venerdì 24 febbraio 2023

L’Africa depredata dietro l’ideologia dell’«aiutiamoli a casa loro» - Lorenzo Kamel

 

L’uranio presente in Niger, dove il 90% della popolazione non ha accesso alla corrente elettrica, produce il 35% dell’elettricità della Francia. La grande maggioranza delle miniere di uranio presenti nel Paese africano - quarto principale produttore di uranio al mondo - sono di proprietà di (e vengono gestite da) società francesi: milioni di litri di acqua sono consumati ogni giorno in queste miniere, mentre gli agricoltori locali cono costretti a combattere tra loro per le scarse risorse idriche rimanenti.

I rifiuti dell’uranio raffinato in Francia vengono poi rispediti in Niger e in altri paesi dell’Africa, dove migliaia di persone sono esposte alle radiazioni provenienti dalle miniere di uranio. Tutto ciò contribuisce a rendere il Niger uno dei paesi più poveri dell’Africa e, stando a Save the Children, «il peggiore al mondo dove essere bambini».
A CIÒ SI AGGIUNGA che il 50% delle riserve monetarie di 14 Paesi africani (tra cui il Niger) sono ancora oggi sotto il pieno controllo di Parigi: nessuno di essi ha alcun controllo sulle proprie politiche monetarie e macroeconomiche. La Francia ‘ottiene’ ogni anno da Paesi africani miliardi di euro sotto forma di ‘riserve monetarie’, salvo poi prestare parte di quegli stessi fondi ai legittimi proprietari a tassi di mercato.
Questi pochi dati e brevi rilievi rappresentano lo specchio di una verità ben più ampia: ancora oggi diversi Paesi europei, Francia in primis, controllano e plasmano la vita di milioni di africani, - tre quarti dei quali vivono con meno di 2 dollari al giorno - influenzandone il presente e il futuro.
Le corrotte leadership al potere in diversi paesi africani giocano un ruolo significativo nel processo di implementazione di queste dinamiche: garantiscono infatti la «stabilità» necessaria per portare avanti lo sfruttamento di milioni di esseri umani e delle loro risorse naturali, ricevendo in cambio (tra molto altro) miliardi di euro in armi, sovente utilizzate (anche) per schiacciare ogni forma di dissenso interno. Non è forse un caso che il 61% dei 67 dei colpi di stato avvenuti negli ultimi 55 anni in 26 paesi africani hanno avuto luogo in ex colonie francesi.

LO SCORSO MESE (novembre 2022) un gruppo di cittadini tanzaniani ha intentato una causa presso un tribunale canadese contro il gigante minerario canadese Barrick Gold, al fine di denunciare le violazioni dei diritti umani compiute in una miniera d’oro (North Mara) presente nel loro Paese. Il caso tanzaniano rappresenta un microcosmo di come funziona il sistema, ma, prima ancora, un vademecum degli strumenti per combatterlo.
Cosa c’entra tutto ciò con i mondiali che si sono conclusi due settimane fa in Qatar? Più di quanto possa sembrare. Come nel caso di altre ex potenze coloniali e di altrettanti attori neo-coloniali, la Francia adotta un approccio assimilazionista molto selettivo nei confronti delle persone di origine africana, criticando altresì chiunque sottolinei le origini africane di Kylian Mpappé (nato da madre algerina e padre camerunense) e di circa l’80% del resto della squadra di calcio francese. Come ha sottolineato il conduttore televisivo sudafricano Trevor Noah all’ex ambasciatore francese a Washington, Gerard Araud: «Il contesto è tutto. Quando una persona come me fa presente che [i giocatori francesi] sono africani, non intende sminuire il loro essere francesi, bensì includere la mia africanità».

MENTRE PORRE L’ENFASI anche sull’«africanità» dei calciatori dovrebbe essere percepita come una legittima e necessaria espressione di onestà intellettuale (non ultimo in considerazione delle cicatrici coloniali e dei loro riverberi attuali), nonché di inclusività e rilevanza delle identità multiple, numerose politiche che hanno interessato le comunità musulmane e le persone di origine africana presenti in Francia riflettono il loro esatto opposto, ovvero un rifiuto selettivo. Prendendo in prestito le parole del calciatore dell’Inter Romelu Lukaku, «Quando le cose vanno bene sono un attaccante belga. Quando vanno male, sono un africano».

CIRCA IL 32% dei francesi di origine nordafricana - molto spesso relegati nei quartieri simbolo dell’emarginazione sociale e dell’iniquità, noti come banlieues - risultano disoccupati. Il 30% lascia la scuola senza diploma: sono dunque circa il doppio di quelli che non sono nati da genitori immigrati. Come ha documentato il Minority Rights Group International (MRG), molte delle disuguaglianze figlie della storia coloniale francese persistono dunque ancora oggi e sono «trasmesse alle giovani generazioni attraverso la mancanza di opportunità e la loro continua esclusione».

Non meno significativa è la questione che riguarda i musulmani: rappresentano appena l’8% del totale dei cittadini francesi, eppure si stima che almeno il 50% (alcune stime arrivano al 70%) della popolazione presente nelle carceri francesi sia composta da musulmani: persone per lo più originarie di paesi nordafricani.

Quelli citati sono solo alcuni esempi tra molti altri. Ciascuno di essi ci ricorda che l’inclusività iper-selettiva è l’antitesi dell’inclusività stessa. Tale approccio strutturale rappresenta una tra le componenti più significative tra quelle necessarie alla proliferazione di ciò che numerosi studiosi hanno definito «neo-colonialismo». Il colonialismo, d’altronde, si alimentava del medesimo presupposto: prendere, assorbire ed esaltare il meglio di altri popoli - rigettando tutto il resto - e offrendo briciole in cambio.

È OPPORTUNO AGGIUNGERE che, pur essendo storicamente meno coinvolti rispetto alla Francia, anche gli Stati Uniti (che vantano 27 basi e avamposti militari in Africa e stanno prendendo il controllo della filiera produttiva del rame e del cobalto in paesi come lo Zambia e il Congo), la Cina (che ha 1 base militare a Gibuti e sta, tra l’altro, decimando le foreste del Ghana), il Canada e, più di recente, la Russia, sono quattro attori particolarmente rilevanti nella promozione di pratiche neo-coloniali e di politiche discriminatorie che perpetuano oppressione e disuguaglianze.

Eppure, come hanno notato Ndongo Samba Sylla e Fanny Pigeaud in un nuovo libro sull’impatto del Franco CFA, - nonché sull’ECO, la nuova moneta meglio nota come «il Franco CFA sotto un altro nome» - la Francia è «l’unico paese al mondo a gestire a priori e direttamente, seppur in modo opaco, un insieme di valute diverse dalla propria».

da qui

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