(intervista di Antonio Scali a Domenico De Masi)
Si spengono i computer, si svuotano gli uffici. Entra nel vivo la prima estate dopo la fine delle restrizioni per il Covid, che vedrà in partenza 30 milioni di italiani, secondo i dati di Confcommercio. Ma ci sono anche nove milioni di nostri connazionali che rimarranno a casa, perché non si possono permettere economicamente di viaggiare, come sottolinea una ricerca di Emg. A caratterizzare ancor più del solito quest’estate sono infatti i rincari, a cominciare dai trasporti. E così un volo Linate-Olbia può arrivare a costare più di uno da Milano a New York. Ammirare le bellezze del nostro Paese rischia quindi di diventare sempre più un lusso da ricchi. Temi che abbiamo affrontato con il professor Domenico De Masi, noto sociologo e professore ordinario alla Sapienza di Roma.
Professore,
come sono cambiate negli anni le abitudini degli italiani che partono per le
vacanze?
“Con l’avvento industriale si sono introdotte le ferie, e così il concetto del
riposo estivo si è esteso a tutte le classi sociali, per quello che prima era
un beneficio riservato all’alta borghesia. Gli operai andavano in vacanza nello
stesso periodo, secondo le caratteristiche della catena di montaggio. Si è
creato così questo rito, per cui tutti partivano il primo agosto e rientravano
alla fine del mese. Più di recente, l’aumento dei lavori di tipo intellettuale
ha fatto venir meno questa esigenza, e le ferie si sono spalmate nel corso
dell’estate”.
Quali sono
state le mutazioni più significative nel settore turistico?
“Innanzitutto è aumentato il numero di coloro che si spostano per vacanza. Le
cause sono molteplici: la crescita della popolazione mondiale, l’aumento della
ricchezza, l’allungamento della vita media, lo sviluppo del turismo legato alla
salute o allo studio, l’incremento della scolarizzazione e della conoscenza
dell’inglese. E ancora lo sviluppo dei mezzi di trasporto e il massiccio
ricorso allo smart working, che spinge molte persone nel tempo libero a
spostarsi lontano da casa. Ci sono poi cambiamenti che riguardano la qualità e il
metodo nel fare turismo. Oggi i turisti nel mondo sono 1 miliardo e 600
milioni: un business che cresce di quasi il 7% all’anno. Così le zone più
altamente turistiche sono piene di visitatori durante tutto l’anno, per cui
molte strutture ricettive rimangono aperte anche al di là dei mesi estivi”.
L’Italia,
naturalmente e storicamente votata al turismo, ha saputo adeguarsi a questi
cambiamenti?
“Nel 1970 l’Italia era il Paese più visitato al mondo. Oggi al primo posto c’è
la Francia, mentre noi siamo scesi al quinto posto, dietro la Cina. Nonostante
ciò, le grandi città italiane o le mete più note come la Costiera Amalfitana
sono letteralmente prese d’assalto. Ci sono per esempio zone di Roma in cui non
si riesce a camminare, o musei e luoghi di svago completamente saturi, per i
quali è necessario prenotare con largo anticipo. Il rapporto tra numero di
turisti e strutture ricettive è totalmente sbilanciato. D’altronde il turismo
rappresenta il 15% del nostro Pil”.
Questo boom
di presenze, concentrate in un ristretto periodo di tempo, fa sì che specie
nelle zone più in voga ci siano pochi posti e un forte aumento dei prezzi.
“Abbiamo ampiamente superato il livello di guardia. In questo modo aumenta
sempre più il divario tra i turisti miliardari e quelli comuni. Oggi, per
esempio, una suite in un noto albergo di Ravello arriva a costare 15mila euro a
notte. C’è quindi un gap enorme tra chi può godere di questo turismo esclusivo
e chi invece 15mila euro non arriva a guadagnarli in un anno”.
Le vacanze,
insomma, non sono alla portata di tutti.
“Aumenta però per paradosso il numero di chi se lo può permettere, pur essendo
diminuiti i visitatori locali. Ci sono magari meno italiani, ma sono cresciuti
i turisti provenienti da realtà in forte crescita economica come la Cina.
Possiamo considerarlo un privilegio di massa, se visto su scala globale”.
Una
soluzione può essere quella di cercare di destagionalizzare il turismo.
“Si scontrano in tal senso due proposte. Una possibilità è quella di porre una
barriera di tipo economico nelle località più inflazionate, e cioè far pagare
per poterci entrare. Non sono sicuro però che questa sia la soluzione giusta
per ridurre l’affollamento, visto che si tratterebbe comunque di una cifra irrisoria
e alla portata di molti. Per entrare al Pantheon, per esempio, adesso si pagano
cinque euro, una somma che di certo non scoraggia le masse. Per rendere
praticabile questa soluzione bisognerebbe alzare talmente tanto i prezzi da
permettere solo a pochi l’accesso alle città, ma questo cozzerebbe con il
carattere pubblico di tante opere d’arte che si possono visitare. L’altra
teoria prevede che non si possano mettere vincoli economici, perché tutti
devono poter ammirare le bellezze di Capri o Cortina. Insomma, il problema sta
diventando di difficile risoluzione”.
Esistono poi
vari tipi di turismo, da quello religioso a quello sanitario, da quello
enogastronomico a quello esperienziale.
“Possiamo individuare tre grandi categorie: il turismo di massa, che è quello
mordi e fuggi; il turismo familiare, di chi richiede comodità e tranquillità; e
infine il turismo di élite, di chi è disposto a pagare tanto ma in cambio vuole
qualità e servizi di alto livello. Questi tre turismi sono molto diversi tra
loro e uno esclude l’altro”.
Quali
pensa saranno quindi gli scenari futuri?
“In biologia si parla di omeostasi. Per fare un esempio, in un bel prato le
cavallette aumenteranno sempre più, finché non finisce l’erba e le cavallette
muoiono. Fuor di metafora, se si aumentano i prezzi – quindi si riduce l’erba
del prato – i turisti prima o poi caleranno. E riparte il ciclo. Ma sono
mutamenti che richiedono moltissimo tempo”.
Non sembrano
esserci dunque soluzioni all’orizzonte per riportare il tutto a una maggiore
normalità.
“Siamo entrati in un cul-de-sac. È quello che in sociologia si chiama
iper-oggetto, cioè un fenomeno che esce dalla governabilità. D’altronde non si
può ipotizzare di indicare quante persone si possono spostare o bloccare gli
ingressi. Al massimo, come dicevamo, si può far pagare, ma ormai la gente ricca
è molta e quindi per loro non sarebbe un freno. E poi bisogna considerare un
altro aspetto”.
Vale a dire?
“Così il turismo non è più un godimento, ma una battaglia. Abbiamo avuto due
anni di vuoto assoluto per il Covid, ma ora, con il ritorno alla normalità, ci
siamo fatti trovare impreparati. Nel complesso, quindi, è calata la qualità
della vita dei paesi che ospitano e dei turisti stessi. Ne risente anche la
popolazione locale, che spesso fa difficoltà a spostarsi da una parte all’altra
della città”.
Come sono
cambiate le nostre località turistiche per adattarsi a questo boom di presenze?
“I due fenomeni fondamentali sono l’irruzione della tecnologia e la
miniaturizzazione dell’accoglienza. Sono esplosi da ormai diversi anni i
b&b, che costano relativamente poco, si possono visitare e prenotare
comodamente da internet, sono in numero sempre crescente e fanno una
concorrenza agguerrita ai classici hotel. C’è però una differenza sostanziale
tra questo turismo mordi e fuggi e quello stanziale di un tempo, quando le
persone andavano in villeggiatura per uno o due mesi. Prima si creava un interscambio
culturale con le persone del posto. Nella logica del b&b invece c’è solo un
rapporto d’uso, non si crea un legame con la città”.
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