La mediazione civile e commerciale in Italia quest’anno ha compiuto tredici anni, e sono stati anni di grande crescita, durante i quali gli operatori del diritto e i cittadini, pur con l’iniziale diffidenza, hanno imparato ad apprezzarne i benefici. Oggi, la mediazione, anche grazie alle integrazioni apportate dalla riforma Cartabia, rimane la scelta più efficace, per chi intende risolvere una controversia in modo positivo e costruttivo per tutte le parti, e lo è per almeno cinque motivi, di cui proponiamo la lettura. - Grig
Fin dalle
origini della piccola, lenta ma inesorabile rivoluzione del nostro ordinamento
giuridico, avviata con l’introduzione della mediazione civile e
commerciale ad opera del d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28, tale istituto è
stato generalmente vissuto come un mero obbligo, uno dei tanti adempimenti da
assolvere nel lungo cammino del cittadino verso la giustizia. In realtà,
la mediazione civile è sempre stata, e oggi lo è più che mai, una preziosa
opportunità offerta a tutte le persone che si trovano coinvolte, loro malgrado,
in un conflitto e intendono risolverlo in modo soddisfacente, risparmiando
tempo, energie e risorse economiche.
Un’opportunità che va colta, con convinzione, per almeno cinque validi motivi:
1) La soluzione è nelle mani delle parti, ed è quella
giusta.
Quante volte si sente parlare di sentenze “ingiuste”? Quante volte le persone
coinvolte in un processo lamentano di non essere state ascoltate? Quante volte,
le stesse persone, pur avendo ottenuto una sentenza favorevole, magari dopo
anni di udienze, di liti, di spese, si sentono comunque insoddisfatte per
l’esito del giudizio? Infinite.
L’esito di un processo, come sappiamo, non è mai scontato, non è mai certo e,
ahinoi, non sempre garantisce il soddisfacimento di quell’ideale di giustizia
al quale si aspira ogni volta che si sceglie di far valere le proprie ragioni
davanti ad un giudice.
E allora, che si fa? Si rinuncia a risolvere la questione? Assolutamente
no.
Per fortuna, da tempo il nostro ordinamento ha adottato e, con la recente
riforma Cartabia, potenziato, un metodo di risoluzione delle controversie
valido ed efficace, la mediazione civile. Si tratta di un metodo rientrante
nella c.d. “giustizia alternativa o complementare” come definita nella
relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, che
permette alle persone di trovare una soluzione condivisa al
loro conflitto. Una soluzione “giusta”.
In mediazione, infatti, non si sentirà mai parlare di accordo “ingiusto” o
iniquo, sarebbe una contraddizione in termini, poiché l’accordo è il risultato
del dialogo tra le parti, agevolato dal mediatore, con la fondamentale
collaborazione degli avvocati. Le parti sono, in un certo senso, padrone
del proprio destino, ossia hanno il potere, la facoltà e la responsabilità
di gestire la controversia in ogni aspetto, perfino di ampliarne i confini, sia
in senso oggettivo che soggettivo, a differenza di quanto accade nel giudizio
ordinario, nel quale l’oggetto è fisso e immutabile.
Quindi in mediazione le parti porteranno le proprie storie, le proprie
emozioni, le proprie esigenze e, naturalmente, le proprie richieste, e queste
verranno accolte e ascoltate, con un unico obiettivo comune: un accordo
“giusto” per tutti.
2)I tempi ridotti rispetto al processo.
In Italia, una causa civile, nei suoi tre gradi di giudizio, primo grado,
appello e ricorso in Cassazione, dura non meno di sette anni. L’art. 6, comma
1, del d. lgs. 28/2010, nella sua attuale formulazione stabilisce che “il
procedimento di mediazione ha una durata non superiore ai tre mesi, prorogabile
di ulteriori tre mesi dopo la sua instaurazione e prima della sua
scadenza con accordo scritto delle parti”. Pertanto, pur considerando
l’eventuale proroga concordemente decisa, le parti in mediazione hanno la
possibilità di raggiungere un accordo entro un termine massimo di sei
mesi.
3) Le conseguenze processuali (negative) in caso di mancata partecipazione
al procedimento di mediazione.
Se è vero che scegliere la mediazione è sempre conveniente, è altrettanto vero
che non sceglierla può comportare delle conseguenze negative piuttosto rilevanti sotto
il profilo processuale.
Innanzitutto, quando il procedimento di mediazione è condizione di
procedibilità della domanda giudiziale ai sensi dell’art. 5 del d.
lgs. 28/2010, il suo mancato esperimento comporta la dichiarazione di
improcedibilità della medesima da parte del giudice.
Ciò significa che, venendo meno un presupposto processuale fondamentale, ossia
l’esperimento del procedimento di mediazione, il processo, pur instaurato, non
potrà pervenire ad una pronuncia sul merito e il cittadino vedrà
preclusa ogni possibilità di far valere le proprie ragioni in giudizio.
Nello specifico, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di
mediazione, chi intende esercitare un’azione relativa a una controversia in
materia di:
– condominio;
– diritti reali;
– divisione;
– successioni ereditarie;
– patti di famiglia;
– locazione, comodato;
– affitto di aziende;
– risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria;
– risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della
stampa;
– contratti assicurativi, bancari e finanziari;
– associazione in partecipazione;
– consorzio;
– franchising;
– opera;
– rete;
– subfornitura.
Oltre a tale fondamentale presupposto, l’art. 12-bis del d. lgs. 28/2010,
introdotto dalla riforma Cartabia, specificatamente dedicato alle conseguenze
processuali della mancata partecipazione al procedimento di mediazione,
ribadisce la possibilità per il giudice di desumere argomenti di prova
nel successivo giudizio, ai sensi dell’art. 116, secondo comma del
codice di procedura civile, dalla mancata partecipazione senza
giustificato motivo al primo incontro di mediazione (art.
12-bis, comma 1).
Nei casi in cui la mediazione sia condizione di procedibilità, il
giudice:
– condanna la parte costituita che non ha partecipato
al primo incontro senza giustificato motivo al versamento all’entrata
del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio
del contributo unificato dovuto per il giudizio (art. 12-bis, comma
2);
– nei casi di cui al comma 2, con il provvedimento che definisce il giudizio,
se richiesto, può condannare la parte soccombente che non ha
partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte
di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel
massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento
di mediazione (art. 12-bis, comma 3);
– quando una delle parti è una pubblica amministrazione di cui
all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, quando
provvede ai sensi del comma 2, il giudice trasmette copia del provvedimento
adottato nei confronti di una delle amministrazioni pubbliche al pubblico
ministero presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti,
e copia del provvedimento adottato nei confronti di uno dei soggetti
vigilati, all’autorità di vigilanza competente, come nelle
ipotesi di banche o compagnie assicurative (art. 12-bis, comma 4).
4) I costi moderatie gli incentivi fiscali.
Un ulteriore aspetto che rende senza dubbio vantaggiosa la scelta della
mediazione civile è quello legato ai costi e alle spese della procedura e, non
da ultimo, agli incentivi fiscali, sui quali la riforma Cartabia ha inciso
fortemente, ampliandone i confini e prevedendo una più efficace
regolamentazione.
A tale proposito, è utile tenere presente che tutti gli atti, documenti
e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti
dall’imposta di bolloe da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi
specie o natura (art. 17, comma 1 del d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28) e che
il verbale contenente l’accordo di conciliazione è esente
dall’imposta di registro entro il limite di valore di centomila
euro, in precedenza fissato in cinquantamila euro (art. 17, comma 2 d. lgs.
n. 28/2010).
Inoltre, nell’ipotesi in cui una parte si trovi nelle condizioni di essere
ammessa al patrocinio a spese dello Stato, e la materia rientri tra
quelle per cui la mediazione è condizione di procedibilità ai
sensi dell’art. 5, comma 1 del d. lgs. 28/2010 e ai sensi dell’art. 5-quater,
comma 1 ossia nell’ipotesi di mediazione demandata dal giudice la
parte non dovrà versare alcuna indennità (art. 17, comma 6).
Oltre ai costi e alle spese ridotti, la mediazione è indubbiamente conveniente anche
sotto il profilo fiscale. Innanzitutto, quando viene raggiunto
l’accordo di conciliazione, alle parti è riconosciuto un credito
d’imposta commisurato all’indennità corrisposta ai sensi
dell’articolo 17, commi 3 e 4, fino a concorrenza di euro 600 (art. 20, comma
1) e nei casi di cui all’articolo 5, comma 1, e quando la mediazione è
demandata dal giudice, alle parti è altresì riconosciuto un credito d’imposta
commisurato al compenso corrisposto al proprio avvocato per
l’assistenza nella procedura di mediazione, nei limiti previsti dai parametri
forensi e fino a concorrenza di euro seicento (art. 20, comma 1).
5) Il titolo esecutivo.
L’accordo raggiunto in mediazione, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati
che le assistono, costituisce titolo esecutivo per
l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione
degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca
giudiziale (art. 12, comma 1, d. lgs. 28/2010).
Pertanto, nell’ipotesi in cui una delle parti non rispetti le statuizioni
dell’accordo, l’altra parte avrà la possibilità di farne valere il contenuto,
mettendolo in esecuzione.
Infine, oltre a prendere in considerazione i cinque motivi sopra illustrati,
nel momento in cui ci si accinge a scegliere se partecipare o meno a un
procedimento di mediazione, è opportuno chiedersi se l’obiettivo che si
persegue sia la ricerca a tutti i costi di torti e ragioni, mantenendo vivo un
conflitto che toglie energie e pace, oppure sia quello di risolvere il medesimo
conflitto in modo costruttivo e sano, per sé stessi e per tutte le persone
coinvolte nella vicenda.
Se la risposta è quest’ultima, allora va da sé che è giunto il momento di dare
alla mediazione una possibilità.
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