È di recente pubblicazione sul n. 293 della rivista scientifica Biological Conservation la ricerca “Tracking data highlight the importance of human-induced mortality for large migratory birds at a flyway scale”.
L’indagine – condotta da uno staff di 162 fra ricercatori di università e istituti pubblici ed esperti di organizzazioni ambientaliste provenienti dall’Europa, dall’Africa, dal Medio Oriente, e dalle Americhe – ha analizzato il destino di 4.097 uccelli migratori (rapaci, avvoltoi, cicogne, gru) sulla rotta africano-eurasiatica nel periodo 2003/2021.
Si tratta di uccelli dotati di trasmettitori perché già seguiti da studi di monitoraggio, appartenenti a 45 specie, fra cui molte protette, a rischio e vulnerabili, come il Grifone, il Gipeto, il Capovaccaio, l’Aquila Fasciata, l’Aquila Imperiale Orientale, e tante altre presenti nella red list delle specie minacciate dell’International Union for Conservation of Nature.
Fra gli uccelli monitorati i ricercatori hanno identificato 1704 eventi di mortalità, di cui 1030 avevano una causa nota, in 637 casi indotta dall’uomo. Per quest’ultima categoria, quasi la metà delle cause di morte è attribuibile alla folgorazione/collisione con infrastrutture energetiche.
La maggior parte degli eventi mortali avvengono in Europa: il 65% dei decessi per tutte le cause, il 70% di quelli causati dall’uomo.
Per quanto il numero degli uccelli considerati sia limitato in termini assoluti, a fronte delle centinaia di migliaia di migratori che attraversano ogni anno i continenti, il dato sulla tipologia prevalente di morte è importante per riportare l’attenzione sull’impatto delle nostre infrastrutture energetiche sulla fauna selvatica, già ampiamente decimata dalla distruzione degli habitat e della catena alimentare, dalla caccia (legale e illegale che sia), e da varie forme di inquinamento e avvelenamento.
Nel discorso pubblico sul nostro presente e futuro energetico, il contributo delle infrastrutture all’estinzione di intere specie non è in nessun modo all’ordine del giorno.
Non è all’ordine del giorno la modifica degli elettrodotti presenti e futuri per la messa in sicurezza dei migratori dal rischio di folgorazione, non è all’ordine del giorno l’imposizione di un divieto reale di installare parchi eolici ed elettrodotti sulle loro rotte.
E non rappresentano certo un deterrente normative blande e mai applicate veramente, sempre a rischio di revisione al ribasso. Per quanto riguarda il Belpaese, si stanno moltiplicando le domande di installazione di nuovi parchi eolici, con pale alte oltre 200 metri, sui crinali appenninici o sulle isole (per la Sardegna in particolare si prefigura un vero stato d’assedio), e dei relativi elettrodotti a servizio.
Spuntano progetti in luoghi sensibili per l’avifauna migratoria, la cui valutazione di impatto ambientale è fatta col copia incolla di documenti redatti esplicitamente per altri territori, giusto per farne capire l’accuratezza. Al contempo, in tempi di passaggio forzato al mercato libero dell’energia, sbocciano offerte “green” i cui etici gestori si permettono pure di ridicolizzare il problema (*).
Proponiamo oggi la traduzione di alcune parti della ricerca pubblicata da Biological Conservation (qui la versione integrale in inglese, liberamente scaricabile e con licenza Creative Common), sperando di non ritrovarci un giorno a dover spargere lacrime di coccodrillo davanti alle immagini delle specie sacrificate sull’altare di questo modello di sviluppo. (Ecor.Network)...
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