mercoledì 31 maggio 2023

Angeli del fango e di tutto il resto - Alessandro Ghebreigziabiher

 

Il primo a usare tale espressione fu l’inviato del Corriere della sera Giovanni Grazzini in un articolo datato 10 novembre del 1966 per definire i tanti giovani che in quell’anno giunsero da tutta Italia e anche dall’estero per aiutare la città e i suoi abitanti a rimettersi in sesto a causa di una tremenda alluvione (qui le immagini) dovuta a una successione di straripamenti del fiume Arno.

Da allora sono trascorsi quasi 60 anni e possiamo affermare senza tema di smentita che sulla natura problematica dei nostri territori, se così possiamo definirla, e soprattutto sulle nostrane gravi carenze in materia di prevenzione di tali sciagure, nonché nella cura, la verifica e il rinnovamento delle infrastrutture su cui si regge l’intero paese, ne sappiamo abbastanza.
Chiunque potrebbe rendersene conto in pochi secondi se dotato di una seppur lenta connessione internet.
Ciò nonostante, oggi anche più di allora le pagine dei giornali si riempiono dei nuovi angeli nella versione 2.0., con la passerella in galosce del presidente del consiglio stesso o di personaggi dello spettacolo, per finire di nuovo con i giovani e le persone comuni, ancora loro, sui quali si può dire solo qualcosa di buono.
Nondimeno, vi è un’ulteriore differenza rispetto a quei terrificanti giorni del ‘66, le cui immagini televisive o le drammatiche narrazioni radiofoniche lasciarono inorriditi milioni dei nostri concittadini del secolo scorso, tra genitori, nonne e zii.
Una differenza che è il prodotto di una consapevolezza ineludibile, il famoso senno di poi che ci dovrebbe permettere di avere la coscienza a posto all’indomani di tali tragedie, come minimo, o al meglio di ridurre i danni, per non dire il numero dei morti e degli sfollati. Ma non è affatto la norma, ahinoi, altrimenti…
Nel frattempo vi sono altri angeli che da allora si fanno il culo tutto l’anno, lontano dai flash dei fotografi assoldati per la propizia occasione.
Sto parlando, se non si è ancora capito, degli angeli del resto.
Gli angeli del petrolio, ovvero di coloro che per contrastarne gli effetti nocivi sulla vita di tutti noi si lordano quotidianamente dello schifo che non si nasconde nei barili, bensì nei cuori di chi lucra su milioni di vittime predestinate di guerre cosiddette civili pianificate a tavolino, per dirne una.
Gli angeli delle parole semplici e delle azioni facili, che potremmo fare tutti in ogni luogo e ciascun istante, che sfidano ingenuamente le gigantesche multinazionali dell’informazione e dell’energia anche solo per un singolo centimetro di ragione a discapito della dilagante e virale follia.
Gli angeli della terra, ma si può chiamarli più comunemente indigeni, che anche ora, in questo preciso istante, sono schierati a petto nudo di fronte ai proiettili del più forte di turno, il colonizzatore di ritorno che non se n’è mai andato.
Cadono, spesso, in quello stesso fango di cui sopra. In molti vi periscono, ma un attimo dopo ne arrivano degli altri. Perché ogni tanto, anche se di rado, si vince pure e questo cambia tutto. Dimostra che è possibile.
E poi gli angeli dell’acqua, che assurdamente lottano per convincere tutti gli altri che non ce ne sarà un’altra quando quella che abbiamo si sarà esaurita.
Gli angeli delle piante e di ogni specie vivente, come se fossero ormai dei dettagli assolutamente trascurabili, perché tanto li puoi avere in digitale, è compreso nel pacchetto, che fortuna!
Gli angeli del vento e della luce del sole, di tutto ciò che muove il pianeta tranne gli altri che non si smuovono dal divano, perché quelli sono furbi, eh? La sanno lunga, mica sono criceti o formiche. Sono piuttosto come quei disgraziati di topini, hai presente? Dai, quelli che sfrecciano nei labirinti da laboratorio e se imbeccano la strada giusta si guadagnano un pezzetto di formaggio. Quindi, se giunge l’ora e l’occasione giusta, si infilano i gambali e vanno a spalare il fango per un giorno. Ma quando giunge la sera e si spengono le luci, lo spettacolo è finito. Via il costume di scena e si torna a distruggere il pianeta come se niente fosse…

da qui

martedì 30 maggio 2023

PFAS: una legge limiti zero

             


              IN ITALIA È IN ATTO UN CRIMINE AMBIENTALE E SANITARIO

CHIEDI AL GOVERNO ITALIANO LA MESSA AL BANDO DEI PFAS

Clicca quiGreenpeace

L’Italia è teatro del più grave caso di contaminazione da Pfas del continente europeo. Perché il governo non interviene? Una seria minaccia per la nostra salute. Ma le aziende li usano ovunque. Mentre la nostra salute è a rischio, il governo dov’è? La nostra richiesta: chiediamo al governo di varare subito una legge che introduca il divieto di uso e di produzione dei Pfas in tutta Italia. L’ambiente e tutta la popolazione italiana deve essere protetta e tutelata dai Pfas. Non c’è altro tempo da perdere.

L’unico valore cautelativo della salute è la loro completa assenza nell’acqua destinata al consumo umano, negli alimenti, nel suolo e nell’aria.  Eppure non esiste una legge che ne vieti la produzione e l’utilizzo in Italia.

Eppure in Italia nella scorsa legislatura è stato presentato in Senato da Mattia Crucioli un Disegno di Legge che vieta la produzione, l’uso e la commercializzazione di PFAS o di prodotti contenenti PFAS, ne disciplina la riconversione produttiva e le misure di bonifica e di controllo. Insomma assume le istanze di tutti i Movimenti, Associazioni e Comitati, che da anni si battono per eliminare questi cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente indistruttibili, dalle acque, dall’aria, dagli alimenti, insomma dal sangue dei lavoratori e dei cittadini altrimenti ammalati e uccisi.

La puntata precedente di questo servizio del Movimento di lotta per la salute Maccacaro ha illustrato le situazioni Pfas in Lombardia, Toscana e Trentino

Anche in Lombardia l’emergenza PFAS è fuori controllo.

In Toscana ancora dati shock per i PFAS.

Pfas “inquinante perfetto” in Trentino.

Proseguiamo il servizio del Movimento di lotta per la salute Maccacaro, analizzando il Costo sociale dei Pfas, le Legislazioni internazionali che tentano di fronteggiare la calamità mondiale, il fallimento del Piano europeo di fronte alla controffensiva degli industriali inquinatori, in particolare della Solvay che non intende fermare le produzioni di Spinetta Marengo e blocca la Legge di messa al bando dei Pfas in Italia, viceversa le lotte delle Associazioni e dei Comitati, anche contro le complicità politiche istituzionali, i controllori e i controllati culo e camicia,  mentre addirittura le popolazioni neppure vengono sottoposte a monitoraggi sanitari, non ricevono in sede penale risarcimenti per i danni alla salute se non ricorrono a Cause civili.  

  

I profitti dei Pfas alle imprese, ma i costi sociali alle collettività.

Il costo del ripristino dei suoli e delle acque 

+  il costo del biomonitoraggio dell’inquinamento

+  il costo delle cure sanitarie dovute all’esposizione

=  IL COSTO SOCIALE

Se il COSTO SOCIALE DEI PFAS fosse pagato dall’azienda produttrice, ovvero se questi costi fossero incorporati nel prezzo di vendita, Solvay dovrebbe mettere in vendita i PFAS a circa 19mila euro al chilo. Invece il costo industriale degli PFAS è mille volte più basso: appena 19 euro al kg. Perché il prodigio? Perché il COSTO SOCIALE DEI PFAS è pagato dalla collettività. La collettività paga 1° sulla propria pelle e 2° con le proprie tasche.

Questi calcoli li ha realizzati l’ong belga ChemSec: a livello globale Il costo sociale degli PFAS ammonta a 17.500 miliardi di dollari ogni anno, mentre i profitti raggiungono quota 4.000 miliardi.

A conti fatti (a prescindere dai costi etici: morti e malattie che non hanno prezzo), all’umanità converrebbe vietare la produzione e l’uso dei Pfas. E’ quanto si era proposto per l’Italia il Disegno di Legge presentato dall’ex senatore Mattia Crucioli. Invece…

 

Limiti PFAS negli Usa.

Per i PFAS la legge dovrebbe prescrivere “LIMITI ZERO, cioè divieto di produzione, come già per amianto e DDT. Contro le leggi si battono le aziende produttrici, che per decenni hanno prima nascosto e poi negato e poi sminuito la tossicità e la cancerogenità degli “inquinanti eterni”, e che infine ne stanno promettendo le impossibili bonifiche.

L’Epa, l’Agenzia per la protezione ambientale americana, intende entro l’anno fissare il valore limite nell’acqua potabile dei “forever chemicals’ a 4 parti per mille, cioè un valore al limite di quanto gli strumenti siano in grado di misurare in modo affidabile, ma comunque ancora troppo alto per tutelare adeguatamente la salute. Infatti la ricerca scientifica ritiene che non esistano limiti sicuri per la salute per gli PFAS nell’acqua potabile.

I grandi inquinatori chimici osteggiano la legge che li espone a risarcimenti miliardari nei confronti degli enti locali e dei cittadini.

 

Il piano europeo sta fallendo.

Mentre in Italia, teatro del più grande caso di inquinamento da Pfas nel continente europeo, queste sostanze attualmente non sono neppure inserite tra i parametri da monitorare nelle acque destinate al consumo umano e la politica non se ne occupa, in Europa hanno chiesto di vietarne uso e produzione Germania, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Norvegia. E la Danimarca, partendo dai dati sulla sicurezza alimentare elaborati da Efsa nel 2020, ha già introdotto un limite per la somma di quattro sostanze Pfas (Pfoa, Pfos, Pfna e Pfhxs) pari a 2 nanogrammi per litro.

L’Unione Europea enuncia che sta per fissare nuovi parametri e nuove soglie per le concentrazioni di Pfas nell’acqua, nel cibo, nell’aria, nella terra e nel sangue degli esseri umani e viventi (animali compresi). Prevede di stabilire entro il 12 gennaio 2024 i limiti di rilevazione, i valori di parametro e la frequenza di campionamento. Ma la direttiva del 2020 non tiene conto dei più recenti parametri Efsa e non centra la soglia zeroInsomma questo piano europeo, pur proiettato nei tempi lunghi, sta fallendo: è quanto sostengono l’associazione ClientEarth e l’Ufficio Europeo per l’Ambiente (EEB) – una rete composta da 180 organizzazioni ambientaliste – sulla base di un loro rapporto che ha analizzato i progressi fatti ad un anno dalla messa a punto del progetto. Nell’aprile 2022, infatti, la Commissione europea aveva annunciato di voler sostanzialmente vietare numerose sostanze chimiche nocive presenti nei prodotti di largo consumo, pubblicando una tabella di marcia da cui emergeva che in un tempo relativamente breve migliaia di esse, a cominciare dai PFAS, dovrebbero appunto essere messe al bando. Purtroppo i progressi fatti nel corso di un anno si dimostrano ben poco rassicuranti. Secondo ClientEarth e EEB “la maggior parte dei fascicoli sono ancora in bozza e allo stato attuale centinaia di migliaia di tonnellate di sostanze tossiche all’anno sono destinate a sfuggire ai divieti”.

La colpa?  Nelle “pressioni esercitate dall’industria chimica” che condizionano atteggiamento della Commissione europea: di par suo incline a regolamentazioni lente e deboli, vanificando il piano che – se concretizzato – vieterebbe “più sostanze chimiche dannose che in qualsiasi altra parte del mondo”.

 

Il macigno di Solvay e Confindustria su governo e parlamento.

L’Italia si è ancor più accomodata sul rallentatore (supermotion) europeo, tira e molla. Infatti, il Disegno di Legge “Crucioli” non è stato ripresentato mentre il piano, del decreto legislativo del 23 febbraio scorso sulle acque destinate al consumo umano, prevederebbe l’insediamento a giugno del Censia (centro nazionale per la sicurezza delle acque) che recepirebbe e renderebbe disponibili sul territorio le linee guida tecniche sui metodi analitici per quanto riguarda il monitoraggio dei parametri  (Pfas – totale e somma di Pfas) compresi i limiti di rilevazione, i valori di parametro e la frequenza di campionamento, che la Commissione europea prevede  di stabilire entro il 12 gennaio 2024. Infine, entro il 31 dicembre 2024 il disegno di legge in discussione in parlamento dovrebbe divenire effettivo.

L’influenza della Confindustria (cioè Solvay) in parlamento è stata decisiva sul decreto scorso e intende ancor più esserlo per il disegno di legge. Solvay a Spinetta Marengo è determinata a non fermare nell’immediato le lucrosissime produzioni di PFAS (C6O4) e a non migrare verso sostanze alternative se non in tempi lunghi e fissati da lei. Nel contempo sa, al di là della propaganda, che i metodi di osmosi inversa e carboni attivi per bonificare i Pfas sono inefficaci e addirittura pericolosi (Co2) e comunque hanno costi troppo elevati per le proprie casse.

Dunque prende tempo e fa proselitismo istituzionale e mediatico“Potenziare, con il coinvolgimento del sistema universitario ed industriale, la ricerca scientifica su tutti gli aspetti del fenomeno (diffusione di utilizzo, effetti sulla salute, sostanze alternative, etc.); promuovere, stanziando risorse pubbliche adeguate, la ricerca di molecole in grado di sostituire i Pfas;  incentivare, stanziando risorse pubbliche adeguate, la sperimentazione delle tecnologie che consentiranno di abbattere efficacemente e a costi sostenibili i Pfas; promuovere, sulla base dei risultati delle sperimentazioni, l’approvazione delle Bat (migliori tecnologie disponibili) per l’abbattimento dei Pfas e dei limiti di scarico; introdurre limiti allo scarico dei Pfas esclusivamente a seguito dell’individuazione, nell’ambito della sperimentazione, delle tecnologie e delle metodologie adottabili ed approvate a livello europeo dalle opportune Bat”.

Come si vede, Solvay a Spinetta Marengo è determinata a non fermare nell’immediato le lucrosissime produzioni di PFAS (C6O4): “Per i Pfas andiamo verso lo zero tecnico. Il percorso è per la dismissione dei fluoropolimeri entro ottobre 2026”. “La bonifica è a buon punto”. “Il sistema di tutela ambientale dentro e fuori lo stabilimento è ok”. “Altre vasche a carboni attivi e osmosi inversa grandi come campi di calcio” ecc.   Per il resto, la strategia futura è altrettanto volutamente confusa: “Impianto prototipi Aquivion con innovativa tecnologia di produzione di materiali per membrane polimeriche, che si integra in una filiera dell’idrogeno verde sostenibile, rinnovabile e carbon free, che punta anche allo sviluppo per l’automotive”. “A Bollate nuovo laboratorio ‘Dry Room’ per batterie al litio, nell’ambito di ricerca, sviluppo e commercializzazione di polimeri speciali utilizzati nella fabbricazione di batterie al litio, in stretta sinergia operativa con lo stabilimento produttivo Solvay di Spinetta Marengo”. L’unica cosa concreta sono i finanziamenti pubblici.

La riprova del peso della Solvay sulla politica si è visto nella conferenza alla Camera dei deputati (clicca qui) delle Associazioni e dei Comitati che hanno presentato il Manifesto europeo per l’urgente  messa al bando dei Pfas (clicca qui) e chiesto al Parlamento una ancor più urgente legge per la messa al bando dei Pfas in Italia (alla stregua del Disegno di Legge “Crucioli”). Infatti alla conferenza era completamente assente la maggioranza del Parlamento, cioè il governo.

 

Da sempre evitati gli esami del sangue della popolazione per evitare l’incriminazione della Solvay. Perciò: via alle cause civili.

Per questa strategia di temporeggiamento, a livello piemontese Solvay sa di poter contare da sempre sulle amministrazioni di tutti i colori politici e sindacali. 

In Piemonte i monitoraggi del sangue dei Pfas ai cittadini non sono mai stati effettuati, mentre quelli ai lavoratori li ha fatti privatamente l’azienda e ne ha secretato gli enormi valori finchè rivelati da noi alla magistratura.  Dopo che noi abbiamo organizzato e gli abbiamo sbattuto in faccia lo studio condotto dall’Università di Liegi (Belgio), che ha evidenziato l’avvelenamento dei Psas nel sangue dei lavoratori della Solvay e dei cittadini di Spinetta Marengo, ebbene l’assessore regionale alla Sanità e il sindaco di Alessandria si erano incontrati per fare il punto sul “caso Solvay” e concordare le iniziative.

Come ha ricevuto dal sindaco Giorgio Abonante (centrosinistra) garanzie che non intende emettere -come gli competerebbe- ordinanza di fermata delle produzioni inquinanti dello stabilimento, l’assessore Luigi Icardi (centrodestra) aveva illustrato le seguenti iniziative.

La Regione ha destinato all’Asl di Alessandria un finanziamento di 340 mila euro per effettuare nuovi campionamenti su matrici animali ed alimentari. Ha deliberato un piano di biomonitoraggio sulla popolazione (in programma nei primi mesi del 2023) che prevederà, nei soggetti a rischio, oltre alla ricerca dei Pfas, anche la valutazione di alcuni parametri sanguigni, quali ad esempio il colesterolo. Per tale iniziativa è stato previsto un primo finanziamento di 70 mila euro.

E’ evidente, anche per quelle ridicole cifre, che non sono previste analisi del sangue a tappeto su tutta la popolazione di Spinetta e Alessandria. Mancano perfino i medici di base, altro che indagini epidemiologiche.

In questo squallore, un minuscolo spiraglio di luce perviene dal Progetto H2020 – Scenarios, inserito nel programma Horizon 2020 Framework Programme che ha visto un contributo di quasi 12 milioni di euro complessivi e che comprende 19 organizzazioni di 10 Paesi europei, oltre a Israele, Usa e Canada, e vede come partner strategico l’Azienda Ospedaliera di Alessandria. Secondo questo progetto pilota, un campione di 80 abitanti del Montecastello, Comune distante chilometri dalla Solvay e che è stato costretto alla chiusura dell’acquedotto per avvelenamento da PFAS, sarà sottoposto ad analisi del sangue e delle orine. Un progetto pilota lontanissimo da un monitoraggio di massa della popolazione alessandrina.

Il livello di complicità della classe politica si è recentemente ripetuto nel corso di un Consiglio comunale di Alessandria, dove i consiglieri si sono trovati su ciascun banco un fiore con il nome di un cittadino morto di cancro per colpa della Solvay e, commossi, hanno subito provveduto ad un minuto di silenzio dedicato ai morti “un fiore per ogni vita volata via”. Poi hanno votato -all’unanimità- per l’“Osservatorio ambientale della Fraschetta” (di cui neppure hanno letto la nostra elaborazione degli anni ’80) e un emendamento di “indirizzo a tutti gli enti locali e nazionali” ai quali sbolognare la patata bollente. Campa cavallo…

Cioè, rispettivamente, alla Regione di sottoporre tutta la popolazione agli esami del sangue per risarcirla dei danni alla salute, e al Parlamento di chiudere le produzioni della Solvay di Spinetta Marengo. “Occorrono tempo e pazienza” ha raccomandato il sindaco Abonante ai cittadini che intanto si ammalano e muoiono “non sono cose che si possono fare in pochi mesi”. Soprattutto che non vuole fare lui.

Invece non c’è tempo e pazienza.  Così facciamo partire in sede civile le cause contro Solvay per risarcire le Vittime: ammalati e morti fra i lavoratori e i cittadini. A questo punto è automatico che partirà il monitoraggio della popolazione. Come avvenne nel 2004 negli Stati Uniti per DuPont: in pochi mesi 70 mila persone effettuarono le analisi del sangue. 

 

Discriminazioni nei controlli sierologici in Veneto.

Se le istituzioni piemontesi hanno sempre evitato di effettuare le analisi del sangue della popolazione, al fine di evitare l’incriminazione della Solvay, in Veneto la Regione ha comunicato l’avvio a maggio dei controlli ai cittadini della “Zona arancione”: per accedere al dosaggio dei PFAS devono contattare la centrale Screening Pfas dell’azienda Ulss di competenza.  Il costo della prestazione è di 90 euro a persona.

Si tratta di una discriminazione in quanto il dosaggio è previsto in maniera attiva e gratuita ai soli cittadini dell’“Area Rossa” e non a quelli di altre aree del territorio regionale. L’Area Rossa è stata individuata quale area di massima esposizione sanitaria a partire dai risultati del primo studio di biomonitoraggio condotto dalla Regione del Veneto in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, mentre i cittadini dell’Area Arancione erano risultati contaminati con concentrazioni sieriche di Pfas inferiori rispetto ai residenti dei Comuni dell’Area Rossa.

Dunque per molti cittadini della Zona Arancione questi screening a 90 euro sono economicamente improponibili: si dovrebbero sottoporre intere famiglie che, se hanno figli al di sotto dei 9 anni e componenti al di sopra dei 65 anni, devono anche pagare la prestazione per intero.

Per quanto riguarda i cittadini della “Zona Rossa”, l’attività di sorveglianza offerta alla popolazione ha riguardato 106 mila persone che hanno ricevuto un invito per il primo turno (round) di chiamata, 22 mila al secondo round.

 

Controllati e controllori culo e camicia. Le testimonianze di Billot e Balza.

Lo Spisal di Vicenza era il servizio di prevenzione igiene e sicurezza dell’Ulss dipendente dalla Regione Veneto, competente sul controllo negli ambienti di lavoro. La documentazione inedita che ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare ha contenuti dirompenti. Perché dimostra che Spisal era informata dei livelli di Pfas presenti nel sangue dei lavoratori, tuttavia non erano stati effettuati controlli tali da individuare criticità nella gestione dei reparti della Miteni di Trissino. A nascondere la tragicità della salute dei lavoratori, il medico della Miteni, Giovanni Costa, nella sconcertante corrispondenza si dimostra “culo e camicia” con l’azienda: toni tra confidenti, scambi di dati e informazioni, reazioni preoccupate o ironiche, anticipazioni reciproche sugli esiti dei dati dei monitoraggi di dipendenti della Miteni e della popolazione della zona rossa. Clicca qui e clicca qui.

Se a Spisal sostituiamo Spresal dell’Asl di Alessandria dipendente dalla Regione Piemonte, e a Miteni di Trissino sostituiamo Solvay di Spinetta Marengo, non fatichiamo a intravvedere la coeva situazione di Alessandria. In comune troviamo il dottor Giovanni Costa

 Lino Balza può testimoniare e documentare in tribunale di aver denunciato pubblicamente le responsabilità del Costa già dal 2009 con l’accusa di occultare la gravità della condizione sanitaria dei lavoratori e dei cittadini ingannando l’ignavia dell’Arpa. Costa, pur conoscendo tutti gli studi (quarantennali) e i divieti e i risarcimenti internazionali nonchè i livelli ematici di avvelenamento riscontrati fra i lavoratori, invece di chiedere per primo il bando della sostanza inesistente in natura, vende la sua autorità per reiterare rassicurazioni – mentendo anche in scandalose assemblee con i lavoratori- che essa non provoca malattie, tumori/ malformazioni/ alterazioni sessuali…  ma sarebbe pressoché innocua o benefica all’uomo. L’abbiamo invano sfidato ad un confronto pubblico tramite un fondamentale documento (depositato in Procura) articolato in 24 dettagliatissimi punti / capi di imputazione quanto meno morali…

Il ruolo di Giovanni Costa, da affrontare sul piano penale (doloso o colposo?), viene a galla anche dalla testimonianza al processo di Vicenza di Robert Bilott, l’avvocato statunitense che ha fatto emergere il primo caso al mondo di inquinamento PFAS. Nel 1999 viene fatto uno studio sullo Pfoa e gli effetti sulle scimmie a cui lavorano i colossi del settore (Dupont, 3M e la stessa Miteni). Emergono gravi danni. 3M decide di bloccare la produzione di Pfoa. Dupont resta senza fornitore negli Stati Uniti, e chiede a Miteni, altro fornitore, le sue intenzioni. La risposta è “Andiamo avanti, anzi incrementiamo“.

 

Questo significa che già nel 2000, Ausimont (che a Spinetta sta cedendo l’attività a Solvay) e Miteni a Trissino sapevano della pericolosità delle sostanze chimiche. In particolare Giovanni Costa, medico delle aziende tanto a Spinetta che a Trissino, c’era lui nello studio sulle scimmie. Sempre lui era il responsabile delle analisi del sangue sui dipendenti. Dunque non può non essere coinvolto nei filoni d’indagine sui danni alla loro salute. 

 

Billot: Miteni conosceva i rischi ma addirittura aumentò la produzione. Ora via alle class action.

Quando 3M, fornitore americano, si tirò indietro decidendo di non voler più produrre quelle sostanze perché tossiche, l’azienda di Trissino fece il contrario: confermò alla DuPont che ne avrebbe aumentato la produzione.

Nella sua testimonianza al tribunale di Vicenza, l’avvocato Robert Billot depone: «Mi ha chiamato Wilbur Tennant nel 1998 perché le sue mucche continuavano ad ammalarsi. È poi emerso che a confine della proprietà c’era una discarica della DuPont che riversava nel terreno e nelle acque di un ruscello gli scarti contaminati da Pfoa e Pfos, sostanze che utilizzava per produrre il teflon dal 1951 e che comprava dalla 3M in Minnesota». Fin dai primi anni gli scienziati si erano preoccupati del loro impatto, essendo prodotti antropici molto forti composti da fluoro e carbonio. «Nei primi anni ’60 iniziarono gli esperimenti sugli animali che mostrarono diversi problemi. Fu poi 3M nel 1975 a campionare per la prima volta il sangue dei suoi dipendenti, trovando la presenza di Pfoa e Pfos. Due anni dopo si accorse che non solo erano presenti, ma aumentavano nel tempo. Per questo decise di informare DuPont, che iniziò a campionare anche i suoi lavoratori. Intanto nel 1981 uno studio sui ratti di 3M mostrò delle problematiche agli occhi. Così DuPont, facendo una verifica tra i bambini nati da poco da sette donne dipendenti, ne trovò due con malattie legate alla vista che avevano Pfoa nel sangue. Non comunicarono i sospetti ai loro lavoratori, dissero soltanto loro di non donare il sangue».

Gli studi andarono avanti, DuPont e 3M si resero conto che gli animali sviluppavano tumori. Le sostanze erano tossiche e 3M decise di dire tutto all’Epa, l’agenzia americana per la protezione ambientale. Siamo nel 1999 e viene organizzato un meeting con le aziende che producono o utilizzano queste sostanze, tra cui Ausimont di Spinetta Marengo. Lì erano state esposte le preoccupazioni in merito ai Pfas e venne formato un gruppo di scienziati che iniziò degli studi sulle scimmie: gli effetti furono gravi. Dalle parole di Bilott si apprende che tra questi c’era anche il dottor Giovanni Costa della Miteni e dell’Ausimont«Visti i risultati 3M decise di sospendere la produzione. Miteni no, decise invece di incrementarla per far fronte alla richiesta di DuPont».  

Nei primi anni 2000 anche Miteni e Solvay iniziarono campionamenti di sangue dei dipendenti, sempre sotto la responsabilità del dottor Costa. «In quei campioni si vedeva la presenza di Pfoa e un particolare aumento di colesterolo. Quest’ultimo sarebbe solo uno degli effetti causati dai Pfas nel sangue a detta dei dodici studi epidemiologici americani realizzati tra il 2005 e il 2012 da quello che venne chiamato il Gruppo Scientifico C8. Oltre al colesterolo indicavano anche cancro ai testicoli e al rene, colite ulcerosa, problemi in gravidanza e disfunzione della tiroide» conclude il legale statunitense.

Insomma, mentre in Usa si sospendono le produzioni, in Italia si raddoppiano. Mentre in Italia cadono nel vuoto gli allarmi partiti da Alessandria, in USA – racconta Billot – la ‘class action’ avviata nel 2001 si chiuse nel 2004 con un accordo tra le parti civili: «DuPont e 3M hanno accettato una commissione di esperti indipendenti che ha valutato i rischi per la salute umana. In pochi mesi 70 mila persone hanno effettuato le analisi del sangue grazie ai 70 milioni di dollari erogati da DuPont. Poi è iniziato uno screening sulla popolazione a rischio dal 2005 al 2012 e ora possiamo dire che il Pfoa può causare tumore ai testicoli, tumore ai reni, colite ulcerose, gravi problemi alla tiroide, alti livelli di colesterolo e compromettere la fertilità nei maschi ecc.».

Insomma, tanto ad Alessandria che a Vicenza, accanto ai processi penali, è necessario aprire cause civili per risarcire le Vittime.

Clicca qui in video anche un commento su Byoblu.

 

Disponibile a chi ne fa richiesta, il  Dossier “Pfas. Basta!” è una piccola enciclopedia che racconta la storia in Italia delle lotte contro gli inquinatori Solvay e Miteni, dalle denunce degli scarichi in Bormida degli anni ’90 fino ai processi ad Alessandria e Vicenza. Una lunga storia di mobilitazioni anche contro connivenze, complicità, corruzioni, ignavie di Comuni, Province, Regioni, Governi, Asl, Arpa, Sindacati, Magistratura e Giornali.

 

Messaggio di pace e salute a 39.202 destinatari da Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro tramite RETE AMBIENTALISTA - Movimenti di Lotta per la Salute, l’Ambiente, la Pace e la Nonviolenza

Nel rispetto del Regolamento (UE) 2016 / 679 del 27.04.2016 e della normativa di legge. Eventualmente rispondi: cancellami.

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lunedì 29 maggio 2023

Una marèa montante di pale eoliche incombente sulla Marmilla - Grig

 

Sardegna, paesaggio agrario

Il land grabbing di casa nostra.

A chi interessa parlare di land grabbing in Marmilla?

Il fenomeno crescente del land grabbing – l’accaparramento di terreni a uso agricolo, pascolativo o boschivo – viene generalmente collocato nell’Africa sub sahariana, in Asia, nell’America Latina e riguarda la pratica di acquisire in proprietà, in affitto o in concessione vaste estensioni di territorio da parte di società di capitali, governi o anche singoli imprenditori con la finalità di destinarli a un utilizzo esclusivo a fini produttivi.

Non vi sono molti dubbi sul fatto che ponga in pericolo la tutela degli interessi nazionali dei vari Paesi alla sovranità e alla sicurezza nel campo dell’approvvigionamento alimentare, in quanto le popolazioni locali perdono il controllo delle risorse naturali del proprio territorio, in particolare i terreni agricoli e boschivi, nonché l’acqua.

Il land grabbing è giustamente fortemente criticato e avversato in campo economico e sociale.

Memorabile la trasmissione “Corsa alla terra” di Report (18 dicembre 2011) con cui Milena Gabanelli, allora conduttrice, fece conoscere il fenomeno agli Italiani.   

Ma tante sacrosante contestazioni avverso il land grabbing nei Paesi del Terzo Mondo e un assordante silenzio su quanto sta accadendo in Italia, dove ampie zone stanno ormai perdendo le loro caratteristiche naturalistiche, agricole, storico-culturali, la stessa identità, ad opera dell’accaparramento dei terreni per l’installazione di centrali eoliche e fotovoltaiche da parte di società energetiche.

Altrettanto memorabile la puntata di Report I Fossilizzati (17 aprile 2016) si era trasformata in uno spot del servizio pubblico per i progetti di centrali solari termodinamiche del Gruppo Angelantoni da realizzarsi nelle campagne sarde piuttosto che nelle estese aree industriali dismesse, dove il sole batte ugualmente: espropri e calci in culo agli indigeni, insomma land grabbing di casa nostra, senza che ciò meritasse un minimo cenno.

No, queste cose non si devono raccontare agli Italiani, perché deve imperare la vulgata in favore della speculazione energetica.

Eppure avviene da tempo anche in Europa, anche in Italia.

Decine e decine di migliaia di ettari di terreni agricoli, pascoli, boschi spazzati via, paesaggi storici degradati, aziende agricole sfrattate, questo sta diventando il panorama in larghe parti della Sardegnain Puglianella Tusciain Sicilia.

Consumo del suolo che nemmeno risolve i problemi di un fabbisogno energetico neppure adeguatamente verificato.

Land grabbing di casa nostra.

Forze politiche, intellettuali, gran parte dell’informazione, una bella fetta dello stesso mondo ambientalista ormai adepto senza se e senza ma della divinità eolica e fotovoltaica se ne fregano completamente.

In Marmilla, oggetto ormai di numerosi progetti di centrali eoliche con decine e decine di aerogeneratori alti più di 200 metri, il fenomeno è incombente.

Ma parlare di land grabbing in Marmilla non è cool.

Sardegna, paesaggio agrario

Centrali eoliche in Marmilla.

Recentemente l’associazione ecologista Gruppo d’intervento Giuridico (GrIG) ha, quindi, inviato (7 aprile 2023) un atto di intervento con “osservazioni” nel procedimento di valutazione d’impatto ambientale (V.I.A.) relativo al progetto di centrale eolica “Luminu proposto in località varie della Marmilla e del Sarcidano nel paesaggio agrario-archeologico alle pendici della Giara, nei Comuni di Barumini, Escolca, Gergei, Las Plassas, Villanovafranca, Genoni, Gesturi, Nuragus (SU).

Diciassette aerogeneratori alti oltre 200 metri (potenza 6,6 MW ciascuno, complessivamente 112,2 MW), sbancamenti, viabilità, cavidotti, cabine elettriche in area agricola, attraversata da vari corsi d’acqua, a ridosso della Giara, del Monte San Mauro e dell’area archeologica di Su Nuraxi (Barumini), rientrante nel Patrimonio mondiale dell’Umanità su dichiarazione UNESCO del 1997.

Ora il GrIG ha inviato (28 maggio 2023) un nuovo atto di intervento con “osservazioni” nel procedimento di valutazione d’impatto ambientale (V.I.A.) relativo al progetto di centrale eolica “Serras, proposto dalla società torinese Asja Serra s.r.l. in varie località agricole della Marmilla, nei Comuni di Sardara, Villanovaforru, Sanluri e Lunamatrona (SU)

Presenza di vincolo culturale e vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), presenza di aree (Giara di Siddi) rientranti nella Rete Natura 2000,   Inoltre, la centrale eolica sorgerebbe ben dentro la fascia di rispetto estesa tre chilometri dal limite delle zone tutelate con vincolo e/o con vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), posta dall’art. 47 del decreto-legge n. 13/2023 (c.d. decreto PNRR) convertito con integrazioni e modificazioni nella legge n. 41/2023, in attesa della prevista individuazione delle aree non idonee all’installazione degli impianti di produzione energetica da fonte rinnovabile.

Presenza, inoltre, di altri analoghi progetti e impianti già realizzati, per cui necessita la valutazione cumulativa degli impatti ambientali, come richiesto da norme e giurisprudenza in materia.

Il GrIG ha chiesto al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica di esprimere formale diniego alla compatibilità ambientale dell’impianto in progetto e ha informato, per opportuna conoscenza, il Ministero della Cultura, la Regione autonoma della Sardegna, la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Cagliari e i Comuni interessati.

Questi ultimi sono decisamente contrariati (per non dire altro). 

E hanno pienamente ragione, perchè così dovrebbero salutare qualsiasi prospettiva di turismo naturalistico e culturale (in zona oltre 110 mila turisti nel periodo gennaio – settembre 2022).

centrale eolica

I motivi del “no” al Far West energetico in Sardegna.

Ripetiamo ancora, essere a favore dell’energia prodotta da fonti rinnovabili non vuol dire avere ottusi paraocchi, non vuol dire aver versato il cervello all’ammasso della vulgata dell’ambientalismo politicamente corretto.

E’ proprio il caso della trasformazione della Sardegna in piattaforma produttiva destinata alla servitù energetica, come esplicitato chiaramente da Terna s.p.a. e avallato dall’allora Ministro della Transizione Ecologica Antonio Cingolani.

Qualche sintetica considerazione.

Las Plassas, ruderi del castello giudicale (XII sec.)

L’amministratore delegato del Gruppo ENEL Francesco Starace, circa un anno e mezzo fa ha affermato che lo “scenario ipotizza l’installazione, a Thyrrenian link in esercizio, di un gigawatt di batterie e circa 4/5 gigawatt di potenza di rinnovabili in più rispetto a quanto abbiamo adesso. Oltre agli ovvi benefici ambientali, come la scomparsa di fatto dell’anidride carbonica prodotta dalle fonti fossili, un piano del genere svilupperebbe investimenti sull’intera filiera da qui al 2030 di 15 miliardi di euro, un indotto più che doppio e una occupazione tra i 10 e i 15mila addetti qualificati e specializzati”.

A oggi in Sardegna non esistono impianti di conservazione dell’energia prodotta, vi sono solo progetti non approvati, con l’eccezione di un impianto (sistema di accumulo a batterie – BESS) con potenza 122 MWrecentemente approvato all’interno della centrale elettrica ENEL di Portoscuso.

In Sardegna, se fossero approvati tutti i progetti di centrali per la produzione di energia da fonti rinnovabili, vi sarebbe un’overdose di energia prodotta, pagata dallo Stato, ma inutilizzabile.

Con la realizzazione del Thyrrenian Link, il nuovo doppio cavo sottomarino di Terna s.p.a. con portata 1000 MW, 950 chilometri di lunghezza complessiva, da Torre Tuscia Magazzeno (Battipaglia – Eboli) a Termini Imerese, alla costa meridionale sarda.   Dovrebbe esser pronto nel 2027-2028, insieme al SA.CO.I. 3, l’ammodernamento e potenziamento del collegamento fra Sardegna, Corsica e Penisola con portata 400 MW, che rientra fra i progetti d’interesse europeo.

Al termine dei lavori, considerando l’altro collegamento già esistente, il SA.PE.I. con portata 1000 MW, la Sardegna avrà collegamenti con una portata complessiva di 2.400 MW.  Non di più.

paesaggio agricolo

Pur non disponendo di dati ufficiali aggiornati, si può fare qualche considerazione in merito.

In Sardegna, al 20 maggio 2021, risultavano presentate ben 21 istanze di pronuncia di compatibilità ambientale di competenza nazionale o regionale per altrettante centrali eoliche, per una potenza complessiva superiore a 1.600 MW, corrispondente a un assurdo incremento del 150% del già ingente comparto eolico “terrestre” isolano. 

Complessivamente dovrebbero esser interessati più di 10 mila ettari di boschi e terreni agricoli da. un’ottantina di richieste di autorizzazioni per nuovi impianti fotovoltaici.

Le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) al 31 agosto 2021 risultavano complessivamente pari a 5.464 MW di energia eolica + altri 10.098 MW di energia solare fotovoltaica, cioè 15.561 MW di nuova potenza da fonte rinnovabile, a cui devono sommarsi i diciannove progetti per centrali eoliche offshore finora presentati,che dichiarano una potenza pari a 13.185 MW.

In tutto sono 28.746 MW, cioè quasi quindici volte i 1.926 MW esistenti (1.054 MW di energia eolica + 872 di energia solare fotovoltaica, dati Terna, 2021).

Significa energia che non potrà essere tutta utilizzata in Sardegna, non potrà esser trasferita verso la Penisola, non potrà essere conservata.  

Significa energia che dovrà esser pagata dal gestore unico della Rete (cioè lo Stato, cioè la Collettività di tutti noi) per essere in buona parte sprecata.

Gli unici che guadagneranno in ogni caso saranno le società energetiche.

Oliveto

Che cosa si potrebbe fare.

Cosa ben diversa sarebbe se fosse lo Stato a pianificare in base ai reali fabbisogni energetici le aree a mare e a terra dove installare gli impianti eolici e fotovoltaici e, dopo coinvolgimento di Regioni ed Enti locali e svolgimento delle procedure di valutazione ambientale strategica (V.A.S.), mettesse a bando di gara i siti al migliore offerente per realizzazione, gestione e rimozione al termine del ciclo vitale degli impianti di produzione energetica.

Siamo ancora in tempo per cambiare registro.

In meglio, naturalmente.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)


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