Quei non-luoghi dei centri commerciali restano uno dei simboli delle tristi e violenti società consumiste del Nord del mondo. In alcuni angoli dell’Africa occidentale invece lo scambio commerciale non è neppure la funzione principale dei mercati, che servono ad esempio a scandire la settimana, a discutere di tanti temi, a gestire conflitti, ma sono prima di tutto i luoghi nei quali gli innamorati si incontrano, alcuni bevono una birra insieme e altri fanno festa. Spesso non ci sono edifici che li ospitano: il mercato è un meccanismo sociale creato dalla presenza dell’assemblea e definito dalla sua periodicità ciclica e quindi anche dalla sua esistenza effimera. Al mercato del popolo Taneka del Benin è dedicato questo testo tratto dal libro di Marco Aime Il patto delle colline (elèuthera). Si tratta di un popolo che ha saputo creare legami tra piccole comunità di origine diversa per difendersi dai razziatori bianchi di schiavi, non limitandosi a una resistenza ma inventando modi di vivere e regole per intrecciare le differenti appartenenze oltre qualsiasi localismo e nazionalismo. E oltre le ossessioni del profitto.
Tutte le cerimonie iniziano il giorno in cui si tiene il mercato di
Copargo, quando inizia la fase di luna nuova prescelta. In questa regione,
come in molte altre parti dell’Africa occidentale, i mercati non
rappresentano solo un luogo di scambio commerciale, anzi, questa non è neppure
la loro funzione principale.
I mercati, per esempio, assolvono anche a un’altra funzione fondamentale:
il calcolo del tempo breve. Raggruppati in cicli (di quattro nel caso dell’Atakora)
danno vita alla «settimana» taneka. Come in tutto il Benin
settentrionale il ciclo dei mercati è di quattro giorni. Ogni area ruota
attorno a quattro località che a turno «si animano» e diventano yaké, mercato.
In questi giorni convergono sul luogo i contadini provenienti da tutte le
fattorie sparse nel territorio taneka e nei dintorni. Ciò non significa
che negli altri giorni non ci sia mercato, ma si tratta di yarà, il piccolo
mercato quotidiano gestito solamente dalle donne del luogo, senza la
partecipazione di individui esterni. I Taneka adottano la sequenza dei mercati
per determinare la successione dei giorni. La «settimana» si calcola in questo
modo: il primo giorno, quello in cui si tiene il mercato a Djougou, si chiama
yaké, il giorno successivo il mercato si terrà a Pabégou e il giorno si
chiamerà dur; all’indomani è il turno di Copargo ed è tam; infine, il mercato
sarà a Katabam nel giorno chiamato barhà. Poi la «settimana» ricomincia.
Il «tempo del mercato» è particolarmente funzionale in quanto si fonda su
esperienze condivisibili dall’intera comunità e combina i fattori spazio/tempo. Come sostiene
Giorgio Raimondo Cardona, uno dei modelli più adottati dalle diverse culture è
quello spaziale, sul quale si sovrappone una percezione sequenziale del tempo.
Infatti, il ciclo dei mercati è il riferimento per il calcolo del tempo breve,
ma fornisce anche una dimensione spaziale. I Taneka abitano i loro
villaggi solo nella stagione secca (dicembre-aprile). Per il resto dell’anno
risiedono in abitazioni sparse nella campagna in prossimità dei loro campi e
ogni famiglia fa riferimento al mercato più vicino alla propria abitazione,
anche se non manca di partecipare agli altri tre. Il mercato non
costituisce solamente un luogo di compravendita o di scambio commerciale, è un
luogo caratterizzato da una intensa celebrazione di scambi sociali, diventa
luogo di incontro con i membri della propria famiglia e del proprio villaggio
di origine. Il grande albero che sorge nel centro della piazza è un vero e
proprio arbre a palabre dove gli anziani si riuniscono per lunghe discussioni e
fumate di pipa. Come afferma Paul Bohannan: «I mercati non servono
solo a determinare l’economia e il calendario. Sono un importante collegamento
nelle comunicazioni di ogni tipo».
La società taneka risponde alla definizione fornita da George Dalton e Paul
Bohannan di «società con mercati periferici» nelle quali è presente come
istituzione il luogo di mercato, ma dove «le vendite sul mercato non
costituiscono la fonte principale per la sussistenza materiale». Il
surplus prodotto dall’agricoltura è infatti minimo e non giustificherebbe da
solo l’importanza assunta dal mercato. I mercati taneka, come quelli konkomba
descritti da David Tait, «sono tutt’altro che una pura occasione economica e
forse la maggior parte dei frequentatori vi si reca per bere birra, incontrare
gente e divertirsi. Quello del mercato non è solo un giorno di riposo, ma un
giorno di festa. Gli amici si incontrano, i fidanzati organizzano i loro
incontri mentre gli affari commerciali vanno avanti».
Un altro elemento caratterizza il mercato tradizionale: l’essere
caratterizzato non da un qualche elemento oggettivo della sua esistenza, come
una costruzione o un edificio, ma dalla loro completa assenza. Il mercato è un
meccanismo sociale, creato dalla presenza dell’assemblea e definito dalla sua
periodicità ciclica e quindi anche dalla sua esistenza effimera.
L’importanza del mercato aumenta soprattutto in contesti non urbani, dove
funge da vero e proprio centro di riferimento. Rappresenta anche l’apertura verso
l’esterno di ciascun gruppo locale; è un luogo di confine, quasi una
terra di nessuno. Ovunque esistessero situazioni nelle quali segmenti
dello stesso gruppo tribale entravano in conflitto o in antagonismo, «si
stabiliva un terreno neutrale di incontro, nella terra di nessuno, al limite
dei territori di ogni clan. Commercio e comunicazioni intertribali erano le
motivazioni principali per frequentare tali mercati». In molte parti
dell’Africa, infatti, i mercati sono innanzitutto spazi neutri da cui ogni
conflitto è bandito, dove anche un nemico può venire a parlamentare, dove
la gente si incontra e la merce che circola di più è la parola. La neutralità
del mercato appare anche nell’antica proibizione, vigente nella maggior parte
dell’Africa occidentale, di portare armi all’interno dello spazio designato.
Esiste inoltre un legame tra mercato e religione, anche per questo a
volte i mercati svolgono il ruolo di luogo neutrale dove risolvere dispute tra
gruppi, e la magia a essi connessa viene spesso invocata per dirimere dispute
di natura politica. I luoghi dei mercati, infatti, sono stati scelti dagli antenati,
come mi ha detto Dagnerì: «Ogni mercato ha un suo principio, non può essere
scelto a caso. I primi che sono venuti qui hanno scelto un luogo dove la gente
sarebbe venuta a fare il mercato». Questo deve quindi occupare un terreno in
accordo con le forze divine che dominano la zona. L’esatta collocazione non è
però sufficiente e il terreno deve essere «preparato» prima di potere
accogliere il raduno di persone che si raccolgono nello spazio destinato al
mercato. Elliot Skinner descrive così la cerimonia che si celebra presso i
Mossi del Burkina Faso: «Per preparare il mercato versa acqua e miglio sulla
terra e pronuncia questa formula: ‘Buon dio, prendi quest’acqua, bevila e
prendine ancora e dalla a tutti gli spiriti nei villaggi, affinché il mercato sia
sempre buono e non ci siano litigi al suo interno’. Se il sacrificio non viene
accettato, si sceglie un altro luogo».
Nei primi anni Novanta il mercato di Copargo era stato oggetto di una
feroce disputa locale che aveva condotto alla sua distruzione. Dopo la
ricostruzione i sacerdoti sostenevano che, a causa degli scontri, il mercato
«era partito» e pertanto era necessario andarlo a cercare per riportarlo al suo
posto. I sacerdoti incaricati fecero appello ai loro legami con le forze divine
per ritrovare lo spirito del mercato e ristabilire un ordine che era stato
turbato da eventi violenti. Il giorno stabilito il mercato venne riaperto con
l’esecuzione di alcuni sacrifici animali. Ancora oggi, di fronte al luogo del
vecchio mercato di Copargo, c’è un altare dove gli anziani vanno a fare dei
sacrifici perché il mercato si animi bene.
Nessun commento:
Posta un commento