L'Europa pianifica produzione e distribuzione del cibo per il profitto del mercato contro noi cittadini. Storia e prospettive dopo la sovranità alimentare perduta.
Il Passo del Brennero ha un’altitudine di soli 1372 metri. Nella Storia è
quindi stata una porta da e per l’Italia molto favorevole: è da qui che
passarono le legioni romane alla conquista dell’Europa e successivamente gli
imperatori tedeschi diretti a Roma dal Papa per ottenerne l’investitura. Ed è
da qui che oggi passa la maggior parte dei prodotti agroalimentari importati
dall’Italia. E’ stato quasi naturale per Coldiretti intensificare qui
simbolicamente la sua protesta, dopo aver intercettato agli inizi dell’aprile
scorso ben 17 mila kg di pane surgelato proveniente dalla Repubblica Ceca e
diretto ad Altamura in Puglia, patria del pane DOP.
E’ solo cronaca? Ovviamente no. Contestualizzare questa notizia, allargando
lo sguardo, ci permette di capire come ragioni la Commissione Europea –
che va ricordato, è il solo organo con potere legislativo ed esecutivo, il
Parlamento europeo non alcun ruolo politico decisivo.
Se guardiamo in modo separato le regolamentazioni, poi gli obiettivi ideali
che queste intendono perseguire, ed infine il concreto comportamento
dell’Europa nel settore agroalimentare complessivo, vediamo che innanzitutto
sembra esserci una netta divisione tra l’agroalimentare di qualità, il
cosiddetto “made in Italy” che si può fregiare dei marchi DOP, IGP e STG; e
quello destinato al “grande pubblico”, all’alimentazione di massa, quella
quotidiana di sopravvivenza.
Quando l’Europa “immagina” l’agroalimentare nelle sue politiche si
riferisce a quello di qualità, per il quale sono previste le norme che
conosciamo ed, effettivamente, ne beneficia in termini di alcune tutele. Numeri
alla mano abbiamo:
– 170 prodotti
DOP
– 126 prodotti IGP
DOP e IGP sono prodotti legati al territorio dei quali è provata l’origine
storica. A differenza del DOP, l’IGP può avere ingredienti non di quell’area
specifica a cui si riferisce; ad esempio la Bresaola della Valtellina è un IGP
in cui la carne può provenire da una diversa area geografica ma la lavorazione
deve essere fatta in Valtellina secondo tradizione.
– 2 prodotti STG che sono la mozzarella e la pizza napoletana.
I prodotti SGT non sono legati al territorio, è importante solo che seguano
la ricetta tradizionale che ha ottenuto il marchio SGT.
I prodotti DOP e IGP beneficiano di alcune importanti deroghe: non sono
sottoposti ad alcune regole in materia sanitaria, di igiene, produzione e
conservazione e gli viene garantito il rispetto di standard particolari di
produzione, come il caso di specifici processi di stagionatura che normalmente
sarebbero vietati.
Nei Trattati Internazionali che tante volte si citano con diffidenza, i
prodotti con questi marchi ottengono delle tutele ad hoc volte a favorirne la
diffusione e impedire importazioni di imitazioni con anche – in qualche caso –
la tutela da imitazioni in paesi terzi non europei.
Questo agroalimentare “made in” di qualità ha ovviamente, rispetto alla
produzione di massa, dei costi più elevati che si riversano poi sul prezzo
finale. Ma essendo prodotti di “lusso”, chi vuole quel prodotto DOP piuttosto
che IGP è anche disposto a pagare di più.
In questo contesto, è più comprensibile come le politiche del Green Deal
siano portate avanti in modo ideologico e poco realistico. Ideologia Green che
si traduce in costi maggiori sopportabili solo per quelle produzioni il cui
prezzo finale non è determinante per il consumatore, come appunto avviene per i
prodotti di lusso.
C’è poi l’agroalimentare quotidiano, di sopravvivenza, in cui il prezzo
finale del prodotto è un fattore quasi essenziale nella scelta del consumatore.
E qui valgono altre regole rispetto ai marchi protetti del “made in Italy” di
cui si è detto poc’anzi. Ora valgono le regole del mercato più competitivo.
Ed è questo che si spiega come mai
l’Europa seppur ne abbia la capacità, non persegua l’autosufficienza produttiva
alimentare. Comportamento in linea con il suo fine ultimo, ovvero il
privatizzare ogni aspetto della vita e dell’economia, e cioè consegnare alle
multinazionali il controllo di esse.
Ideologicamente, cosa sta facendo l’Europa? In nome di una idealizzata
“salvaguardia” del pianeta ha elaborato delle politiche ambientali racchiuse
nel cosiddetto Green Deal Europeo che entro il 2050 vuole
azzerare l’impatto ambientale dell’uomo sotto vari punti di vista,
dall’emissione di CO2 al consumo del suolo, all’inquinamento in generale
mediante la riduzione di fertilizzanti e pesticidi. L’insieme di queste
normative che considerate singolarmente ed isolatamente potrebbero essere
senz’altro condivisibili, hanno come risultato pratico una riduzione della
produzione, da cui si genera automaticamente un aumento del costo della stessa
e quindi del prezzo che paga il consumatore finale con il risultato di portare
molti prodotti a essere fuori mercato.
Una minore produzione genera scarsità di offerta a cui si deve far fronte
aumentando le importazioni a basso costo ed ecco che si spiega come sia
possibile per Coldiretti assistere all’invasione di prodotti agroalimentari
extra UE.
E’ un cane che si morde la coda: meno si produce più i prezzi salgono, più
si importa a basso costo per permettere alla gente normale di sopravvivere, più
le produzioni nazionali vanno fuori mercato. Così come per l’immigrazione
incontrollata che ha prodotto l’abbattimento dei salari, così l’importazione
massiccia sta determinando il fallimento delle piccole e medie imprese
agroalimentari. Sono effetti che in economia si conoscono e già osservati
empiricamente, quindi con un po’ di malizia potremmo azzardare a dire anche
voluti.
Perchè gli altri prodotti extra Ue sono per noi Europa a basso costo? Per
maggiore bravura? Per una semplice questione di cambio monetario favorevole?
Non solo. Lo sono soprattutto per l’asfissiante regolamentazione comunitaria che
impone sì un livello piu alto di sicurezza e qualità nei prodotti
agroalimentari, ma come detto causa anche problemi di bassa produzione e alti
prezzi. Che ideologicamente potrebbe anche andare bene, se non fosse che
l’eccellenza è pretesa dalle aziende europee, ma si importano poi prodotti
extra UE che da queste regole non ne sono danneggiati.
Coldiretti e tutto il sistema agroalimentare in questi mesi di protesta
puntano molto sul rispetto del concetto di “reciprocità delle regole”, ossia
sull’autorizzazione a importare solo quei prodotti che rispettano le normative
europee di produzione.
Molti dei paesi extra UE non rispettano, o per meglio dire, hanno regole
diverse più permissive rispetto l’Europa in materia di sicurezza alimentare,
ambientale e diritti dei lavoratori.
I numeri non sono di poco conto:
rispetto al fabbisogno complessivo la produzione nazionale è alquanto bassa
soprattutto in considerazione del fatto che per clima e territorio l’Italia
potrebbe essere molto vicina all’autosufficienza produttiva. E invece
produciamo solo il 36% del grano tenero, il 53% del mais, il 51% della carne
bovina, il 56% del grano duro per la pasta, il 73% dell’orzo, il 63% della
carne di maiale e dei salumi, il 49% della carne di pecora e di capra, l’84%
dei formaggi e del latte; tutto il resto per arrivare al 100% del fabbisogno
viene importato.
La Puglia, regione altamente adatta all’agricoltura è invece la 1° regione
del Sud per importazione di prodotti agroalimentari da paesi extra UE. Nel 2022
erano 1,7 miliardi i kg di prodotti importati, nel 2023 sono saliti a 3
miliardi con un aumento secco del 66%. Cifre folli per un territorio ad
altissima vocazione agricola di qualità e quantità. Estendendo questa tendenza
a tutto il territorio Italiano, si può capire quanto la situazione per le
aziende agroalimentari nazionali sia delicata e perchè stiano protestando.
Frutta e verdura egiziana invadono il nostro mercato. L’Egitto tratta le
Arance con il Clorpirifos un pesticida bandito in UE nel 2020. Dalla Turchia
arrivano nocciole che secondo il dipartimento del lavoro USA vengono prodotte
sfruttando il lavoro minorile. E l’asta per il frumento, sempre in Turchia,
affossa il prezzo di quello italiano, pugliese in particolare. Dall’Argentina
arrivano i limoni trattati con il pesticida PROPICONAZOLO, bandito nel 2019.
Dalla Cina arriva il concentrato di pomodoro che abbatte il prezzo di quello
italiano. Dal Sud Africa arrivano uva e arance. E il grano a bassissimo costo
dall’Ucraina, mentre dal Canada è essiccato con il glifosato, da noi bandito.
I semi di soia sono importati per l’84% (50% dal Brasile e il 35% dagli
USA), la farina di soia importata per il 97%.
Dal Marocco e Russia importiamo il 68% dei fertilizzanti fosfatici, questo
secondo uno studio fatto da Aretè per il parlamento europeo. Nella
pubblicazione “Atlas des Pestidices” (2023) scopriamo che il 25% dei pesticidi
usati in America e 149 dei 504 usati in Brasile, sarebbero in Europa banditi.
Da studi e analisi fatte dall’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza
Alimentare) nel 2023 sui residui di pesticidi di produzione e lavorazione,
anche nel prodotto finito ci sono rischi: il 6,4% dei prodotti importati sono
oltre i limiti di legge per residui chimici irregolari, rispetto lo 0,6% di
quelli italiani. 10 volte di più.
L’invasione di prodotti extra UE è poi
favorita dai trattati bilaterali commerciali siglati dalla UE con i vari
“blocchi” mondiali, cosi suddivisi:
– Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del
Pacifico
– Paesi delle Americhe
– Paesi dell’Asia e dell’Australasia
– Paesi del Medio Oriente e del Golfo
– Paesi EFTA – PEV (i cosiddetti Paesi
di vicinato, come l’Ucraina)
Trattati che (molto sinteticamente) tolgono dazi su determinati prodotti,
secondo un blando principio di reciprocità, e finiscono per favorire i prodotti
importati in quanto ciò che noi esportiamo non danneggia i paesi di
destinazione, mentre ciò che noi importiamo ci danneggia in quanto rende fuori
mercato i prodotti della nostra terra.
Questo perchè? Perchè mentre i paesi dai quali importiamo sono normalmente
produttori di materia prima e hanno bisogno del prodotto finito o semilavorato;
noi invece siamo allo stesso tempo sia produttori di prodotto finito che di
materia prima. E se usiamo la loro materia prima, togliamo spazio alla nostra.
Nel 2023 l’importo di cibo extra UE è stato della cifra record di 63
miliardi di euro, mentre l’export europeo verso il resto del mondo è stato di
210 miliardi di euro di cui 1/3 circa proveniente dall’Italia pari a 64
miliardi di euro. Dati Coldiretti.
A guadagnare da questo modello sono soprattutto le grandi multinazionali
dell’agrobusiness. Da quando i primi pesticidi sono entrati in commercio (anni
’50 circa), il prezzo del cibo è aumentato di 5 volte mentre il guadagno dei
contadini si è dimezzato.
Oltre che sulla salute, gli effetti negativi dell’uso massiccio di prodotti
chimici si manifesta anche nella perdita progressiva di biodiversità: i terreni
non vengono fatti riposare o alternati nella coltivazione in favore delle
monocolture piu redittizie diventando così aridi, necessitando quindi di sempre
piu prodotto chimico. Le piante invece diventano sempre meno capaci di
sopportare autonomamente le avversità climatiche ed i parassiti, come se
venisse loro indebolito il “sistema immunitario”.
Sin qui possiamo riassumere il quadro nel seguente modo:
– Il cibo di alta
qualità made in Italy viene in qualche modo protetto mediante i marchi DOP –
IGP e STG.
– Il cibo per
l’alimentazione quotidiana, di massa, mediante normative particolarmente
restrittive ed ideologiche viene sfavorito a vantaggio di quello di origine
extra UE.
A questo punto entra nel discorso un terzo livello, espressione dell’anima
fortemente tecnologica e transumanista dell’UE. Livello dietro al quale
potrebbe nascondersi uno dei sogni delle multinazionali dell’agroalimentare e
della chimica: la privatizzazione del cibo.
Obiettivo raggiungibile attraverso l’attuazione della PAC (Politica
Agricola Comune) all’interno della quale c’è l’Agricoltura 5.0 e la nuova
genetica green, denominata in Italia come TEA.
Cos’è la TEA? TEA è l’acronimo di “Tecnologie di Evoluzione Assistita” il
cui obiettivo/scopo è quello di aumentare la produzione di prodotto senza un
maggior impiego di mezzi di produzione, che sono fertilizzanti, pesticidi o
terreni da coltivare.
TEA è la versione vegetale del transumanesimo per l’uomo. E’ presentata
come la soluzione al problema climatico e produttivo, ovvero vista la tesi
dominante della bassa produzione causata dal cambiamento climatico e
dall’eccessivo consumo di suolo, è accettata da tutti con entusiasmo,
Coldiretti in primis; visto che ha già avuto modo di esprimere giudizi
favorevoli nei riguardi di queste nuove tecniche che rendono le coltivazioni
resistenti a parassiti e ad eventi climatici avversi.
Attraverso la modifica dei geni della pianta si otterrebbe di più e meglio
quello che sin ora si sta ottenendo con l’uso dei prodotti chimici.
Si presentano le TEA come perfette soluzioni a problemi come
l’approvvigionamento di cibo, materie prime, problemi logistici e geopolitici
che possono far lievitare i prezzi come successo con la guerra Ucraino-Russa o
durante l’emergenza Covid-19 (omettendo di considerare come i problemi avuti
siano stati in realtà manovre speculative della grande finanza).
Fondamentale notare come l’intero
settore dei pesticidi e delle sementi sia in mano a sole 4 grandi
multinazionali della chimica: Sygenta – Bayer – Corteva – Basf, che detengono
il 70% del mercato mondiale dei pesticidi e il 57% di quello delle sementi. Una
concentrazione e una commistione di interessi che gli fa detenere nei fatti la
sovranità alimentare mondiale.
Se alla proprietà delle sementi, che già oggi sono sterili ossia sono semi
che non generano altri semi costringendo il coltivatore a comprarne sempre di
nuovi anzichè – come sarebbe naturale – prenderli dalla pianta coltivata,
queste multinazionali sfruttando la TEA possono creare sementi e quindi
piante, secondo qualsiasi necessità o richiesta del mercato: da piante
resistenti a clima e malattie, a piante ipernutrienti o dalla iperproduzione di
frutti.
Essendo però tutta ricerca coperta da
brevetto, ed essendo la UE una entità fondamentalmente giuridica e non politica
(il suo “core” è favorire il
business privato delle Corporations) la TEA si può vedere anche come il
grimaldello col quale queste multinazionali arriverebbero alla privatizzazione
del cibo. Privatizzazione come risposta a problemi indotti artificialmente
dalle stesse politiche agricole della UE.
La parola “grimaldello” non è stata usata a caso. La privatizzazione del
cibo è già stata tentata attraverso il cosiddetto OGM, rifiutato dal
consumatore e opinione pubblica. Questo OGM rientra dalla finestra (di
Overton), attraverso la TEA che opera una sottile distinzione per renderlo
accettabile. Distingue il grado di intervento genetico in due livelli.
In entrambe le situazioni c’è un intervento sulla pianta con una modifica
ai suoi geni, però mentre negli OGM si ottiene un qualcosa che in natura non
sarebbe mai – o difficilmente – possibile, nel livello TEA la nuova
varietà di pianta sarebbe “fabbricabile” anche naturalmente, solo che avrebbe
bisogno di tantissimo tempo ed incroci diversi.
Una sottigliezza
linguistica che le multinazionali stanno usando per diversificare le normative
TEA e OGM.
Considerando anche la politica energetica che vuole trasformare gran parte
dei terreni agricoli in spazi dove produrre energie rinnovabili, rivolgersi a
queste nuove sementi private ultratecnologiche sarà l’unica strada da
percorrere se un’azienda del settore vorrà tentare di resistere sul mercato.
E quindi il consumatore che l’Europa ripete di voler tutelare come suo fine
ultimo, e per il quale verrebbe fatto tutto quanto, cosa puo’ e potrà scegliere
per mangiare? Cosa acquistare da mettere in tavola?
– Comprare cibi DOP o
IGP o biologici, se disponibili, pagando prezzi piu alti, se può permetterselo.
– Comprare cibi a
basso costo (che diventano a costo normale passando per grande distribuzione)
nutrizionalmente poveri.
– Orientarsi sui
prodotti di queste future nuove piante TEA, di cui ancora non si conoscono gli
eventuali effetti negativi sulla salute.
– Orientarsi sui nuovi
cibi green quali larve, vermi, grilli e cavallette e le loro farine che si
stanno affacciando sul mercato europeo.
Dopo averci fatto credere che il futuro era la grande distribuzione invece
del “pizzicagnolo” sotto casa, la grande azienda invece del vecchio contadino,
l’abbondanza vincente sulla stagionalità dei prodotti della propria terra, la
chimica migliore del ciclo naturale.. il cittadino consumatore cos’ha da dire?
Nessun commento:
Posta un commento