una
parte delle loro ricchezze è trascurata o addirittura in via di sparizione.
Inoltre in molti luoghi i giri turistici si limitano a mostrare rapidamente i
monumenti più noti e trascurano completamente intere aree delle antiche culture
Considerazioni finali
Il presente articolo ha molti limiti, sia di qualità che di contenuti, ma è
stato pensato come una proposta, o al massimo come una provocazione, rivolta
alle organizzazioni di base che hanno ancora l’intenzione e la forza di agire
in un contesto sociale e politico molto difficile, e in un’epoca foriera
di gravissime difficoltà e immani disastri. E’ forse solo una ipotesi di
reazione, per evitare di seguire percorsi ormai superati dagli eventi e
immaginare invece delle alternative realistiche e urgenti. In altre parole, si
può dare per scontato che governi e partiti non abbiano più nemmeno il tempo di
reagire alla catastrofe in corso, mentre tra le associazioni di base ne
esistono un certo numero ancora capace di intuire le alternative possibili e di
essere pronta a modificare i propri comportamenti per fronteggiare un futuro
già gravemente compromesso. L’articolo è quindi una sollecitazione (una
provocazione, una sfida). I contenuti suggeriti possono essere completamente
modificati o sostituiti, i tempi delle possibilità (delle finestre di
opportunità) sono purtroppo immodificabili.
Note
1.
AA.VV. “Karl Marx aveva ragione, “Internazionale” n. 1493, del 20 gennaio
2023, pag.40-47
2.
Tim Jackson, “Prosperità senza crescita”, Edizioni Ambiente, 2017
3.
Jonathan Franzen, “E se smettessimo di fingere?” Ammettiamo che non
possiamo più fermare la catastrofe climatica, Giulio Einaudi Editore, Torino,
2020
4.
Douglas Fox, “Il collasso che sta per arrivare”. Le Scienze, gennaio 2023,
pag. 42- 52
5.
AA.VV “Il ghiacciaio del destino”, “Internazionale” n. 1493, 5 gennaio
2023, pag.38-47
6.
Pievani e Varotto, “Il giro del mondo nell’Antropocene”, una mappa
dell’umanità del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2022, pag. 153-163
7.
Ugo Mattei, Beni comuni, un manifesto”, Edizioni laterza, Roma-Bari, luglio
2011
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