Tra pochi giorni arriveranno i dati ufficiali dell’Istat sulla povertà
assoluta in Italia. Vi anticipo le stime preliminari in due cifre: si parla
del 7,5 per cento delle famiglie, per cinque milioni seicentomila persone in
totale. Che tradotto nella lingua degli ignoranti come me significa una persona
su dieci. Ma questi sono solo numeri, che non ci dicono cosa significhi davvero
vivere sotto la soglia di povertà assoluta; cosa che forse molti di noi
avrebbero bisogno di capire, sempre se gli avanza il tempo tra una prenotazione
aerea e una cena al ristorante.
La povertà assoluta è una buca delle lettere piena da scoppiare perché chi
ha più il fegato per guardarla, è uno che sta in casa ma non risponde
al citofono, è un calendario appeso al muro scrostato intasato di appunti
indecifrabili che guardi in continuazione sperando che i giorni della tua vita
passino in fretta. È una nottata insonne seguita da un
risveglio da incubo; è una domenica torrida e noiosa passata in un
posto dove non c’è un cane per strada, è un gelato non comprato perché fa
male alla pancia, è una macchina con la targa che comincia per DD che non può
circolare nei giorni dei blocchi ecologici. È una multa raddoppiata perché
chi cazzo aveva i soldi per pagarla e poi pensavo sarebbe andata meglio e
invece, è i libri di tuo figlio tutti strappati e sottolineati perché
li hai presi al Libraccio che chi aveva quattrocento euro da spenderci. È
quando a scuola chiamano tuo figlio per dirgli che tu non sei in ordine coi
pagamenti, è quando compri merda sapendo di comprare merda all’hard discount
poi vai sul social e leggi le reprimende di quelli con la pancia piena che
dicono che le cose costano troppo poco e che bisognerebbe comprare a chilometro
zero. È uno sguardo basso di fronte a un capo che ti rimprovera di fronte ai
passanti. È una camicia col collo liso, è una scarpa con la suola
consumata, è i denti che mancano in bocca.
È molte altre cose ancora, come la solitudine e l’isolamento: perché in
questo paese, anzi nella testa della gente di questo paese, la povertà è una
colpa, un peccato da espiare, un’onta da risciacquare, un reato. Chi è povero in
qualche modo – pigrizia, incapacità, ignoranza – se l’è meritata, quindi non
rompesse troppo: non pretendesse aiuti da noi che lavoriamo duro e paghiamo le
tasse, non si aspettasse nessun bonus che quelli servono a chi i soldi li ha
già. Il cash chiama il cash e hai poco da
citare i Clash, che qui siamo nella vita reale e se non ce l’hai fatta è un
problema tuo.
Ecco perché nessuna prima pagina, vi anticipo anche questo, per il 9,4% di
persone che in questo paese stanno sotto la soglia della disperazione: perché
non ce ne frega niente. Abbiamo cose più importanti a cui badare, dalla
guerra (che a qualcuno torna molto utile) a Dybala all’Inter passando per i
prezzi degli ombrelloni. E a cinque referendum sulla giustizia (che nessuno
andrà a votare) che non hanno niente a che vedere con la giustizia vera, che
sarebbe anzitutto non lasciare solo chi è rimasto indietro.
L’importante è fingere di non vederlo, quell’uno su dieci che non ce l’ha
fatta, altro che cercare di dargli una mano o pretendere che chi dovrebbe farlo
lo faccia: e poi magari è povero anche perché non è stato disposto a diventare
un servo come noi. E fingere di non sapere che essere povero può anche
significare arrivare a pensare che la vita non valga la pena di essere vissuta.
Ma questo è meglio non raccontarcelo che ci si guastano i pensieri, anzi volevo
giusto chiedervi: dove si va in vacanza quest’estate?
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