Immaginiamo
un gruppo di bambini. Qualora prestassimo orecchio, banalmente sentiremmo
parlare di speranze e sogni. Che
il più delle volte, a causa del peso dell’età, concorderemmo nel ritenerli al
meglio ingenui. Soprattutto per quanto riguarda le singole aspirazioni. Tra le
più gettonate, io sarò un astronauta e io diventerò una scrittrice, io presidente della Repubblica e io un’affermata stella del rock, io solo famoso e io, con simile praticità, tanto ricca. Di
certo, farebbe rumore se uno di loro esclamasse a gran voce: “Da grande farò lo
spazzino”.
Si dà il caso invece che è proprio ciò che Mateo De La Rocha disse da
piccolo ai suoi familiari in Bolivia e il motivo era semplice: ai suoi occhi,
tutt’altro che ingenui, lo spazzino era l’unico che vedeva fare qualcosa contro
l’inquinamento. In seguito, Mateo e la sua famiglia si sono trasferiti negli
Stati Uniti, precisamente nella città di Cary, nella Carolina del Nord e oggi,
giunto all’ultimo anno delle superiori, ha deciso di dare concretezza alla
presunte ingenuità di allora. Dopo aver coinvolto nell’impresa due suoi
compagni di studi, Lila Gisondi e Sebastian Ng, si è dedicato a un’iniziativa a
dir poco lodevole, se non urgente: chiudere un pozzo petrolifero abbandonato in
Ohio, arrivando a raccogliere ben 10.000 dollari.
Secondo l’Environmental Protection
Agency, negli Stati Uniti sono 3,9 milioni i pozzi di petrolio e gas
abbandonati e invecchiati. Molti di essi perdono metano, un gas serra che è
quasi 30 volte più potente dell’anidride carbonica nell’intrappolare il calore
nell’atmosfera per un periodo di cento anni, e ancora più potente su periodi di
tempo più brevi. Un problema mondiale, non solo degli Usa.
Secondo un rapporto Reuters
nel mondo i pozzi definiti orfani e quindi estremamente dannosi e pericolosi sono circa 29 milioni. Solo sotto la
superficie dell’acqua del Golfo del Messico se ne calcolano almeno
27.000. Otre alle emissioni gas che incidono sull’effetto serra, c’è anche il
grave aspetto dell’inquinamento, con il rilascio di sostanze cancerogene nelle
falde acquifere.
Che dire allora dell’Italia?
Ebbene, dati risalenti
al 2022 ci dicono che su 1.298 pozzi che raggiungono in profondità giacimenti
di gas o petrolio sono più della metà quelli chiusi, ovvero 752. Le ragioni sono molteplici,
magari perché il giacimento è esaurito, o perché il possibile guadagno non
pareggiava i costi, perché la produzione richiedeva ulteriori investimenti che
l’azienda incaricata non era in grado di coprire, oppure perché erano state
violate le norme per lo sfruttamento.
In ogni caso le
conseguenze e i rischi sono particolarmente elevati, fino a parlare di
una vera e propria calamità naturale, come nel caso dello
smaltimento delle acque di produzione in un pozzo dismesso nel 1988 in Molise.
Ovviamente, invece di preoccuparsi
dell’effetto serra e dell’inquinamento, ci si sofferma di
più su come guadagnarci ulteriormente da questi enormi buchi nel cuore del
pianeta che ci ospita.
Così, per quanto riguarda il nostro Paese, non
posso fare a meno di tornare a immaginare. A chiudere gli occhi e a figurarmi
di nuovo un gruppo di bambini, sperando non solo che alcuni di essi si augurino
di fare gli spazzini da grandi e rimedino ai danni compiuti dalle sciagurate
generazioni che li hanno preceduti. Perché se proprio devo sognare anch’io, mi
piacerebbe che nessuno di loro fosse costretto a farlo, ecco.
Nessun commento:
Posta un commento