La crisi del Servizio Sanitario pubblico in Sardegna ha finalmente posto all’attenzione la necessità di riorganizzazione delle Cure primarie e territoriali.
Si parla giustamente di superare un
servizio sanitario basato sulla centralità dell’Ospedale. Si propongono
sostegno, incentivazione e creazione di Ospedali e Case di comunità, gestiti
nell’ambito della medicina territoriale. Nella pratica, invece, assistiamo
all’istituzione di Ospedali di comunità in sostituzione di reparti ospedalieri,
gestiti da personale medico e infermieristico, già dipendente ospedaliero.
Nulla di aggiuntivo.
Il PNRR, per poter concedere i
finanziamenti, impone la riorganizzazione della medicina territoriale. Per
ottenere tali finanziamenti è indispensabile prevedere l’istituzione di
innovative strutture socio sanitarie col compito di programmare l’attività
socio-sanitaria territoriale di prevenzione, diagnosi, cura e
riabilitazione, con programmi di gestione, a livello di Distretto
socio-sanitario, delle malattie croniche con maggior rilevanza sociale ed
epidemiologica, con adozione di forme di medicina d’iniziativa e
proattiva; favorire e gestire l’integrazione socio sanitaria; incentivare le
varie forme di associazionismo (Unità di cure primarie e medicina in rete dei
medici di base), la multidisciplinarità e multi professionalità nell’ambito
delle Case e degli Ospedali di comunità.
Per una corretta informazione va
ricordato che le prime Case della salute furono istituite nel 2008 (Assessore
alla sanità Dirindin). Nel 2015 inoltre si approvarono le linee di indirizzo
per la riorganizzazione delle Cure primarie (DGR del 12/10/2015) su proposta di
un tavolo tecnico di operatori sanitari che lavorò per circa due anni.
Purtroppo, queste linee di indirizzo
furono disattese e dimenticate. Esse prevedevano di incentivate le varie forme
di associazionismo medico: Unità di cure primarie (UCP) e medicina in rete; una
sperimentazione di integrazione tra questi modelli organizzativi e le Case
della salute finalizzate all’integrazione sociosanitaria; lavoro
multidisciplinare con infermieri e altre figure professionali; gestione delle
malattie croniche col modello del cronical care model. Furono
istituite nuove Case della salute in tutte le legislature che si sono succedute
(Giunte Soru, Cappellacci, Pigliaru e Solinas). Riproporre oggi la discussione
sulla costituzione di Case della salute (declinate a Case di comunità dal PNRR)
è certamente positivo anche se tardivo. Le proposte sono inserite negli atti
aziendali delle ASL, ma spesso sono solo teoriche o sostitutive di strutture
preesistenti.
I principi di superamento della
condizione ospedalocentrica sono solo enunciati nelle delibere regionali e negli
atti aziendali. Far lavorare assieme le varie forme di associazionismo medico
in ambito distrettuale con le Case di comunità è certamente utile e
indispensabile; ciò ancor oggi è ostacolato da imposizioni burocratiche e
limiti anacronistici. Bisogna passare dalle enunciazioni e dalla teoria alla
pratica, dotando le Case e gli Ospedali di comunità di personale sanitario
indispensabile per il loro funzionamento. Ma la realtà va in altra direzione,
altro che superamento della condizione ospedalocentrica.
La mancanza di medici di medicina
generale determina un grave arretramento rispetto alla situazione precedente,
nella quale, tra tante criticità c’era un preciso riferimento nel medico di
famiglia. In Sardegna sono state bandite 492 zone carenti. Come provvedimenti
emergenziali è stato innalzato il massimale degli assistiti a 1800 e sono stati
istituiti gli ASCOT (Ambulatori straordinari di comunità territoriale). Sono
scelte emergenziali che non possono diventare permanenti e sostitutive della
medicina territoriale. In alcuni casi si istituisce un ambulatorio che opera
una volta alla settimana per 12 comuni. Il tempo a disposizione è scarso,
l’ascolto è limitato e spesso impossibile, con conseguente decadimento della
qualità del lavoro per il medico e l’assistito.
I LEA (Livelli essenziali di assistenza)
sono disattesi in tutto il territorio regionale. Anche recenti indagini
confermano, con metodi validati, che circa il 20% dei sardi rinuncia alle cure.
Ancor più spesso i cittadini pagano direttamente le prestazioni. I pronto
soccorso sono in grave crisi organizzativa e di personale. Il servizio di
emergenza e urgenza si regge grazie alle associazioni di volontariato. Grave è
la mancanza di specialisti nei pronto soccorso (PS). La maggior parte dei PS e
dei reparti ospedalieri bloccano le ferie nel periodo estivo. Si fa ricorso
sempre più spesso a pratiche oggettivamente corruttive e antieconomiche per il
SSN, come i medici a gettone e in affitto reclutati da cooperative esterne –
costosissime per le ASL – per i codici meno gravi, che in condizioni ottimali
dovrebbero essere trattati nelle cure primarie, nel territorio: Distretti,
associazionismo medico, continuità assistenziale, Case di comunità, servizi di
prossimità.
Il ricorso alle prestazioni a pagamento
è in aumento a causa delle interminabili liste di attesa nel servizio pubblico.
L’abbandono delle cure e delle indagini di prevenzione oncologica collocano la
Sardegna agli ultimi posti nelle classifiche nazionali. Centinaia di comuni
sono senza assistenza di base, le zone carenti sono 492 (è il numero di medici
mancanti al 31/12/2022, oggi sono aumentati); circa un quinto dei sardi è senza
medico di base. I piccoli ospedali rischiano di chiudere. Anche gli ospedali
provinciali con DEA (Dipartimento di Emergenza, urgenza e accettazione) di
primo livello sono in grave crisi, compresi gli Ospedali con DEA di secondo
livello che rappresentano le eccellenze nazionali della sanità sarda (Brotzu e
Oncologico).
Ogni mese abbiamo in Sardegna oltre 200
decessi in più rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Tale numero è
destinato ad aumentare a causa delle carenze dei servizi sanitari, ora anche
delle condizioni climatiche, rispetto alle quali siamo impreparati. In questa
grave situazione il Presidente Solinas e l’Assessore Doria propongono la
realizzazione di quattro nuovi ospedali in Sardegna, depotenziando quelli
esistenti. Mi sembra una proposta demagogica e avventuristica.
Dopo aver enunciato il superamento
dell’ospedale – centrismo, in una situazione disastrosa della medicina
territoriale, affrontata solo con risposte emergenziali, si ripropone la
costruzione di nuovi ospedali. Si vorrebbero accentrare gli ospedali nelle
grosse città, svuotando ulteriormente il territorio. Non basta enunciare la
gestione delle malattie croniche dove vivono gli assistiti, secondo il modello
del Cronical care model; bisogna praticarla. Inoltre, richiamare
“capitali finanziari internazionali” per la gestione dei nuovi ospedali come
indicato nella delibera di Giunta del 1/6/2023, significa privatizzare interi
settori di queste strutture che dovrebbero realizzarsi con finanziamenti
pubblici.
Tutto ciò con una completa esautorazione
del Consiglio regionale. La Giunta regionale dovrebbe ritirare la delibera
approvata frettolosamente da una parte della Giunta, aprire un’ampia
discussione in Consiglio regionale e nella società sarda per individuare una
seria programmazione con un Piano sanitario regionale triennale adeguato
all’emergenza sanitaria con proposte a breve e lungo termine. La
programmazione sanitaria non è estemporanea, deve essere decisa dai sardi nel
complesso con le rappresentanze istituzionali, gli operatori sanitari, le
associazioni dei malati, non da lobby economico-finanziarie internazionali che
operano tra la Lombardia e la Sardegna.
La partecipazione dei cittadini non può
essere enunciata nelle delibere per ottenere i finanziamenti, deve essere
praticata permettendo ai tanti Comitati per il diritto alla salute, nati in
questi anni, di esprimere il parere e proposte dei cittadini, amministratori e
Comitati di partecipazione.
Stiamo assistendo a un apparente ritorno
all’ospedale – centrismo, con posti letto ridotti, con un servizio sanitario
ulteriormente indebolito in favore del sistema sanitario privato, allo
smantellamento del SSN, introducendo forti elementi di privatizzazione, con una
pericolosa commistione tra pubblico e privato, col risultato di socializzare i
costi della sanità e privatizzare i profitti della speculazione economica,
finanziaria e di edilizia sanitaria.
Secondo la proposta Solinas-Doria la
salute cessa di essere un diritto e viene considerata solo una merce di
scambio. La causa principale della crisi sanitaria è da attribuirsi alla forte
pressione delle lobby della sanità privata che individua in essa il settore più
importante e redditizio nella nostra epoca. La sanità privata non si accontenta
di avere un ruolo integrativo rispetto alla sanità pubblica, vuole assumere un
ruolo sostitutivo. La sanità pubblica gratuita e universalistica rappresenta un
ostacolo da ridimensionare ed eliminare.
La mancanza di programmazione sanitaria
favorisce oggettivamente la voracità delle lobby finanziarie. Quando tutto sarà
privato, saremo privati di tutto. Questa è la sanità che ci propone questa
Giunta regionale.
Le soluzioni adottate per far fronte
alla emergenza sanitaria, non sono sufficienti e non possono essere scambiate
per programmazione sanitaria; si deve partire innanzi tutto dalla
valorizzazione e dal rafforzamento dell’esistente nella sanità pubblica (troppi
ospedali sono sottoutilizzati); è improrogabile una concreta e realistica
riorganizzazione delle cure primarie e territoriali con la salvaguardia di
tutte le strutture esistenti.
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