Mentre il mondo va come va, la Sardegna affronta difficoltà strutturali incancrenite e sempre più gravi. Ma la nostra politica istituzionale vive in una dimensione parallela, che col nostro mondo reale ha sempre meno connessioni.
Non che i nostri mass media siano meglio. Oggi intravvedo sull’edizione
online dell’Unione questo titolo:
Siccome so come funziona l’economia sarda, non ho manco bisogno di leggere quello che recita il sommario dell’articolo (la scritta subito sotto il titolo). Da anni la voce principale dell’export sardo sono i prodotti petroliferi. È un elemento della nostra debolezza economica ed è uno dei motivi dell’attribuzione alla nostra condizione storica dell’aggettivo “coloniale”.
Se pensate a come vanno le cose sul pianeta, tra crisi sempre più
devastanti e di dimensioni globali, con quella ecologica-climatica in cima alla
classifica, non c’è bisogno di specificare ulteriormente quanto questo dato sia
ormai grottesco. Giusto i nostri mass media possono ancora presentarla come una
buona notizia o come una cosa sensazionale.
Invece è una delle tante questioni aperte che bisognerebbe affrontare con
spirito di urgenza, mettendo in moto le migliori energie e tutta l’intelligenza
collettiva di cui disponiamo. E dovrebbe occuparsene, per definizione, la
politica.
Di cosa si occupa la politica sarda, a cosa pensa, cosa fa? Ne parlo
spesso, ma a volte è forse più istruttivo esporre degli esempi concreti.
Prendo da Facebook quello che scrive sul suo profilo Maurizio Onnis,
sindaco di Villanovaforru:
Ora, io su quei geni del male dei Riformatori sardi penso di aver detto pressoché tutto. Non riesco nemmeno più a etichettarli dal punto di vista antropologico. Credo che meriterebbero degli studi approfonditi, di natura interdisciplinare (ivi compresa la fisica quantistica) e a livello internazionale.
Che abbiano ancora un loro residuo consenso è davvero incredibile. O lo
sarebbe se non sapessimo come vanno queste cose, in Sardegna. Ma l’aspetto
sorprendente è la loro faccia di bronzo, la sfacciataggine e la sicumera con
cui pontificano e intervengono sulla scena pubblica. Come facciano a non
scoppiare a ridere loro stessi, quando se ne escono con queste dichiarazioni, è
davvero straordinario. È ingiusto che siano sistematicamente ignorati
dall’Academy hollywoodiana.
La pretesa che lo Stato italiano e uno qualsiasi dei suoi governi prendano
sul serio quella scempiaggine giuridica dell’insularità in costituzione è
semplicemente patetica. O ridicola. Ed è patetica, come sottolinea Maurizio
Onnis, la sola idea che le sorti della Sardegna e di chi la abita debbano
dipendere dalla benevolenza dell’Italia. Idea condivisa da tutto l’arco
politico rappresentato in Consiglio regionale, beninteso.
Perché la magagna vera è questa. Se fossero solo i mitici Riformatori,
tanto quanto. La triste verità è che tutta la nostra politica ormai è
costantemente in modalità “cialtronaggine” fissa sull’ON.
Sbirciamo un po’ nel campo del cosiddetto centrosinistra (quelli che si
presenteranno nelle prossime tornate elettorali come la risposta intelligente
alle destre conclamate; ossia, quelli che saprebbero fare meglio le porcherie
che questi fanno maldestramente). Francesca Ghirra è una deputata sarda a Roma,
paracadutata dal consiglio comunale di Cagliari direttamente a Montecitorio,
evidentemente per meriti sul campo che però sono noti solo ai boss del PD. Tra
tutti i problemi macroscopici, cronici e in via di peggioramento di cui soffre
la Sardegna, la scelta era ampia. Poteva dedicare la sua attenzione a uno
qualsiasi tra i più evidenti. Anche solo uno. Tanto sono enormi, uno alla volta
basta e avanza.
Su cosa fa un’interrogazione alla Camera la deputata Francesca Ghirra? Su
questo:
La Sardegna conosce bene il problema della siccità e, con i tempi che
corrono, non è una faccenda da prendere sotto gamba. Si dà il caso, tuttavia,
che oggi non sia un problema specificamente sardo. Anzi, a dirla tutta, è ormai
un problema di portata ampia, soprattutto a cavallo della catena alpina e in
generale in Europa. Potremmo aggiungere che proprio la Sardegna, in realtà, si
trova attualmente in una condizione di relativa prosperità idrica. Con qualche
problema da risolvere e diverse cose da migliorare, certamente. Ma diciamo che,
sia rispetto al passato sia rispetto – soprattutto – ad altri territori dello
Stato italiano, non è certo quella messa peggio.
Il Nord Italia, invece, si trova oggi in una situazione che definire
drammatica non rende l’idea. La siccità invernale sta diventano un fenomeno
ricorrente, il che comporta che non si rinnova stagionalmente la riserva
d’acqua imprigionata dai ghiacciai (ormai in via di estinzione), né quella
accumulata con le nevicate. La scarsa pioggia non arriva a rimpinguare le
falde. I fiumi sono al minimo, compreso il PO. Fattore che mette a rischio sia
l’approvvigionamento idrico per uso civile, sia quello per uso zootecnico e
industriale. Gli allevamenti intensivi, di cui il settentrione italiano è
costellato, consumano una quantità d’acqua impressionante. E così l’industria.
Non c’è bisogno di precisare cosa significhi non avere più a disposizione le
quantità di H2O necessarie, fino a ieri sostanzialmente illimitate.
Non esiste, nelle regioni settentrionali italiane, una cultura
dell’accumulo e delle riserve idriche all’altezza del bisogno, perché non se
n’è mai sentita l’esigenza. In più l’aridità crescente dei terreni, compresi
quelli boschivi, rischia di diventare una sorta di bomba incendiaria innescata.
In aree in cui non si è abituati a questo tipo di evenienze; in cui non c’è
nemmeno la coscienza diffusa, a livello di senso comune, di cosa sia
un’emergenza idrica prolungata o il pericolo dei vasti incendi boschivi. La politica
e i media, in Italia del nord, per tutto l’inverno si sono occupati
dell’allarme neve. è vero. Ma per gli effetti sulla stagione sciistica.
Cos’altro c’è da aggiungere? Se la Sardegna non ride (se non per non piangere),
l’Italia non è che si sbellichi dalle risate manco lei.
Di fronte a tutto ciò, mi chiedo che senso abbia mandare persone dall’isola
a Roma se poi non hanno idea né della realtà da cui provengono né di quella in
cui sono state paracadutate. Posto che abbia senso, come sottolineava Maurizio
Onnis nel suo post, aspettarsi che i problemi della Sardegna, veri o presunti
che siano, siano risolti oltre Tirreno. Assunto ancora ben radicato nelle
mentalità autocolonizzata della nostra politica istituzionale e di molta parte
della nostra classe “dirigente”, ma non per questo meno ridicolo.
Siamo in un mare di guai. E chi pretende di condurre la nave sta ascoltando
tutto rapito il canto delle sirene. O, più probabilmente, ha abbandonato il
timone ed è sottocoperta, intento a vuotare le tasche dei passeggeri.
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