L’uranio presente in Niger, dove il 90% della popolazione non ha accesso alla corrente elettrica, produce il 35% dell’elettricità della Francia. La grande maggioranza delle miniere di uranio presenti nel Paese africano - quarto principale produttore di uranio al mondo - sono di proprietà di (e vengono gestite da) società francesi: milioni di litri di acqua sono consumati ogni giorno in queste miniere, mentre gli agricoltori locali cono costretti a combattere tra loro per le scarse risorse idriche rimanenti.
I rifiuti
dell’uranio raffinato in Francia vengono poi rispediti in Niger e in altri
paesi dell’Africa, dove migliaia di persone sono esposte alle radiazioni
provenienti dalle miniere di uranio. Tutto ciò contribuisce a rendere il Niger
uno dei paesi più poveri dell’Africa e, stando a Save the Children, «il
peggiore al mondo dove essere bambini».
A CIÒ SI AGGIUNGA che il 50% delle riserve monetarie di 14 Paesi africani (tra
cui il Niger) sono ancora oggi sotto il pieno controllo di Parigi: nessuno di
essi ha alcun controllo sulle proprie politiche monetarie e macroeconomiche. La
Francia ‘ottiene’ ogni anno da Paesi africani miliardi di euro sotto forma di
‘riserve monetarie’, salvo poi prestare parte di quegli stessi fondi ai
legittimi proprietari a tassi di mercato.
Questi pochi dati e brevi rilievi rappresentano lo specchio di una verità ben
più ampia: ancora oggi diversi Paesi europei, Francia in primis, controllano e
plasmano la vita di milioni di africani, - tre quarti dei quali vivono con meno
di 2 dollari al giorno - influenzandone il presente e il futuro.
Le corrotte leadership al potere in diversi paesi africani giocano un ruolo
significativo nel processo di implementazione di queste dinamiche: garantiscono
infatti la «stabilità» necessaria per portare avanti lo sfruttamento di milioni
di esseri umani e delle loro risorse naturali, ricevendo in cambio (tra molto
altro) miliardi di euro in armi, sovente utilizzate (anche) per schiacciare
ogni forma di dissenso interno. Non è forse un caso che il 61% dei 67 dei colpi
di stato avvenuti negli ultimi 55 anni in 26 paesi africani hanno avuto luogo
in ex colonie francesi.
LO SCORSO
MESE (novembre 2022) un gruppo di cittadini tanzaniani ha intentato una causa
presso un tribunale canadese contro il gigante minerario canadese Barrick Gold,
al fine di denunciare le violazioni dei diritti umani compiute in una miniera
d’oro (North Mara) presente nel loro Paese. Il caso tanzaniano rappresenta un
microcosmo di come funziona il sistema, ma, prima ancora, un vademecum degli
strumenti per combatterlo.
Cosa c’entra tutto ciò con i mondiali che si sono conclusi due settimane fa in
Qatar? Più di quanto possa sembrare. Come nel caso di altre ex potenze
coloniali e di altrettanti attori neo-coloniali, la Francia adotta un approccio
assimilazionista molto selettivo nei confronti delle persone di origine
africana, criticando altresì chiunque sottolinei le origini africane di Kylian
Mpappé (nato da madre algerina e padre camerunense) e di circa l’80% del resto
della squadra di calcio francese. Come ha sottolineato il conduttore televisivo
sudafricano Trevor Noah all’ex ambasciatore francese a Washington, Gerard
Araud: «Il contesto è tutto. Quando una persona come me fa presente che [i
giocatori francesi] sono africani, non intende sminuire il loro essere
francesi, bensì includere la mia africanità».
MENTRE PORRE
L’ENFASI anche sull’«africanità» dei calciatori dovrebbe essere percepita come
una legittima e necessaria espressione di onestà intellettuale (non ultimo in
considerazione delle cicatrici coloniali e dei loro riverberi attuali), nonché
di inclusività e rilevanza delle identità multiple, numerose politiche che
hanno interessato le comunità musulmane e le persone di origine africana
presenti in Francia riflettono il loro esatto opposto, ovvero un rifiuto
selettivo. Prendendo in prestito le parole del calciatore dell’Inter Romelu
Lukaku, «Quando le cose vanno bene sono un attaccante belga. Quando vanno male,
sono un africano».
CIRCA IL 32%
dei francesi di origine nordafricana - molto spesso relegati nei quartieri
simbolo dell’emarginazione sociale e dell’iniquità, noti come banlieues -
risultano disoccupati. Il 30% lascia la scuola senza diploma: sono dunque circa
il doppio di quelli che non sono nati da genitori immigrati. Come ha
documentato il Minority Rights Group International (MRG), molte delle
disuguaglianze figlie della storia coloniale francese persistono dunque ancora
oggi e sono «trasmesse alle giovani generazioni attraverso la mancanza di
opportunità e la loro continua esclusione».
Non meno
significativa è la questione che riguarda i musulmani: rappresentano appena
l’8% del totale dei cittadini francesi, eppure si stima che almeno il 50%
(alcune stime arrivano al 70%) della popolazione presente nelle carceri
francesi sia composta da musulmani: persone per lo più originarie di paesi
nordafricani.
Quelli
citati sono solo alcuni esempi tra molti altri. Ciascuno di essi ci ricorda che
l’inclusività iper-selettiva è l’antitesi dell’inclusività stessa. Tale
approccio strutturale rappresenta una tra le componenti più significative tra
quelle necessarie alla proliferazione di ciò che numerosi studiosi hanno
definito «neo-colonialismo». Il colonialismo, d’altronde, si alimentava del
medesimo presupposto: prendere, assorbire ed esaltare il meglio di altri popoli
- rigettando tutto il resto - e offrendo briciole in cambio.
È OPPORTUNO
AGGIUNGERE che, pur essendo storicamente meno coinvolti rispetto alla Francia,
anche gli Stati Uniti (che vantano 27 basi e avamposti militari in Africa e
stanno prendendo il controllo della filiera produttiva del rame e del cobalto
in paesi come lo Zambia e il Congo), la Cina (che ha 1 base militare a Gibuti e
sta, tra l’altro, decimando le foreste del Ghana), il Canada e, più di recente,
la Russia, sono quattro attori particolarmente rilevanti nella promozione di
pratiche neo-coloniali e di politiche discriminatorie che perpetuano
oppressione e disuguaglianze.
Eppure, come
hanno notato Ndongo Samba Sylla e Fanny Pigeaud in un nuovo libro sull’impatto
del Franco CFA, - nonché sull’ECO, la nuova moneta meglio nota come «il Franco
CFA sotto un altro nome» - la Francia è «l’unico paese al mondo a gestire a
priori e direttamente, seppur in modo opaco, un insieme di valute diverse dalla
propria».
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