“La campagna d’Egitto – Gli affari dei ‘campioni’ italiani con il regime di al-Sisi” è il rapporto che ReCommon lancia oggi in concomitanza con l’inizio della COP27 a Sharm el-Sheik. Nella pubblicazione, l’associazione esamina il rapporto fin troppo stretto e proficuo delle due big del settore fossile, Eni e Snam, della principale banca italiana, Intesa Sanpaolo, e dell’assicuratore pubblico nostrano, SACE, con il sanguinario e liberticida regime di Abdel Fattah al-Sisi. In carica dal 2014, al-Sisi è responsabile della detenzione arbitraria di migliaia di persone, di innumerevoli condanne a morte in seguito a processi viziati e di una vasta discriminazione di genere per legge. Eppure, tra i paesi dell’Unione europea, l’Italia è il primo partner commerciale dell’Egitto e il quinto a livello globale, oltre a essere il secondo Paese di destinazione delle merci egiziane.
La campagna
d'Egitto
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Non a caso
l’Egitto è il singolo Paese nel quale si trova il volume maggiore delle riserve
di gas di Eni, oltre il 20% del totale. La produzione nel Paese della
principale multinazionale energetica italiana, partecipata dallo Stato,
rappresenta il 60% del totale nazionale. Solo inizialmente l’Eni ha fatto
sentire la sua voce in merito alla barbara uccisione di Giulio Regeni, per poi
tornare senza troppe remore al business as usual, in quel momento
rappresentato dalla scoperta dell’ingente giacimento di Zohr. Grazie
soprattutto ai progetti di Eni, il regime di al-Sisi ha conquistato un ruolo di
primo piano sullo scacchiere energetico internazionale.
Di
recente Snam, il più grande operatore del sistema di trasporto del gas in
Europa, società anch’essa partecipata dallo Stato italiano, ha acquistato il
25% della East Mediterranean Gas Company (EMG), proprietaria del gasdotto
Arish-Ashkelon tra Israele ed Egitto, anche noto come “Gasdotto della pace”. Infrastruttura
sicuramente strategica per gli scambi energetici tra i due paesi e nodale per
le mire del Generale al-Sisi, ma anche opaca nella sua composizione societaria,
su cui pendono ombre pericolose.
Tutti questi
investimenti infrastrutturali vengono attuati grazie agli istituti di credito e
alle istituzioni finanziarie. In prima fila c’è Bank of Alexandria,
la sussidiaria locale del primo gruppo bancario italiano, Intesa
Sanpaolo. Partecipata anche dallo Stato egiziano, Bank of Alexandria si
vanta di essere il canale privilegiato per gli investimenti italiani nei
settori strategici per l’Egitto, in primis il comparto oil&gas e
quello dell’acquisto di armi, tanto ‘caro’ al regime.
A garanzia
di queste relazioni troviamo SACE, l’assicuratore pubblico italiano controllato
dal ministero dell’Economia e delle Finanze, la cui esposizione storica nei
confronti del regime egiziano supera i 4 miliardi di euro. L’importanza
rivestita dall’Egitto nel portafoglio di SACE si evince da due operazioni di
garanzia: quella per la raffineria di MIDOR e quella per la raffineria di
Assiut, avvenuta a febbraio 2022. Entrambe risultano le più grandi mai emesse
da SACE nel settore oil&gas. Per l’ultima, sullo sfondo del caso Regeni, ci
sono state poche remore, nonostante la titubanza di altri attori finanziari
italiani coinvolti, come Cassa Depositi e Prestiti.
Perché Snam
non pubblica l’elenco completo degli azionisti della EMG, suoi soci in affari
in Egitto, e i beneficiari ultimi di ciascuna delle società che controllano
proprio insieme a Snam il gasdotto Arish-Ashkelon? Perché Eni ha continuato a
incrementare i propri investimenti in Egitto persino dopo che sono emersi
possibili legami tra l’assassinio di Giulio Regeni e il regime di al-Sisi? Qual
è stata la destinazione finale degli ingenti finanziamenti che Intesa Sanpaolo
ha concesso al ministero della Difesa e al ministero delle Finanze egiziani?
Perché SACE non ha avuto alcuna remora nel garantire la raffineria di Assiut,
nonostante altri attori finanziari fossero preoccupati per le implicazioni
reputazionali derivanti dal caso Regeni?
Queste le
domande che pone ReCommon ai diretti interessati. “Sarebbe a dir poco
auspicabile fare finalmente chiarezza sui troppi aspetti oscuri delle relazioni
tra Italia ed Egitto, portate avanti dai ‘campioni’ industriali e finanziari
nostrani”, l’auspicio dell’organizzazione. “Se ciò non dovesse avvenire, sarà
l’ennesima prova che gli interessi economici hanno sempre la meglio rispetto
alla tutela dei diritti delle persone”, conclude.
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