martedì 1 marzo 2022

Una nave in fiamme in mezzo al mare - Alessandro Ghebreigziabiher

 

Seguitemi, per favore.
Sarà un viaggio breve e intenso, spero, nel medesimo tempo e al riparo della stessa pagina.
Possiamo ancora scegliere. È strano, forse perfino ingiusto, ma molti di noi hanno ancora in mano la chance di fermarsi, perlomeno, e scendere dalla nave, se mi si lascia passare la scontata metafora.
A ogni modo, avvicinatevi e osservate tra gli spazi candidi di questo pugno di parole e incapacità ad arrendersi. Con un pizzico di immaginazione e un altro di fiducia in quest’ultima potrete vedere il bianco tra una strofa e l’altra dissolversi e farsi finestraoblò, per le banali ragioni di cui sopra, e meno prosaicamente specchio.
La vedete, come me, la nave in fiamme in mezzo al mare?
State tranquilli, laddove sia l’umana sensibilità a risvegliarsi in voi: l’equipaggio, ventidue nostri simili, sono in salvo.
Non si può dire lo stesso, a discapito delle addolorate case madri, delle quasi quattromila automobili, tra Porsche, Audi, Lamborghini e Volkswagen.
Volkswagen, la vettura del popolo nazista, nell’intento iniziale, dal quale l’azienda si è ovviamente distanziata dopo la guerra.
Ce l’aveva il mio papà, un rumoroso maggiolino celeste, e quando mi rivelò cosa volesse dire in tedesco il nome dell’auto mi piacque molto. L’auto del popolo, ovvero della gente, mi faceva pensare a cose create per tutti e soprattutto di tutti, anticipando la mia ingenuamente indistruttibile ancora oggi affezione per l’utopia.
Ma perdonate la distrazione, continuiamo a osservare insieme la nostra infuocata barca alla deriva, rassicurati dall’assenza di anima viva.
Si chiama Felicity AceAsso della Felicità, ed è ancora in viaggio dall’Europa agli Stati Uniti d’America.
Sulla stessa tratta che nel secolo scorso gli antenati degli abitanti del vecchio mondo, dalla memoria avariata più che corta, traversavano speranzosi di trovare terraorizzonte umanità sufficienti per sopravvivere al passato. Con tanti sogni in tasca o nelle maniche della giacca bisunta, alla stregua di carte speciali proprio come assi, che garantissero loro duratura felicità.
Adesso che l’inquadratura è nitida e inequivocabile, posate il dito sul pulsante che mette in pausa il mondo che ci ruba gli occhi e decidete a vostro piacimento quando donare il fermo immagine alla visione che stiamo condividendo.
Io lo faccio ora e guardo.
Guardo e vedo, finalmente.
Una nave in fiamme.
Una nave in fiamme priva di vita e vite.
Con a bordo tonnellate di inerti mostri di metallo e plastica, che quotidianamente succhiano e divorano la linfa vitale del nostro pianeta e del nostro tempo sprecato incolonnati tra un fetore e un colore che sanno di morte.
Una nave rovente di follia e ottusità che arde di solitudine e inutilità, se privata di noi altri e del potere che noi stessi gli abbiamo consegnato a coscienze, più che mani basse.
Una nave senza capitano al timone e neppure uno straccio di senso che brucia il suo destino e il nostro nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico al largo dell’Arcipelago delle Azzorre.
Ovvero, un intero girone infernale che naviga come un idiota cieco che si crede saggio sulla superficie del paradiso terrestre chiamato Natura.
Ecco, non penso ci sia nulla da aggiungere.
Credo, lo spero.
Perché possiamo scendere e salvarci ancora, proprio come quei ventidue.
Altrimenti, mi sbaglierò, sarebbe come se nei panni di uno qualunque di questi ultimi ritornassimo sui nostri passi per risalire a bordo e continuare il viaggio della nave chiamata quanto mai erroneamente.
Asso della Felicità

da qui

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