giovedì 16 giugno 2022

Storie di migrazioni, pesca e morte, accompagnate dall’immancabile logica di rapina delle risorse


Il tonno rosso è il più pregiato e maestoso componente della sua famiglia, da tempi antichissimi
frequenta durante le sue rotte migratorie le coste della Sardegna, e da sempre viene pescato.
Gli studi storici affermano con certezza che almeno dal 7000 a.C. le popolazioni mediterranee davano
la caccia a questi enormi e buonissimi pesci.
La pesca del tonno si incardina su due termini specifici tonnara e mattanza, che per quanto riguarda la
Sardegna hanno il sapore della costa occidentale, la prescelta dai tonni per il loro passaggio.
Dall’estremo nord di Stintino fino all’arcipelago sulcitano i sardi nel corso dei secoli hanno
improntato una parte fondamentale dell’attività di pesca nella ricerca di questo magnifico pesce,
dalle carni pregiate e dal fascino inarrivabile. In tanti lo chiamano il re del mare.
Il tonno rosso Thunnus thynnus vive per la maggior parte dell’anno nel Atlantico settentrionale, tutte
le primavere i tonni si raggruppano in grandi branchi per iniziare una migrazione verso le più
tranquille e calde acque del mediterraneo, più adatte per la deposizione delle uova.
La possente struttura fisica gli permette di raggiungere l’incredibile velocità di 70km orari; come gli
altri animali migratori i tonni rossi sono dotati di un incredibile senso dell’orientamento che gli
permette di ripercorrere ogni anno la stessa rotta.
Con l’approssimarsi dell’autunno i branchi – o meglio quello che ne resta – si ricompongono e
riprendono la via verso lo stretto di Gibilterra e poi l’Atlantico, durante il viaggio di ritorno sono
notevolmente più magri e affaticati che all’andata, questo rende le carni meno pregiate e quindi
meno ricercate da pescatori e consumatori.
Come molte delle specie che vivono in mare aperto gli studi in merito alle migrazioni, gli
spostamenti, l’alimentazione eccetera hanno ancora un sacco di angoli oscuri. Ad esempio vi sono
teorie che sostengono che una cospicua fetta dei tonni non migri, ma semplicemente durante
l’inverno si inabissi nelle acquee mediterranee per poi riemergere a primavera, vi è anche chi
sostiene che che siano solo i tonni più maturi a migrare, mentre i giovani siano stanziali.
Il tonno rosso fa parte della specie degli attinotterigi più precisamente della famiglia dei tunnidi, può
raggiungere dimensioni ragguardevoli pari a 4 – 5 quintali, nel primo anno di vita facilmente
raggiunge già i 70 cm di lunghezza e i 5 -6 kg, complessivamente può vivere fino ai 30 – 35 anni.
L’alimentazione del tonno è composta principalmente da pesce azzurro e cefalopodi.
Il Mediterraneo è una delle due macro aree di riproduzione del tonno rosso, l’altra è il golfo del
Messico. Negli anni ‘90 la popolazione mondiale di tonno rosso era considerata in via d’estinzione,
per porre un freno al fenomeno della pesca indiscriminata e salvare la specie fu introdotto il sistema
delle quote, che prevede una suddivisione per ogni stato e poi per ogni tonnara, del quantitativo di
tonni pescabili ogni anno, questo ha permesso al tonno rosso di ritornare su standard più accettabili,
ma ha reso le sue carni sempre più pregiate e desiderate, da ciò è nato un’enorme mercato nero della
pesca al tonno, che non solo falcidia ogni anno migliaia di esemplari, ma è anche pericoloso per i
consumatori.
La storia del tonno rosso è purtroppo per lui collegata a doppio filo con quella dell’uomo, tutto per
colpa delle sue pregiatissime carni rosse per l’appunto.
La pesca del tonno rosso è diventata negli ultimi decenni un business da 65 miliardi di euro all’anno.
Un giro d’affari di queste dimensioni ovviamente porta con se tutto lo schifo che il genere umano sa
inventarsi quando si tratta di affari remunerativi. Il motore di questo enorme giro di affari è un’altra
isola, molto lontana da noi, il Giappone.
La cultura alimentare giapponese mette il tonno rosso in cima alla lista dei cibi più apprezzati e
ricercati, solo a titolo di esempio l’anno scorso un tonno rosso mediterraneo di 278 kg è stato battuto
all’asta del mercato ittico di Tokyo a 2,7 milioni di euro quindi circa 9.700 € al kg.
Il Giappone acquista circa il 75 – 80 % dei tonni rossi pescati nel pianeta, per quanto riguarda il
mediterraneo possiamo essere più sicuri di questo dato in quanto fu proprio questo tipo di accordo a
convincere i pescherecci giapponesi arrivati fin qui a tornare in oriente e a lasciare le operazioni di
pesca ai locali.
In cambio i nostri mercati e ristoranti sono invasi da tonni pinna gialla e tonni obesi, proveniente
dagli oceani pacifico e indiano. I paradossi del capitalismo, altro che km0!


Ma analizziamo le cose con più calma.
Ogni anno verso la fine dell’inverno le tonnare a terra e a mare iniziano a preparare le reti per la
pesca dei tonni, che di li a qualche mese arriveranno. Nel frattempo l’ICCAT International Commission
for the Conservation of Atlantic Tunas, stabilisce la quota mondiale di tonnellate pescabili e la
suddivisione stato per stato, quest’anno all’Italia ne sono toccate circa 4.600 su 36.000, dietro solo a
Spagna e Francia.
Le quote vengono poi risuddivise da ogni stato alle varie tonnare in base a quante quote si sono
accaparrate, le quote si possono acquistare o richiedere.
Alle quattro tonnare sulcitane quest’anno sono toccate 402 tonnellate, i veri boss della pesca al tonno
rosso in Italia sono in Campania, in particolare a Cetara (che ne detiene circa 1500), queste marinerie
praticano la pesca a circuizione, effettuata in mare aperto e che se organizzata bene può consentire il
raggiungimento delle quote annuali in pochi giorni, anche meno di una settimana.
I tonni pescati dai pescherecci campani e siciliani vengono venduti ai grossisti del mediterraneo,
Fuentes e Azzopardi, rispettivamente spagnoli e maltesi, che mettono all’ingrasso i tonni per poi
rivenderli ai giapponesi nelle condizioni richieste, e a quel punto spuntare prezzi elevatissimi.
A Carloforte invece una parte tonni vengono ancora uccisi nella camera della morte, mentre altri
vengono messi nelle gabbie e venduti agli ingrassatori.
Pratica questa a cui ci si dovrebbe opporre, per vari motivi: il primo di natura strettamente etica e
cioè che non ha senso catturare dei tonni in Sardegna per poi trasportarli in gabbie che viaggiano a
tre nodi fino a Malta per farli ingrassare (per accontentare il palato dei giapponesi che preferiscono il
tonno più grasso di come natura lo offre) e poi ucciderli, è ancora più macabro della mattanza; il
secondo perché far ingrassare i tonni ha un costo ecologico non indifferente. Si stima che una gabbia
con 3000 tonni abbia bisogno di circa 4000 tonnellate di pesce al giorno, che proviene dalle coste
africane dove questo tipo di saccheggio è ancora consentito, e dove si sta quindi consumando un
disastro ecologico.


Numeri e fatti nei dintorni della mattanza.
Le tonnare sarde esistono da circa 500 anni, sono le uniche (le 4 rimaste) in Italia a continuare a fare
la pesca al tonno da terra, a Favignana stanno provando con fatica a far rinascere l’attività ma negli
ultimi anni le cose non sono andate per il meglio.
Parlando di lavoro a Carloforte le tonnare PIAM offrono 5 posti fissi e 25 stagionali, dall’interno da
anni arrivano richieste di aumento delle quote per poter offrire più lavoro, riproponendo anche qui il
ricatto dell’equilibrio tra ecologia e lavoro.
In tutto il mondo si stima che il mercato nero che ruota intorno al tonno rosso sia di circa 13 miliardi
di euro, in Italia le stime parlano di circa 10 tonnellate annue, alle quali si aggiungono i rischi per la
salute causati dall’istamina (una sostanza incolore e insapore, che non si elimina neppure con la
cottura e che si genera naturalmente in seguito alla degradazione dell’istidina, un amminoacido
abbondante nel tonno e altri pesci della stessa famiglia come sgombri e sardine, soprattutto in caso di
cattiva conservazione. L’istamina può provocare la sindrome sgombroide, un’intossicazione
caratterizzata da arrossamento, prurito, mal di testa, difficoltà a deglutire, nausea, vomito e diarrea. )
che l’anno scorso ha causato 400 ricoveri nella sola Sicilia.
I quotidiani sardi nei mesi della migrazione dei tonni, ogni settimana riportano notizie di sequestri di
pesce pescato illegalmente, spesso mal conservato e quindi pericoloso per la salute. Anche questa
situazione ci riporta ad alcuni interrogativi già affrontati su questa rivista in passato e cioè su cosa
scegliere tra il legale e l’illegale, che nel caso del tonno rosso si presenta come una scelta veramente
difficile.
8/9 € al kg è il prezzo che si arriva a pagare nei paesi del sud ovest sardo per il tonno rosso pescato di
frodo.
Pochi quintali di tonno rosso rimangono nel mercato interno sardo, il che ci porta automaticamente
alla conclusione che la quasi totalità di menù che propongono tonno sardo ci stiano vendendo altro,
che potrebbe essere: tonno rosso decongelato, un’altra varietà di tonno, tonno rosso di pesca illegale.
Diverso è il discorso per le pescherie che fanno più fatica a mentire, e infatti spesso basta consultare
il cartellino per capire cosa stiamo comprando.
A fine giugno qualcuno notte tempo a tranciato i cavi dell’impianto delle Tonnare PIAM facendo
sollevare la tonnara e permettendo la fuga di centinaia di tonni, quantificati dai giornali in 80
tonnellate (ci permettiamo di dubitare di questo dato – in un senso e nell’altro – in quanto ci
chiediamo come sia stato possibile calcolarlo). L’azione non è stata rivendicata, così come non è stato
identificato alcun responsabile o svelato il movente.


Conclusioni.
Il tonno rosso è annoverabile tra gli animali più rappresentativi e importanti per una parte della
cultura sarda. Le sue carni e la lavorazione di esse (bottarga, cuore e centinaia di ricette) fanno parte
della tradizione culinaria di buona parte dei paesi di mare della nostra isola.
In alcune zone addirittura è stato ed è – almeno in parte – parte delle comunità stesse, dalla
toponomastica all’attività lavorativa.
La globalizzazione e l’arrogante pretesa di voler mangiare ad ogni costo ogni prodotto lo ha portato a
rischio estinzione, una legislazione più lungimirante – di esclusiva esigenza economica, non certo
ecologica – lo ha momentaneamente salvato, ma il baratro è sempre dietro l’angolo.
La pesca industriale è la principale causa della distruzione della fauna marina, solo un consumo
responsabile e il boicottaggio dei grandi centri di vendita del pesce (mercati ittici generali su tutti)
possono salvare i mari e i loro abitanti.
A ognuno la scelta del proprio percorso e delle proprie responsabilità, ricordandoci sempre che i
tonni vengo pescati perché qualcuno li compra.
L’esempio di quanto accaduto negli ultimi anni con i ricci dimostra che la scelta dell’individuo conta
eccome (una vasta campagna di sensibilizzazione, sulla necessità di ridurre il consumo dei ricci di
mare prossimi all’estinzione, portò a una riduzione dei consumi e alla conseguente ripresa della
specie, con buona pace per i lavoratori del settore che erano i responsabili dell’esagerato prelievo).
Provare a convincere qualcuno se sia meglio mangiare un pezzo di tonno al ristorante (che come
struttura necessita di tutta la filiera sopra descritta e dei danni che produce) o acquistarlo da un
pescatore sportivo che non lo denuncia non è mio interesse, posso solo ribadire che la quasi totalità
dei frutti offerti dalla natura sono stagionali, accettare di consumarli solo nella stagione in cui questi
abbondano vuol dire lasciare tre quarti di un anno perché queste risorse si riprendano e siano di
nuovo numerose.
L’abitudine arrogante di voler sempre tutto non è compatibile con la sopravvivenza dell’ecosistema
che ci circonda.
A ognuno la sua scelta, io la mia scelta l’ho fatta. Ricordiamoci che ogni scelta porta con se una
conseguenza e il mare le subisce tutte, ma non da tutte si riprende.


Sa mariapica,
iglesiente,
estate 2020.


Quest’articolo è frutto di un’inchiesta indipendente, i dati e le informazioni usate sono stati ricavati
da fonti variegate e non sempre verificabili, per questo vi chiediamo di scriverci nel caso riscontraste
errori.


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