Di fronte alla prevedibile recrudescenza e stabilità
dei casi di Covid e dei decessi, anche con le drastiche misure emanate da
Governo, Regioni e Comuni, a volte contraddittorie, e la debole partenza della
campagna vaccinale, è necessario uno sguardo critico su quanto avviene in
Italia e nel mondo, senza sottovalutare le differenze tra paesi a capitalismo
avanzato, economie emergenti e paesi poveri. Il punto di vista è quello
della critica dell’economia politica e delle classi sociali subalterne,
da tempo abbandonato dalle forze che si richiamano al movimento operaio e
democratico e da molti ecologisti, influenzati dall’egemonia del pensiero
neo liberale, dimenticando che ‘’liberista’’ è un eufemismo inventato dal
Ministro, senatore e filosofo B. Croce per cercare di scindere il pensiero liberale
dalle sue conseguenze economiche, il che non gli impedì di votare la fiducia a
Mussolini dopo il delitto Matteotti.
L’epidemia ha colpito da un punto di vista e sanitario
e sociale in modo diseguale, accentuando diseguaglianze preesistenti, in una
lotta all’interno del capitale tra chi sopravvivrà arricchendosi (web economy)
e settori che soccomberanno, come avvenne nella peste del ‘400.Si è detto che
la pandemia ha messo in luce le debolezze del sistema economico, sociale e
sanitario, uno “stress test” (Cavicchi, La sinistra e la sanità,
Castelvecchi,2021). Le epidemie non sono nuove per l’umanità che convive con
malattie infettive da millenni per scelte operate dall’uomo: allevamento
animale (morbillo), commerci (peste), guerra (spagnola), cfr. J. Diamond, Armi,
acciaio e malattie, Einaudi,1998; F.M.Snowden, Epidemics and
society, Yale University Press,2019.
La rivoluzione industriale dall’800 ha modificato
l’epidemiologia delle patologie umane con comparsa di malattie
cronico-degenerative (cuore, polmoni, diabete, tumori) effetto di nocività da
lavoro, inquinamento ambientale e consumi errati, parallelamente ecco il
ridursi di malattie infettive per miglioramento di condizioni di vita nel mondo
a capitalismo avanzato (acqua potabile, trattamento liquami, abitazioni e
alimenti salubri, farmaci, diagnostica, vaccini, servizi sanitari). Nel Sud del
mondo le malattie infettive sono ancora un flagello, mescolandosi anche con le
malattie cronico-degenerative per la coesistenza di arretrati sistemi di salute
ambientale e fattori di rischio moderni legati alla produzione industriale
inquinante e senza regole.
Il capitale ha avuto nel tempo interesse a ridurre le
malattie infettive che interferiscono pesantemente con produzione e consumi,
mentre le malattie cronico-degenerative convivono con essi, sviluppandosi in
tarda età, non immediatamente mortali, occasione di profitti con farmaci e
diagnostica. L’epidemia da Covid nasce ancora una volta dalla combinazione di
sfruttamento ambientale (megalopoli), salto di specie (pipistrelli, già noti
per la rabbia aerotrasmessa negli speleologi) e globalizzazione
(D.Quammen, Spillover, Adelphi, 2014).Le società industrializzate
negli ultimi trent’anni hanno man mano diminuito i propri servizi di
prevenzione e controllo, spesso privatizzando, come in parte è avvenuto con la
normativa europea di sicurezza sul lavoro e igiene degli alimenti, puntando
tutto su vaccinazioni e farmaci, perché a più alta redditività per il capitale.
L’Italia taglia la spesa su sanità e sociale, per i vincoli UE con il fiscal
compact in Costituzione, e si trova con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN)
indebolito, privilegiando la logica del “Sistema”(parola spesso usata da molti
al posto di Servizio, come erroneo sinonimo, ma teorizzato dalle centrali della
cultura economica egemonica anche in sanità, Università Bocconi e Cattolica,
come complementarietà tra il SSN pubblico, e il privato, in un’ottica di
Sistema, come decantato dal pensiero unico dominante). La spesa sanitaria è il
70% dei bilanci regionali e il personale incide al 60%, in quanto settore ad
alta intensità di lavoro umano: anche i dipendenti privati, dunque, di cui non
ci si deve dimenticare quando si parla di lotta alle privatizzazioni. Qui si è
tagliato, con un “falso in bilancio”, spostando la spesa da personale a
“acquisizione di beni e servizi”: accreditamento erogatori privati,
esternalizzazioni, convenzioni di medici e pediatri di base, specialisti
ambulatoriali (tutti medici non dipendenti del SSN), consulenze. Più del 50% della
spesa sanitaria.
Il privato aumenta i profitti attraverso regole meno
severe di quelle del pubblico sulle assunzioni, riappropriandosi di quanto
drenato con il prelievo fiscale dirottandolo altrove (finanza, immobiliare),
con ampio ricorso a partite IVA, tempi determinati, lavoratori atipici,
licenziamenti. Le mutue integrative, soluzione prospettata purtroppo in molti
CCNL, non di rado con improvvise clausole capestro tipo franchigia, non
previste al momento del contratto e senza nessun controllo da parte dello Stato
come avviene invece in alcuni paesi UE con sistema misto come la Francia, sono
un metodo per finanziare la sanità privata con soldi che non vanno in busta
paga ai lavoratori al posto degli aumenti salariali. Le assicurazioni
integrative per prestazioni non previste dai LEA (Livelli Essenziali di
Assistenza), nei fatti sostitutive, sottraggono ulteriori risorse con la
defiscalizzazione, togliendole a salari e pensioni. È una soluzione proposta
dal privato per non diminuire i finanziamenti in sanità cosa che ne avrebbe
penalizzato gli introiti.
L’epidemia ha confermato questa impostazione: privati
molti posti letto Covid, interventi chirurgici spostati nel privato con precise
tariffazioni perché l’ospedale pubblico è in gran parte destinato al Covid,
test sierologici e tamponi, attività domiciliari per pazienti Covid e
vaccinazioni al privato (Unità Speciali Continuità Assistenziale-USCA, ricorso
a lavoro precario). Le Regioni hanno autorizzato i tamponi nel privato e oggi
con le vaccinazioni non sembrano fare né diversamente né meglio e comunque in
modo diseguale. Si è puntato su mega HUB appariscenti e dai costi e personale
non conosciuti (rigettate le identiche “Primule” del Commissario D. Arcuri e
dell’architetto S. Boeri): il lavoro più difficile come quello per over
80 a domicilio, disabili gravissimi, vulnerabili per patologie, spetta
alle ASL, sempre con l’ausilio di privati (erogatori accreditati per
l’assistenza domiciliare e le citate USCA in mano ai medici di base
convenzionati). Tutto pur di non assumere operatori e rafforzare i Centri
vaccinazioni esistenti, soprattutto nelle immense periferie urbane, l’osso
appenninico e il meridione. Mentre dilagano lobby e corporazioni, scatenando
una guerra tra poveri sui vaccini, e si preferisce l’introduzione dell’obbligo
vaccinale ai lavoratori a campagne di educazione sanitaria di massa, necessarie
anche sulle misure di contenimento dell’epidemia o lo studio di modalità
tecniche e organizzative per poter riprendere le attività in sicurezza (scuola,
trasporti, luoghi di lavoro di svago).
Errori gravissimi dell’UE e dello Stato (contratti,
prezzi secretati) gravano sull’approvvigionamento dei vaccini compromettendo la
campagna che dovrà riguardare 50 milioni di persone in Italia entro la fine
dell’estate (immunità di comunità) e che dovrà essere ripresa con vaccini
aggiornati alle mutazioni virali ogni anno, come per l’influenza stagionale,
finché- si spera – il virus non muti in forma meno aggressiva. L’epidemia
diverrà probabilmente endemica. Mentre manca ancora un sistema informativo
nazionale uniforme su malattie infettive e vaccinazioni.
Il Sud del mondo sembra invece abbandonato al suo
destino, se non si sospenderanno i brevetti come proposto nella Campagna
“Nessun profitto sulla pandemia”, tutti i popoli vittime, anche se in modo
diverso, della guerra commerciale e geopolitica su vaccini di Big Pharma, USA
UE, Russia e Cina.
Recovery Plan/Next Generation UE al 50% prenderà
queste strade in un vero assalto alla diligenza dei privati, il resto servirà a
coprire l’indebitamento da usurai che comunque resterà. Una
“rimutualizzazione” di un SSN committente, che compra prestazioni da privato a
costi aumentati e non produce direttamente, anche nell’epidemia è subalterno al
privato. Per affrontare l’epidemia il SSN è impreparato anche perché con
l’imbuto di tamponi, laboratori, difficoltà al tracciamento dei contatti e
vaccinazioni, che richiedono centinaia di operatori, non si è pensato in questi
mesi a specifici servizi di prevenzione e cura Covid con organico dedicato e di
ruolo, come si fece in passato per TBC e HIV. È necessario che alla mortalità
aggiuntiva da Covid non si aggiunga quella per il blocco dell’attività
sanitaria ordinaria come sta avvenendo anche ora. Il SSN deve attrezzarsi a convivere
con una malattia endemica anche con il vaccino, per non chiudere il Paese, con
danni a salute, lavoratori esposti al rischio (iniziando con il classificare
correttamente nel gruppo di rischio biologico 3 il Sars-Cov-2 poiché
trasmissibile alla popolazione), istruzione e reddito dei cittadini. Il” lavoro
agile” è un privilegio di classe per alcuni, senza regole, che scarica i costi
sui lavoratori penalizzando l’utenza.
È necessario proporre subito una ripubblicizzazione
della sanità con un programma di assunzioni, ad oggi insufficienti, concorsi
regionali per profili e discipline, graduatorie a scorrimento e
reinternalizzazioni, compresa la medicina di base, di cui va ripensata la
formazione collocandola in ambito universitario superando il numero chiuso.
Quanto è accaduto ha visto complici le Regioni, prima interpreti di tagli alla
spesa, poi traduttrici autonome di confuse indicazioni di Governo e Ministero
della salute: assaggio di regionalismo differenziato già anticipato da un
governo di centro sinistra con la modifica del titolo V della Costituzione,
lasciando al palo il Sud. La guerra delle ordinanze, il costo diverso dei
tamponi e le diverse modalità di vaccinazione ne sono il simbolo. Non il
centralismo, ma un giusto rapporto Stato-Regioni-Comuni, negli organismi
istituzionali preposti, come previsto dall’art. 114 della Costituzione, per
garantire uniformità di diritti.
Nel SSN c’è poi un problema democratico aggravato
dagli accorpamenti di gigantesche Aziende Sanitarie, con Distretti enormi, l’incapacità
dei Comuni di rappresentare le comunità locali nei confronti delle Regioni e
direzioni delle aziende sanitarie anacronisticamente simbolo di una
verticalizzazione autoritaria. Inversione di tendenza rispetto a decentramento
amministrativo e partecipazione democratica, bandiere della sinistra, che dopo
anni di governo, non può accusare altri. Le Case della salute, che G. Maccacaro
primo pensò nel 1975 come realtà partecipative in USL e Distretti piccoli,
rivedute dopo molti anni nel 2004 dalla CGIL, per una trasformazione della
medicina territoriale come risposta alla presa in carico della cronicità in ASL
e Distretti di grandi dimensioni, presenti in poche Regioni, sono spesso
proposte come soluzione a tutto, ma senza adeguate risorse e progettualità e
nel Recovery Fund sono dimenticate senza nessuna valutazione e sostituite con
Case della comunità. Ma serve un movimento di lotta a partire dall’epidemia che
apra su queste istanze conflitti e vertenze, scuotendo la pigra sinistra.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 49 di
Marzo-Aprile 2022: “Si
scrive concorrenza, si legge privatizzazione“
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