Una storia che sa di socialismo, combutte parentali e cotolette vegetali
- Papà, son diventato vegano.
Il padre, distratto dal telegiornale appena iniziato, non rispose subito al figlio.
A Milano, diceva la tivù, una madre aveva lasciato di proposito la figlia di un anno e mezzo sola in casa per una settimana. La bimba era morta.
- Papà?
Finalmente l’uomo si voltò verso il ragazzo.
- Che c’è?
- Son diventato vegano.
Ora l’attenzione del padre, benché malvolentieri, era dedicata solo al figlio. Quel quindicenne che passava troppo tempo su internet e ultimamente era così strano.
- Che roba è? - disse con voce alterata. Si era già imbattuto altre volte in quella parola, vegano, ma non ne ricordava il significato, anche se presentiva non fosse nulla di buono. - Niente religioni, qui dentro, eh!
Il figlio non si perse d’animo.
- Nessuna religione, papà. Per chi mi prendi?
Il padre parve tranquillizzarsi. In fondo, era pur sempre suo figlio, quello. Il figlio di un dirigente del partito. E anche se il partito in Italia non contava più un cazzo da ormai trent’anni, beh, almeno in quella casa, la casa di un suo dirigente, avrebbe continuato a contare.
- Meno male - disse, e poi si accorse di avere una gran fame. - Luisa, è pronta sta cena?
- Ancora cinque minuti - rispose la moglie, dalla cucina. - Il pollo deve finire di rosolarsi.
Il marito levò gli occhi al cielo, rimpiangendo i tempi, quand’era ragazzo, in cui tra compagni si andava a mangiare tutti insieme in osteria, la sera. Mica ogni famiglia chiusa tra le sue quattro mura, davanti ai vari monitor disseminati per casa, come loro stessi ormai da tempo facevano. A quel pensiero l’uomo afferrò il telecomando e spense la televisione con un gesto di stizza. Fanculo anche il telegiornale, che tanto diceva solo stronzate.
- E quindi - disse burbero rivolgendosi di nuovo al figlio - cos’è che sei diventato?
- Vegano - rispose il ragazzo.
- Sarebbe a dire?
- Non mangio più carne.
L’uomo sgranò gli occhi. Ora ricordava: si trattava di quella nuova moda ridicola, in voga tra gli adolescenti pallosi che protestavano contro il cambiamento climatico...
- Cazzate - disse al figlio. - Pensi di risolverli così, i problemi della società? Smettendo di mangiare carne?
- E pure il pesce. E il latte. E i suoi derivati.
L’uomo sospirò. Ormai non riusciva più a capire il mondo come un tempo, quand’era tutto più chiaro, più delineato: lavoratori da una parte e padroni dall’altra. Adesso, invece, i lavoratori stavano con gli amici dei padroni, mentre i padroni facevano finta di fare i progressisti. E in mezzo c’erano sti ragazzi con la fissa per l’ambiente... Un caos dove lui non riusciva più a orientarsi.
- Senti, Nicola - gli disse - tu per me puoi mangiare, o non mangiare, quello che vuoi. Ma sappi che, se lo fai per migliorare il mondo, hai sbagliato strada. Il mondo si migliora lottando contro i padroni, non contro la carne. La carne è stata una conquista, per noi lavoratori, ché prima eran solo loro, i padroni, che potevano permettersela!
- Ma ora non se la può permettere più nessuno, papà. Non è più sostenibile.
Ecco anche quell’altra parola! Sostenibile. Nicola e gli altri ragazzi come lui le imparavano su internet, non c’era dubbio. Era quello il nuovo male, altro che tivù...
- E perché mai? - rispose al figlio. - Finché ci saranno ancora quel minimo di diritti che ci siamo conquistati in decenni di lotta, potrà continuare a permettersela anche la gente come noi, la carne.
- Non è una questione di soldi, papà, ma di ambiente. Per produrre tutta la carne che mangia oggi la gente, bisogna allevare troppi animali, sempre di più, in modi sempre più intensivi. E gli allevamenti intensivi distruggono gli ecosistemi ed emettono gas serra. Lo sapevi che il novanta per cento della deforestazione mondiale è causata dagli allevamenti? E che gli allevamenti producono la metà dei gas serra emessi sul pianeta?
No, che non lo sapeva. Sapeva a malapena cosa fossero i gas serra, lui. Ma non glielo disse. Per quanto si trattasse di cose poco importanti, non gli andava di apparire ignorante agli occhi del figlio.
- E con questo?
- Diventare tutti vegani è la strada più rapida per evitare il disastro climatico. Diventare vegani e ridurre le nascite.
Il padre, chiudendo gli occhi, si portò pollice e indice alle tempie, provato da quei ragionamenti strampalati. Nicola sarebbe di certo finito come quei giovani, sempre di più, che decidevano di non fare figli. Ci mancava solo che diventasse gay, e il quadro sarebbe stato completo.
- Ridurre le nascite? Ma di cosa parli? Lo sai che nascono sempre meno bambini? Chi li manterrà, i vecchi, in futuro? Eh?
- In Italia, papà. Ma al mondo ne nascono fin troppi. Ogni giorno, più di duecentomila, lo sapevi? Non è più sostenibile.
- È pronto! - disse Luisa a voce alta, dalla cucina.
Padre e figlio smisero di parlare, si alzarono e andarono a sedersi a tavola.
La donna servì loro i piatti e poi si sedette pure lei.
- E quella cos’è? - le domandò il marito guardando il piatto del figlio.
- Cotoletta vegetale - rispose la moglie. - Nicola non mangia il pollo. È diventato vegano.
L’uomo fissò il piatto del figlio ancora per un istante, poi fissò il figlio, infine la moglie.
- Sarete mica in combutta, voi due?
Madre e figlio si guardarono e sorrisero in modo sospetto.
- Macché combutta - rispose lei. - Il pollo io lo mangio, vedi? Anche se quelle cotolette vegetali, devo dire che non sono niente male. Vuoi assaggiarne?
- Nemmeno per sogno - disse l’uomo, e iniziò a mangiare la sua coscia di pollo senza aggiungere altro.
I tre se ne restarono in silenzio per qualche minuto.
- Papà? - disse a un tratto Nicola.
Il padre alzò lo sguardo dal piatto.
- Che c’è?
- Domani sera volevo portare qui a cena Cristina.
L’uomo guardò la moglie, che continuava ad avere in faccia quello strano sorriso. Poi tornò a fissare il figlio.
- E chi è Cristina?
- La mia ragazza.
Gli occhi dell’uomo s’illuminarono. Per la prima volta, quel giorno, sorrise. Almeno, si disse esultante, suo figlio non era gay.
- La tua ragazza? Ma certo! Che venga pure!
- È vegana anche lei - disse il figlio.
Il sorriso del padre si affievolì e infine scomparve.
- Ah.
- Sì. Per cui ti chiederei un favore.
- Un favore? Quale favore?
- Io e mamma abbiamo pensato a una cena che metta Cristina a suo agio. Sai, lei è ancora più attenta di me, su certe cose…
Il padre guardò la moglie. Quel sorriso era sempre lì, sempre più largo.
- E secondo voi anch’io dovrei...
- ... mangiare vegano - completarono la frase madre e figlio.
L’uomo, affranto, fissò dentro la padella l’ultima cotoletta vegetale rimasta.
- Quella roba lì? - domandò.
- Anche - disse la moglie. - Ma non solo. Ho dato un’occhiata al libro di ricette vegane che mi ha regalato Nicola, e ce n’è davvero di tutti i tipi. Alcune sembrano davvero buone!
L’uomo chiuse gli occhi e si portò di nuovo pollice e indice alle tempie.
- Ma se non ti va, papà, fa niente - disse il figlio. - Vorrà dire che Cristina non viene...
Il padre riaprì gli occhi e tornò a fissare torvo il ragazzo. Sorrideva anche lui, ora. Altro che combutta. Quella tra il figlio e sua madre era addirittura una santa alleanza.
Poi, con uno scatto, prese la forchetta e infilzò la cotoletta vegetale. Se la portò alla bocca e ne addentò un pezzo minuscolo. Lo masticò piano, come se stesse mangiando qualcosa di velenoso. Infine mandò giù.
- Il pollo è un’altra cosa - sentenziò severo dopo alcuni secondi.
Madre e figlio non risposero.
- Ma è vero che, alla fine, sta roba non fa poi così schifo. Cristina può venire.
Nicola si alzò e corse ad abbracciare il padre.
- Ti voglio bene, papà - gli disse. - E ricordati che non c’è giustizia sociale senza quella ambientale.
Era di certo un altro slogan dei loro, si disse l’uomo. Non c’è giustizia sociale senza quella ambientale, ripeté mentalmente. Il socialismo, come il pollo, era un’altra cosa. Ma doveva ammettere che quello slogan era un po’ come la cotoletta vegetale: alla fine, poi così schifo non faceva.
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