Per affrontare il cambiamento climatico
dobbiamo iniziare dal capitale fossile. E dai ricchi, che hanno un'impronta di
carbonio 25 volte più pesante del cittadino medio. Per questo sono loro per
primi a dover cambiare stile di vita
La scorsa primavera il Financial Times ha pubblicato un’utile serie di grafici che
mostrano la correlazione tra le emissioni di CO₂ e la distribuzione globale
della ricchezza. Le disuguaglianze della crisi climatica sono spesso, in molti
modi giustamente, concettualizzate come disuguaglianze tra paesi, in
particolare quelle di poche economie industrializzate ricche ad alta intensità
di carbonio e il resto.
Ma, come hanno mostrato molto chiaramente i dati del Financial
Times, c’è in realtà un netto e molto visibile divario tra una piccola
minoranza di persone estremamente ricche e tutti gli altri. Complessivamente,
quelli nell’1% più ricco del mondo rappresentano il 15% delle emissioni, oltre
il doppio della quota di quelli nella metà più bassa. Quelli estremamente
ricchi negli ultimi trent’anni sono diventati ancora più ricchi e, come evidenziano
i dati, anche le loro impronte di carbonio sono cresciute parecchio.
Se questa prospettiva viene ristretta ai singoli paesi, il divario di
classe rispetto alle emissioni di carbonio è davvero sorprendente. Negli Stati
uniti, quelli che si trovano nel decimo più alto delle fasce di reddito
rappresentano da soli la metà delle emissioni delle famiglie, mentre la metà
inferiore rappresenta meno del 10%. Gli Stati uniti certamente sono un caso
piuttosto estremo, ma lo stesso modello di base funziona anche per molte delle
grandi economie industrializzate, un punto che sottolinea che le divisioni
all’interno dei paesi sono spesso importanti almeno quanto le divisioni tra di
loro.
C’è un genere ricorrente di scritti ambientalisti che sostiene che la strada
per un futuro più verde passa attraverso una sorta di radicale penitenza
collettiva. Se vogliamo davvero salvare il pianeta, o almeno così dice questa
linea di pensiero, dobbiamo rinunciare tutti quanti a cose come l’uso
ininterrotto dell’elettricità. Tuttavia, resta il fatto che i benestanti, e in
particolare gli estremamente ricchi, sono molto più responsabili del
cambiamento climatico rispetto alle persone che tagliano i loro prati, servono
loro il cibo o producono i beni che acquistano e consumano. Come ha affermato
in modo abbastanza succinto Stefan Wagstyl del Financial Times:
«Quasi tutto ciò che fanno i ricchi comporta emissioni più elevate, dal vivere
in case più grandi al guidare auto più grandi e volare più spesso, soprattutto
con un jet privato. C’entra anche il mangiare carne, così come possedere una
piscina. Per non parlare della casa di vacanza. O delle dimore».
Può darsi che la lotta al cambiamento climatico richieda alle persone della
classe media e persino della classe operaia dei paesi ricchi di cambiare il
proprio stile di vita nei decenni a venire. Data, tuttavia, la misura in cui i
ricchi sono sproporzionatamente responsabili delle emissioni globali e il
diffuso consenso pubblico sull’aumento delle tasse, sarebbe popolare
politicamente ma anche saggio enfatizzare le soluzioni redistributive alla
crisi climatica.
I ricchi, in effetti, devono essere resi molto meno ricchi se vogliamo
ridurre le emissioni globali e, se vogliamo combattere il cambiamento
climatico, tassare la loro ricchezza è un imperativo sia morale che ambientale.
*Luke Savage è redattore di JacobinMag, dal quale è tratto questo articolo. La traduzione è
a cura della redazione.
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