Assistita e
supportata dal vuoto pneumatico di qualsiasi efficace politica
di contrasto da parte della Giunta della Regione autonoma della Sardegna,
soprattutto le strutture rette o vigilate (ben tre Agenzie in campo
agricolo) dagli Assessori dell’Agricoltura e della Difesa dell’Ambiente.
Quest’ultimo,
in particolare, assegna il
pericolo del turbamento dell’ordine pubblico a
qualche supposto Cervo sardo in più in alcune zone (fatto non accertato da
censimenti, danni verificati e quant’altro possa certificarlo al di là dell’occhiometro)
piuttosto che a più di 50 mila ettari ormai devastati dalle Cavallette nella
Sardegna centrale.
La
Coldiretti, fucina di conoscenze, lamenta
giustamente i ritardi, ma propone – a pagamento – l’aratura dei
terreni. Oppure “l’impiego del fuoco controllato, da utilizzare
col monitoraggio di Corpo forestale, Protezione civile e Compagnia
barracellari. O anche l’Esercito, visto che siamo nel pieno di una
calamità naturale”.
In realtà,
secondo la stampa
specializzata, “la lotta alle cavallette è essenzialmente
meccanica e si basa sull’aratura anche
superficiale dei terreni da realizzare nel periodo autunno-invernale”.
Non avrebbe
senso un’aratura in estate, a invasione in corso, né sarebbe
auspicabile un bombardamento con il napalm.
Come
nella Filistea biblica,
come nel Far West,
ognuno deve sperare di cavarsela, in qualche modo.
La gestione
della res publica è appannaggio del nulla
clientelarmente certificato.
E non
sono ancora
piovute le rane velenose.
Ancora
qualche vertice di maggioranza, qualche tavolo tecnico,
qualche pranzo assessoriale, e magari arriveranno.
Tuttavia,
non creeranno alcun turbamento dell’ordine pubblico, fermo
appannaggio di qualche esemplare di Cervo sardo nel posto sbagliato e
nel momento sbagliato.
Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento
Giuridico (GrIG)
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