Il primo maggio è anche un’occasione per fare una riflessione su una sanità sempre più malata. Dagli ospedali-fabbriche ai turni massacranti: cosa non va
Il 1° maggio una festa in cui si ricordano i lavoratori… Forse anche un’occasione per fare riflessione e rivedere aspetti, regole ecc. che appartengono al mondo del lavoro, un capitale umano che gode di numerose critiche e mai di attenzioni adeguate. Sono anni che tutto è cristallizzato com’è e come è sempre stato, ma dove speriamo di andare? Io che scrivo sono del 1967, alle elementari facevo i doppi turni, quegli gli anni in cui eravamo tantissimi. Alcuni del 1970, benché obbligatorio, riuscirono ad evitare il servizio militare dal momento che molto numerosi. Nel 1980, stessa scuola elementare, le classi di alunni erano microscopiche; le scuole si bisticciavano gli alunni per sopravvivere.
Tipo il recente film “un mondo a parte”, con Antonio Albanese e Virginia
Raffaele. Ora quei bambini del 1980 hanno 44 anni! Io, appena diplomata ho
dovuto imparare il principio del sacrificio, eravamo in tanti, i lavori pochi,
quindi ti devi adattare, sacrificare, …in ogni modo! Non investire sul
personale che cosa comporta? E’ semplice, molti andranno a dedicare il proprio
tempo e le proprie competenze altrove, in una struttura che più gli si confà,
anche all’estero. Una peculiarità, tra l’altro che potrebbe coinvolgere i migliori,
spesso poco valorizzati. Non si trattiene un infermiere in un pronto soccorso,
con l’intensità delle incombenze, con il rischio di aggressioni, con un
semplice indennizzo. …ma non è lo stesso per la classe 1980 e quegli uomini e
donne che li seguono! Le esigenze di domanda e offerta si sono invertite.
Ora abbiamo più offerte di lavoro e meno uomini e donne. Molti si
sperticano a dire che gli uomini e donne non hanno voglia di lavorare! …ma è
realmente così? Oppure va’ rivisto il “sistema lavoro”? Gli imprenditori e non
sarà facile, dovranno rivedere il loro approccio con i lavoratori, debbono
cercare “persone” non personale. Nel passato gli infermieri, neo diplomati
prima, laureati poi, sapevano di dover fare grandi sacrifici, prima di trovare
una stabilità. Alcuni nella speranza di chance migliori si sono adattati a
lavorare: “senza stipendio; con uno o due euro l’ora; io stessa ho dovuto
discutere per farmi pagare le mie prime 12 ore di prova; i turni massacranti
e/o anche doppi ai limiti del rischio professionale e molto altro erano e sono
all’ordine del giorno!” Nell’ambito sanitario privato non ci facciamo mancare
nulla, abbiamo un potpourri di contratti, società che non prevedono,
contrattualmente, chance per partecipare ai concorsi.
Abbiamo società che cercano professionisti sanitari con partita IVA, senza
contemplare una corrispondente retribuzione, in considerazione della precarietà
di un accordo con partita IVA, le tasse da pagare autonomamente, pretendono
esclusività, turnistica ecc. Quindi tutt’altro che un rapporto
libero/professionale. Abbiamo società che pagano 9 euro l’ora (come una donna
delle pulizie); tipo case di riposo, centri di riabilitazione e si lamentano di
non trovare personale, quindi potendo scegliere di meglio, dovrebbero accettare
un lavoro in una società esternalizzata, in condizioni di lavoro discutibili?!
Abbiamo avuto società esternalizzate, che benché pagate dalla regione,
sceglievano di retribuire il personale con rimborsi spese, anziché con uno
stipendio regolare. Quindi la retribuzione equivarrebbe ad impegnare
professionisti sanitari, in modo irregolare, in nero oppure se preferite in
“grigio”. Nella sanità, la precarietà ha numerose facce, compreso il caporalato
che non è solo nelle campagne, purtroppo. Nella mia stessa prima esperienza di
lavoro, fu un incubo, mi sono sentita dire di “posizionare” un catetere
vescicale con i guanti da cucina, gli stessi che avevo utilizzato per fare il
giro letti, le cure igieniche, su tutti gli altri ospiti. Il posizionamento di
un catetere vescicale, per definizione, dovrebbe essere eseguito in modo
sterile, con guanti sterili e con il supporto di un’altra unità che porga il
materiale in modo sterile. Il giorno dopo mi licenziai, rinunciai anche ai
soldi del giorno di prova, …venni criticata, mi sentii dire, anche da
conoscenti, che non avevo voglia di lavorare! …ma gli infermieri debbono
lavorare secondo principi di responsabilità e sicurezza, per se stessi e per
gli stessi pazienti. …mai pentita di questa scelta! Ci sono numerose realtà
dove ferie e permessi sono un sogno irrealizzabile, turni impossibili e
spostamenti repentini da un reparto all’altro.
Come se fosse facile passare da un reparto ad un altro, normalmente si
dice: “ne sa di più un matto in casa propria che un savio in casa d’altri”. …ma
non interessa alla classe dirigente a danno del personale e dei pazienti, la
sicurezza è importante! Taluni “illuminati” hanno proposto di reperire
personale a sud del mondo. Una soluzione che non è esattamente la panacea
universale. Vi scrivo per esperienza, sono stata emigrante, da Roma ed ho avuto
problemi di comunicazione dalla città eterna, in Veneto e in Lombardia. Sono
stata nell’entroterra delle provincie di Padova, ma anche tra Milano e Bergamo,
le mie prime consegne infermieristiche, tra colleghi furono imbarazzanti. La
soluzione proposta è preoccupante, la formazione è diversa, non necessariamente
migliore o peggiore, ma la differenza non è stata considerata.
Non stiamo parlando di un caffè confuso per un cocktail, che comunque è importante
… molto importante! Nel passato, i problemi di domanda e offerta di lavoro ha
condotto molti giovani verso gli studi d’infermieristica, anche se non
ispirati, era comunque una chance di lavoro. Ma oggi non è più necessaria
questa scelta condizionata? Ci sono dei percorsi di studio molto appetibili,
dove anche gli stage sono ben remunerati, ma non è il caso degli infermieri,
che debbono pagarsi le tasse universitarie, i libri, alloggi se fuori sede ecc.
Il tirocinio agli infermieri non è retribuito, né al primo, secondo o terzo
anno. Gli infermieri, in pianta organica, ad oggi, nel 50% dei casi, ha
superato i 50 anni, con problemi di salute immaginabili, equiparabili alla
popolazione nazionale. I problemi di salute dei sanitari sono equiparabili alla
popolazione, ma ampliamente sottovalutati, colpevolizzando i coinvolti, benché
comuni a tutta la popolazione! Il capitale umano, in ambito sanitario, per il
70% dei casi è donna.
In punto di diritto, secondo legge, non si può licenziare una donna perché incinta
o demansionarla quando diventa madre o negarle il diritto al congedo di
maternità genitoriale. Eppure la maternità continua ad essere un handicap per
le donne che anno un’occupazione in ambito sanitario e spesso confligge con il
desiderio di maternità, sia per i piaceri e doveri connessi all’avere un
figlio. Una professionista sanitaria, soprattutto se infermiera, anche se
faticosamente ha ottenuto di poter lavorare in una struttura stimolante e/o
gradita, una volta rientrata dalla gravidanza ha perso tutto! Normalmente la
neo mamma ricomincia la sua attività come fosse una neo assunta, prima a
disposizione, girando per ogni reparto, quotidianamente, successivamente
assegnata in una realtà che ne avesse bisogno, spessissimo diversa dalla
struttura precedente al periodo di gravidanza. Demoralizzante per molte.
Oggi gli ospedali vengono gestiti come fabbriche, la cui produzione è una
necessità costantemente richiesta e moltiplicata ad ogni faticoso obiettivo
raggiunto. E’ difficile far capire che la struttura sanitaria non è una
fabbrica e non si può immaginare come una industria, le stesse industrie stanno
rivedendo il loro assetto. La gestione moderna avrebbe necessità di capitale
umano creativo, i creativi non sono utili solo per dipingere un quadro artistico,
ma anche per ri-organizzare un contesto che non produce come dovrebbe, che
manifesta fuoriuscita di personale e/o lamentele dell’utenza. Il 1° maggio
vorrei che si aprisse con una revisione dell’organizzazione del lavoro,
contratti unificati tra pubblico e privato, sensibilità verso le esigenze del
personale.
*Responsabile Regionale Nursing Up Lazio
Nessun commento:
Posta un commento