Le terre rare sono indispensabili per la transizione
ecologica, ma la loro estrazione comporta elevati costi per l'ambiente e i
diritti umani
Spesso senza
accorgercene, abbiamo a che fare ogni giorno con le terre rare. E
questa affermazione sarà ancora più vera in futuro, perché questi elementi
chimici sono indispensabili per le tecnologie legate alla transizione
ecologica. Ma chi garantisce che i minerali presenti nei nostri smartphone, o
nei pannelli solari sui nostri tetti, non siano stati estratti danneggiando
in modo irreversibile l’ecosistema o la salute della popolazione? Su
questo tema, ci sono ancora ben poche garanzie.
Cosa sono le
terre rare
Le terre
rare – in inglese Rare Earth Elements, REE – sono un gruppo di 17
elementi chimici. Le loro proprietà magnetiche e conduttive li rendono
perfetti per l’industria tecnologica green. Il gruppo include lo scandio (Sc),
l’ittrio (Y) e l’intera serie dei lantanidi, gli
elementi chimici dal numero atomico 57 al 71 della tavola periodica.
Indispensabili per creare magneti permanenti, fibre ottiche e batterie
ricaricabili, le terre rare sono fondamentali per l’industria delle auto ibride ed elettriche, ma anche per costruire turbine eoliche e pannelli solari. Sono i metalli delle
nuove tecnologie. Si trovano nei computer e nei touchscreen, servono per realizzare le
fibre ottiche e i laser delle apparecchiature mediche. Infine, sono impiegate
anche nella tecnologia militare di difesa, ad esempio per la realizzazione di radar.
I processi
di estrazione e di raffinazione delle terre rare sono molto
complessi. Il termine, infatti, non fa riferimento a una loro scarsa
diffusione. Nella crosta terrestre il cerio è presente tanto
quanto il rame e i due elementi più rari della serie (tulio e lutezio)
sono 200 volte più abbondanti dell’oro. I minerali rari si definiscono tali
perché è difficile estrarli. Non esistono, infatti, giacimenti di
sole terre rare. Queste si trovano, in basse concentrazioni, all’interno di
altri minerali, associate ad altri elementi o sotto forma di ossidi, carbonati,
silicati e fosfati. I processi di separazione dei singoli elementi sono,
pertanto, complessi e richiedono l’impegno di potenti solventi come acido cloridrico e acido nitrico.
Quali sono i
maggiori produttori di terre rare
A oggi il
mercato è dominato dalla Cina che produce circa il 60% delle
terre rare mondiali, ne lavora e raffina il 90% e detiene il 37% circa delle
riserve mondiali. Tra i maggiori produttori troviamo poi gli Stati
Uniti con il 12,3% circa, il Myanmar con il 10,5%
e l’Australia con il 10%. Il fatto che a dominare l’offerta
globale di questi elementi sia la Cina desta non poche preoccupazioni per le
principali economie globali. Restrizioni o interruzioni dell’approvvigionamento
potrebbero causare seri danni alle alle industrie e ai piani di
decarbonizzazione. Oltretutto, a causa dei fragili equilibri geopolitici,
il prezzo delle terre rare sta aumentando. Proprio per questo,
molte nazioni stanno cercando fonti di approvvigionamento alternative.
Così la Cina
ha spostato il “problema” in Myanmar
Nell’agosto
2022 la ong Global Witness, attraverso una nuova indagine, ha rivelato che le miniere
illegali in Myanmar costituiscono la principale fonte di
approvvigionamento mondiale di terre rare. L’industria estrattiva di minerali
rari si concentra nella regione semi-autonomia del Kachin, al
confine con la Cina. Qui le immagini del satellite Planet hanno individuato
2.700 vasche color ciano, situate dove prima c’era solo foresta.
Nel 2016 il
governo cinese ha dovuto chiudere la maggior parte delle
miniere presenti sul suo territorio per via delle loro conseguenze devastanti
su ambiente e popolazione. Per continuare a rifornire il mercato globale, però,
ha esternalizzato la produzione di terre rare in Myanmar.
Inviando nel Kachin 16mila operatori cinesi del settore per avviare le miniere,
nonché i reagenti chimici necessari per il processo di estrazione.
Stando
all’indagine di Global Witness, sembra che le miniere costituiscano
un’importante fonte di finanziamento per la giunta
militare che nel febbraio del 2021 ha preso il potere in Myanmar,
rovesciando il governo democratico guidato dalla Lega Nazionale per la
Democrazia (NLD). La stessa giunta militare che da due anni reprime in maniera violenta
ogni forma di dissenso. Quando la Cina ha spostato oltreconfine l’estrazione
di terre rare, infatti, non ha coinvolto in nessun modo quello che all’epoca
era il governo centrale. È stata la milizia a capo della regione a concedere i
permessi di sfruttamento dei terreni, spesso confiscandoli alla popolazione
locale.
Le
implicazioni politiche, ambientali e umane delle miniere in Myanmar
L’indagine
di Global Witness considera, inoltre, l’impatto sull’ambiente e sulla salute
della popolazione locale. Il processo di estrazione e separazione dei metalli
rari implica, innanzitutto, il disboscamento del fianco della
montagna. Poi, una volta perforato il terreno in vari punti, si introducono dei
tubi in polivinilcloruro (Pvc) con cui iniettare solfato di ammonio per
rendere la terra liquida. In seguito, la soluzione che percola alla base si
raccoglie in vasche aperte di color ciano dove i minerali si
depositano sul fondo. Una volta completato il processo di liscivazione,
il sito viene abbandonato e si passa all’area
successiva. Lì, si l’intero processo riparte da capo.
Il
disboscamento comporta erosione e instabilità del terreno, nonché la scomparsa
di uccelli e animali selvatici. Inoltre, a causa delle sostanze
chimiche rilasciate dalle vasche di liscivazione nell’aria, nel suolo e
nell’acqua, le comunità locali e i minatori rischiano problemi
respiratori o gastrointestinali, oltre che disturbi agli occhi e alla
pelle. Nei fiumi della regione la popolazione non può più nuotare o pescare. Il
cibo coltivato nelle zone adiacenti alle miniere resta invenduto.
Vigilare sui
fornitori di terre rare è responsabilità delle aziende
La rete di
azionisti attivi Shareholders for Change (SfC) ha
scelto anche le terre rare tra i suoi temi di engagement, cioè di dialogo con le aziende.
Nel 2019 ha dato vita a un un progetto che è
durato fino a inizio 2023 e che ha coinvolto un team di esperti internazionali.
Di cosa si
occupa Shareholders for Change
L’iniziativa
si focalizza su 12 imprese dei settori eolico, automobilistico
o chimico. Nella prima fase, si è concentrata sulla disclosure,
cioè sulla trasparenza in materia di monitoraggio dei fornitori, procedure in
caso di non conformità, tecniche di recupero e riciclo. Nella seconda fase
invece gli azionisti attivi hanno invitato il management ad assumere specifici
impegni (commitment). L’obiettivo è quello di minimizzare il rischio che
queste imprese acquistino metalli rari la cui estrazione ha inquinato falde
acquifere o causato problemi di salute nella popolazione.
Tra i vari
risultati emersi, spicca la necessità di nuove normative e sussidi pubblici
che aiutino le imprese a perseguire precisi obiettivi di verifica di fornitori
e riciclo.
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