I leader
mondiali hanno concordato di redigere un trattato “storico” sui rifiuti di
plastica che viene salutato come il più grande accordo sul clima dall’accordo
di Parigi del 2015. I rifiuti di plastica stanno soffocando il nostro pianeta,
inquinando l’aria, l’acqua, il suolo e le catene alimentari di cui sia le
persone sia la fauna selvatica hanno bisogno per sopravvivere. E mentre questa
crisi si diffonde in ogni angolo del globo, finalmente si è deciso di stabilire
delle regole per aiutare a re-immaginare il modo in cui produciamo,
progettiamo, smaltiamo e riutilizziamo i materiali plastici da cui dipendiamo
maggiormente. Perché mentre la plastica può aiutare a rendere i nostri ospedali
più sicuri, a far durare il nostro cibo più a lungo e a rendere più efficiente
la spedizione dei pacchi, non ha posto in natura. Sul tema dei rifiuti di
plastica la California ha messo a punto un piano complessivo e sta cercando di
attuarlo.
Un accordo globale sulla plastica
Capi di
governo, ministri dell’ambiente e altri rappresentanti di 175 Paesi hanno
concordato il 2 marzo scorso di sviluppare un trattato legalmente vincolante
sulla plastica, in quello che molti hanno descritto un momento davvero storico1.
La
risoluzione, concordata all’Assemblea
delle Nazioni Unite sull’ambiente a Nairobi, in Kenya, chiede
un trattato che copra “l’intero ciclo di vita” della plastica dalla produzione
allo smaltimento, da negoziare nei prossimi due anni.
Un trattato
voluto soprattutto dai Paesi del Sud del mondo (scarsi consumatori dei prodotti
in plastica, ma ricevitori di rifiuti in plastica “esportati” dei Paesi ricchi,
che non sanno come trattare) e che riterrà le nazioni, le imprese e la società
responsabili dell’eliminazione dell’inquinamento da plastica dall’ambiente. Per
questo è stato descritto dal capo del Programma delle Nazioni Unite per
l’ambiente (UNEP) come il più
importante accordo ambientale multilaterale dall’Accordo di
Parigi sul clima nel 2015 e dal Protocollo di Montreal del 1989 che ha
effettivamente eliminato gradualmente le sostanze dannose per l’ozono.
Circa 7
miliardi dei circa 9,2 miliardi di tonnellate di plastica prodotte tra il 1950
(quando le prime fabbriche hanno iniziato a produrre plastica dal petrolio,
sostituendo il vetro e altri materiali in una vasta gamma di industrie) e il
2017 sono ora rifiuti. Dei rifiuti generati da quella plastica, meno di un
decimo è stato riciclato, stimano i
ricercatori. Circa il 12% è stato incenerito, rilasciando nell’aria
diossine e altri agenti cancerogeni. La maggior parte del resto (circa il 75%),
una massa equivalente a decine di milioni di balenottere azzurre, si è
accumulato nelle discariche e nell’ambiente naturale. La plastica ha invaso gli
oceani, accumulandosi nelle viscere dei gabbiani e dei grandi squali bianchi.
Piove, in micro e nano particelle, su città,
campagne (dove, tra l’altro, ogni anno milioni di tonnellate di plastica
vengono utilizzate per i teli per la pacciamatura) e foreste dei
parchi nazionali. Secondo alcune ricerche, dalla produzione allo
smaltimento, è responsabile di più emissioni di gas serra rispetto
all’industria aeronautica2.
Gli Stati
membri dell’ONU hanno deciso che i seguenti elementi dovrebbero essere presi in
considerazione nello sviluppo del nuovo trattato:
- obiettivi globali per
affrontare l’inquinamento da plastica negli ambienti marini e di altro
tipo e i suoi impatti;
- obblighi e misure globali lungo
l’intero ciclo di vita della plastica, compresi la progettazione del
prodotto (ecodesign), il consumo e la gestione dei rifiuti (ad esempio, introdurre
misure che limitino la produzione di plastica difficile da riciclare e
migliorino i tassi di raccolta per materiali come il PET, che possono
essere riciclati, anche se imperfettamente, con le tecnologie esistenti.
Questo anche se la maggior parte del PET – polietilene
tereftalato – prodotto a livello globale non viene
utilizzato per le bottiglie, ma per le fibre tessili che, poiché spesso
contengono materiali misti, vengono raramente riciclate.);
- un meccanismo per fornire
informazioni e valutazioni scientifiche rilevanti per le politiche;
- un meccanismo per fornire
sostegno finanziario all’attuazione del trattato;
- misure di cooperazione
nazionale e internazionale;
- piani d’azione nazionali e
rendicontazione per la prevenzione, la riduzione e l’eliminazione
dell’inquinamento da plastica;
- valutazione dello stato di
attuazione del trattato.
La
risoluzione riconosce inoltre che l’inquinamento da plastica costituisce una
minaccia per tutti gli ambienti e pone rischi per la salute umana. Riconosce il
ruolo del settore privato e di tutte le parti interessate nello sviluppo e
nell’attuazione del trattato e sottolinea che il problema dovrebbe essere
risolto attraverso misure lungo l’intero ciclo di vita, dalla produzione
all’uso, fino alla gestione dei rifiuti, al riciclo e al riutilizzo.
Sullo sfondo
di turbolenze geopolitiche, “l’assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente
mostra il meglio della cooperazione multilaterale“, ha affermato Espen
Barth Eide, presidente dell’UNEA-5 e ministro norvegese per il clima e
l’ambiente. “L’inquinamento da plastica è diventato un’epidemia. Con la
risoluzione di oggi siamo ufficialmente sulla buona strada per una cura”.
Inger
Andersen, il direttore del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, ha affermato:
“Abbiamo appena annunciato la risoluzione che apre la strada all’azione
globale per #BeatPlasticPollution.
L’accordo ambientale più importante dall’accordo di Parigi. Il lavoro inizia
ora!“. Andersen ha descritto l’accordo come un “trionfo del pianeta
Terra sulla plastica monouso“, ma ha avvertito che il mandato non concede
alle parti interessate una “pausa di due anni“.
Parallelamente
ai negoziati su un accordo internazionale giuridicamente vincolante, l’UNEP
lavorerà con qualsiasi governo e impresa disposti lungo tutta la catena del
valore per allontanarsi dalla plastica
monouso (solo il 10%-15% della plastica monouso viene riciclato
a livello globale ogni anno), nonché per mobilitare finanziamenti privati e
rimuovere gli ostacoli agli investimenti nella ricerca e in un nuova economia
circolare. L’Unione Europea ha approvato due direttive antiplastica che
impongono entro il 2025 almeno il 25% di plastica riciclata e mettono al bando
il monouso per uso alimentare (cannucce, piatti, posate, contenitori, etc.),
mentre la prevista entrata in vigore dell’imposta europea sulla plastica è
stata per ora sospesa. Sono due anni ormai che la Cina – il principale
produttore di plastica al mondo – ha introdotto
divieti o restrizioni alla produzione o vendita di prodotti,
compresi sacchetti e posate di plastica monouso, con un calendario ambizioso
per la loro rimozione dal mercato. Alcuni prodotti monouso dovevano essere
sostituiti con prodotti alternativi – in plastica biodegradabile (PBAT e PLA) –
in meno di un anno, ma ora il governo cinese sembra averci
(almeno in parte) ripensato, sia per i costi economici sia perché
non è ancora del tutto chiaro se la plastica definita biodegradabile lo sia
veramente.
La pandemia
da CoVid-19 ha aumentato la domanda di plastica monouso, intensificando la
pressione sull’ambiente, secondo una ricerca pubblicata lo
scorso autunno. Più di 8 milioni di tonnellate di rifiuti di
plastica associati alla pandemia sono stati generati a livello globale, con
oltre 25.000 tonnellate che sono entrate nei mari, per lo più rifiuti sanitari
provenienti dagli ospedali. Inoltre, alcune leggi volte a ridurre
l’inquinamento da plastica sono state rinviate in molti Paesi. “La massa
totale di plastica prodotta supera sia la massa complessiva di tutti gli
animali terrestri e marini sia il confine planetario di queste nuove sostanze,
spostandoci fuori da uno spazio operativo sicuro per l’umanità“, ha scritto
un gruppo di scienziati in un editoriale per Environmental
Health News. “Eppure l’industria continua a proiettare crescita,
investendo miliardi di dollari in nuove infrastrutture e opponendosi agli
sforzi nazionali e ora internazionali per frenare sia la produzione di plastica
che l’inquinamento“.
I Paesi
dell’ONU, che hanno tenuto colloqui a Nairobi nella scorsa settimana per
discutere i termini del trattato, hanno convenuto che dovrebbe coprire la
produzione e la progettazione delle merci di plastica, non solo i rifiuti. La
risoluzione ha istituito un comitato di negoziazione intergovernativo,
incaricato di redigere e ratificare il trattato. Inizierà i lavori quest’anno e
mira a terminare entro il 2024.
La
risoluzione introduce disposizioni anche per riconoscere la figura del raccoglitore
di rifiuti, uno “sviluppo rivoluzionario” che interessa
milioni di persone (i cosiddetti scavangers), secondo le ONG, e il
riconoscimento del ruolo delle popolazioni indigene. È la prima volta che i
raccoglitori di rifiuti, i lavoratori sottopagati nei Paesi in via di sviluppo
che raccolgono plastica riciclabile e altri beni, vengono riconosciuti in una
risoluzione ambientale.
Le ONG hanno
descritto la risoluzione come un cambiamento fondamentale nell’approccio dei
responsabili politici internazionali, che in precedenza si concentravano sulla
plastica come problema dei rifiuti marini. Il mandato raccomanda misure per
affrontare la produzione di plastica, che ora ammonta a circa 400 milioni di
tonnellate all’anno e dovrebbe quasi
quadruplicare entro il 2050, assorbendo il 10-13% del
bilancio globale del carbonio. Hanno esortato i leader mondiali a
mostrare ancora più determinazione nello sviluppo e nella finalizzazione dei
dettagli del trattato nei prossimi due anni.
“Ci
troviamo a un bivio nella storia quando le decisioni ambiziose prese oggi
possono impedire che l’inquinamento da plastica contribuisca al collasso
dell’ecosistema del nostro pianeta“, ha affermato
Marco Lambertini, direttore generale del WWF
International. “Ma il nostro lavoro è tutt’altro che finito: ora
i leader mondiali devono mostrare ancora più determinazione nello sviluppo e
nell’attuazione di un trattato che affronti la nostra attuale crisi
dell’inquinamento da plastica e consenta una transizione efficace verso
un’economia circolare per la plastica“.
Christina
Dixon, vice responsabile della campagna oceanica presso l’Environmental
Investigation Agency, ha dichiarato: “Questa risoluzione riconosce
finalmente che non possiamo iniziare ad affrontare la plastica nei nostri
oceani e sulla terraferma senza intervenire alla fonte.” Dixon ha affermato
che il mondo è “all’inizio di un viaggio” verso l’ottenimento di un
trattato legalmente vincolante.
Niven Reddy,
coordinatore per l’Africa presso la Global Alliance for Incenerator
Alternatives, ha dichiarato: “Questa pietra miliare non sarebbe potuta
accadere senza un movimento globale che spingesse i decisori a ogni passo“.
Joanne Green, una senior policy associate di Tearfund, ha dichiarato: “La
giornata di oggi segna il primo passo verso la giustizia per le comunità
colpite dalla combustione e dallo scarico di rifiuti di plastica. Il
riconoscimento dei raccoglitori di rifiuti e del ruolo vitale che svolgono
nell’arrestare l’inquinamento da plastica è atteso da tempo; i governi devono
ora assicurarsi di avere un posto di primo piano al tavolo dei negoziati”.
Il trattato
sarà accompagnato da un supporto finanziario e tecnico, compreso un organismo
scientifico che lo consiglierà, e la possibilità di un fondo globale dedicato.
La risoluzione è stata adottata a conclusione della riunione UNEA-5.2 di tre
giorni, alla quale hanno partecipato più di 3.400 delegati in presenza e 1.500
partecipanti online provenienti da 175 Stati membri delle Nazioni Unite, tra
cui 79 ministri e 17 funzionari di alto livello.
C’è una
crescente preoccupazione pubblica per l’inquinamento da plastica. Più di 60 Paesi (tra
cui quelli dell’Unione Europea) hanno già implementato divieti e prelievi sugli
imballaggi in plastica e sui rifiuti monouso, volti a ridurre l’uso e
migliorare la gestione dei rifiuti. Il consumo di plastica nei Paesi sviluppati
è 2,5 volte
superiore pro capite rispetto ai Paesi in via di sviluppo (90
kg contro 36 kg), secondo il gruppo di esperti Planet Tracker. Gli Stati Uniti
sono il principale Paese consumatore di prodotti in plastica.
La drammatica questione dell’inquinamento da
microplastiche
Le immagini
dell’inquinamento da plastica negli oceani e sulle spiagge sono ormai
all’ordine del giorno e il problema è destinato a peggiorare. Due settimane fa,
il primo Global
Plastics Outlook dell’OCSE ha rivelato un drammatico aumento
dei rifiuti di plastica fuoriusciti negli ambienti acquatici. Quel rapporto è
arrivato solo un mese dopo che il World Wildlife Fund for Nature ha
pubblicato uno studio
che prevede un raddoppio delle microplastiche nell’oceano nei prossimi decenni.
Ormai, le
microplastiche possono essere trovate ovunque, dai corsi d’acqua ai pesci fino
all’interno dei tessuti molli del corpo umano. Ricerche
scientifiche le hanno trovate nei polmoni delle ratte gravide e
hanno scoperto che passano
rapidamente nel cuore, cervello e altri organi dei loro feti; nei
mammiferi, la placenta
non blocca tali microparticelle.
L’impatto
sulla salute delle microplastiche nel corpo è ancora sconosciuto. Ma, gli
scienziati affermano che è urgente valutare il problema, in particolare per lo
sviluppo di feti e bambini, poiché la plastica può contenere sostanze chimiche
che potrebbero causare danni a lungo termine. Gli scienziati hanno dimostrato
che i bambini alimentati con latte artificiale in bottiglie di plastica ingeriscono
milioni di nonoparticelle di plastica al giorno.
L’inquinamento
da microplastiche ha raggiunto ogni parte del pianeta, dalla vetta
dell’Everest agli oceani più
profondi, e le persone stanno già consumando queste minuscole
particelle attraverso
cibo e acqua e il respiro.
La
situazione sta solo peggiorando: 11 milioni di tonnellate di plastica entrano
negli oceani del pianeta ogni anno, una quantità che dovrebbe triplicare entro
il 2040. Sebbene ci siano innovazioni promettenti che estraggono la plastica
dal mare o la intercettano nei fiumi, questi progetti a malapena intaccheranno
la quantità di inquinamento da plastica nei corsi d’acqua del mondo. Anche
sotto le proiezioni più ottimistiche, queste
tecnologie influenzeranno solo il 5-10% di tutta la plastica negli oceani.
E’ bene
tenere presente che 20 grandi
aziende statali e multinazionali, inclusi i giganti del petrolio (ExxonMobil è
il più grande inquinatore di rifiuti di plastica monouso al mondo)
e del gas e
le aziende chimiche (l’americana Dow, la cinese Sinopec), sono responsabili
della produzione del 55% di tutti i rifiuti di plastica monouso nel mondo,
alimentando la crisi climatica e la catastrofe ambientale. La loro produzione
di plastica è finanziata da importanti banche, tra cui le principali sono
Barclays, HSBC, Bank of America, Citigroup e JPMorgan Chase.
Il piano plastica dello Stato della California
La
California sta cercando di anticipare la
risoluzione del problema, diventando il primo Stato degli Stati Uniti
a mettere in atto un piano
completo per affrontare le microplastiche. Il piano della
California ha l’ambizione di indicare potenzialmente la via da seguire per la
comunità globale che sta lanciando l’allarme sul terribile stato dei rifiuti di
plastica. La tabella di marcia di 22 azioni è incentrata sulla prevenzione
dell’ingresso di particelle di plastica nell’ambiente, sull’intercettazione
dell’inquinamento da plastica e sull’educazione del pubblico sul problema.
Le ricerche
scientifiche hanno scoperto che i corsi d’acqua della California sono già
saturati di microplastiche, inclusi circa 7 trilioni di
pezzi nella sola baia di San Francisco, molti dei quali si
riversano attraverso gli scarichi delle acque piovane. Secondo il California
Ocean Protection Council, le principali fonti di microplastiche sono
pneumatici, tessuti sintetici, filtri per sigarette e prodotti alimentari in
plastica monouso.
La strategia
è fortemente incentrata sull’impedire che la plastica si disperda
nell’ambiente. Raccomanda di vietare determinati prodotti, dando
priorità al riutilizzo e limitando la plastica monouso. Altri meccanismi di
prevenzione di questo tipo includono l’acquisto in tutto lo Stato di
contenitori alimentari riutilizzabili, nonché il divieto di vendita e
distribuzione di articoli per uso alimentare e imballaggi in polistirene
espanso entro il 20233.
L’enfasi sulla prevenzione è fondamentale, perché ripulire le microplastiche
una volta che sono nell’ambiente è praticamente impossibile.
Il piano
dello Stato si concentra anche sull’istruzione, ma non per veicolare il solito
messaggio della responsabilità personale. Negli ultimi anni, c’è stata una
spinta da parte dei produttori di plastica a far assumere alle persone l’onere
di assicurarsi che la plastica non entri nell’ambiente, mentre l’idea qui è che
i produttori hanno maggiori responsabilità e le persone dovrebbero sapere
perché. In sostanza, istruzione significa: volere che le persone capiscano
perché le microplastiche sono potenzialmente un grosso problema e come sia
possibile adottare misure prima che peggiori.
Dal punto di
vista scientifico, la strategia si concentra sul monitoraggio di quante
particelle di microplastica si trovano in diverse parti dell’ambiente, il che è
fondamentale per capire cosa c’è nell’ambiente e da dove proviene. Alla fine,
l’obiettivo è definire dei livelli massimi consentiti di microplastica per i
corsi d’acqua e gli oceani costieri. La strategia riadatterà anche le
infrastrutture delle acque piovane e impedirà alle aziende di scaricare
illegalmente i minuscoli pellet che costituiscono gli elementi costitutivi
della maggior parte della plastica.
Alessandro
Scassellati
- L’inquinamento da plastica è
stato dibattuto alle Assemblee ambientali delle Nazioni Unite nel 2015,
2017 e 2019 e ha ricevuto ulteriore impulso dalla Conferenza ministeriale
sui rifiuti marini e sull’inquinamento da plastica a Ginevra, Svizzera,
convocata nel settembre 2021 dai governi di Ecuador, Germania, Ghana e
Vietnam. Da allora, secondo il WWF Global Plastic Navigator, 154 Paesi
hanno espresso interesse a negoziare un nuovo accordo globale
sull’inquinamento marino da plastica. Di recente, il segretario di Stato
americano Anthony Blinken aveva annunciato il sostegno degli Stati Uniti
ai negoziati multilaterali su un accordo globale per combattere
l’inquinamento da plastica negli oceani. Sebbene la maggior parte dei
Paesi sia favorevole a un nuovo accordo globale sull’inquinamento marino
da plastica, un piccolo ma significativo gruppo di Paesi, che include
Cina, Paesi dell’Asia centrale e del Golfo, non aveva rilasciato alcuna
dichiarazione pubblica a sostegno di un trattato globale e un Paese,
l’India, aveva solo accettato di considerare la sua posizione. Il
progressivo inquinamento di mari, fiumi e laghi, è dovuto a tre principali
fattori: l’acidificazione dell’acqua, la riduzione dell’ossigeno e
l’infestazione delle microplastiche che ormai sono entrate anche nella
catena alimentare umana. Nanoparticelle di pneumatici (composte da vari
materiali tra cui gomma sintetica, agenti di riempimento, oli e altri
additivi) inibiscono
la crescita e causano cambiamenti comportamentali avversi negli
organismi che si trovano negli ecosistemi d’acqua dolce e degli estuari
costieri.
- Questo problema di inquinamento
è aggravato, affermano gli esperti, dal fatto che anche la piccola quota
di plastica che viene riciclata è destinata a finire, prima o poi, nella
spazzatura. Il riciclaggio termomeccanico convenzionale, in cui i vecchi
contenitori di plastica vengono macinati in scaglie, lavati, fusi e quindi
trasformati in nuovi prodotti, produce inevitabilmente prodotti più
fragili e meno durevoli rispetto al materiale di partenza. Nella migliore
delle ipotesi, il materiale di una bottiglia di plastica potrebbe essere
riciclato in questo modo circa tre volte prima che diventi inutilizzabile.
Più probabilmente, verrà “riutilizzato” in materiali di valore inferiore
come vestiti e moquette, materiali che alla fine verranno smaltiti nelle
discariche. Ci sono aziende – come la startup francese Carbios – che
stanno sviluppando dei metodi di depolimerizzazione, e quindi di
riciclaggio dei rifiuti di plastica, che utilizzano enzimi e batteri che
si nutrono di plastica (in particolare di PET), ma i
risultati rimangono ancora controversi, soprattutto riguardo al
costo economico di questi metodi.
- A novembre, gli elettori della
California avranno la possibilità di approvare una misura che
richiederebbe che tutti gli imballaggi, i contenitori e gli utensili in
plastica monouso siano riutilizzabili, riciclabili o compostabili entro il
2030.
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