Abbiamo cominciato ad aggiungerle anche
quando non ci sono in natura. È un amore che viene da lontano, che ora però va
ridimensionato
Bollicine, sostantivo plurale: piccole
bolle di anidride carbonica che sciolte nell’acqua o in altre bevande le
rendono frizzanti. Per metonimia, vino spumante o champagne, da cui “brindare
con le bollicine”. Difficile spiegare l’insana passione della specie umana per
le bollicine, in tutte le possibili accezioni: acqua effervescente, bibite
gassate, fino ai più nobili perlage dei vini della Champagne (regione nel
nordest della Francia) o dei loro cugini italici.
Non è chiaro perché ci sembri più
dissetante l’acqua frizzante della liscia; perché la sensazione pungente delle
bollicine sul palato ci provochi piacere. Certo è che il nostro stesso lessico
riflette questa passione: frizzante è qualcosa di allegro, che suscita
interesse, solletica – una conversazione frizzante, un carattere effervescente.
Non tutte le bollicine però sono uguali.
Naturali, o artificiali? Prendiamo l’acqua: in natura non esiste pura, la H2O
porta sempre in sé tracce di sali, minerali, sostanze organiche e inorganiche
assorbite nel suo viaggi0 attraverso strati di terreno e di roccia prima di
risalire in superficie. Ci sono acque che sgorgano dal terreno bollenti,
fumanti, solforose; acque bullicanti (con le bolle, come la fonte naturale alle
porte di Roma nota fin dall’antichità), o frizzanti a causa dei sali che vi
sono disciolti.
Certe fonti sono state venerate dagli
antichi, a cui apparivano come misteri di natura, quasi miracolose per le loro
proprietà curative: oggi sappiamo che dipende tutto dalla conformazione
geologica degli strati di roccia che l’acqua ha attraversato. Sta di fatto che
nel corso della storia alcune sono state cercate per curare o per purificare
l’organismo e tonificare lo spirito. Acque termali in cui bagnarsi o da bere: e
quelle con bollicine sono da sempre le più ricercate.
Fin dal medioevo sappiamo di acque
minerali messe in boccette sigillate per essere vendute ai pellegrini come
medicinale o reliquia. Ma la moderna storia delle acque minerali comincia nel
diciannovesimo secolo, quando le località termali della vecchia Europa
diventano meta di un turismo facoltoso, dove il bel mondo frequenta eleganti
hotel con marmi e specchi alternando passeggiate con feste mondane, e bagni
salutari.
All’apice del turismo termale si afferma
anche l’abitudine di portare con sé bottiglie d’acqua di note fonti, le
francesi Evian o Vittel, la tedesca Apollinaris. Un consumo di lusso,
s’intende. Un lusso che varca l’oceano: pare (ma forse è solo un aneddoto) che
sia stato Benjamin Franklin, dopo un soggiorno termale quando era ambasciatore
in Francia, a importare per primo bottiglie dell’acqua che aveva tanto
apprezzato. Certo è che nel 1845 entra in commercio negli Stati Uniti la Poland
Spring, prima acqua minerale americana, estratta da una fonte nel Maine.
La più rinomata delle acque minerali però
sarà quella che viene da una fonte di Vergèze, non lontano da Nîmes, nel sud
della Francia: così ricca di anidride carbonica che le sue bollicine pizzicano
nel naso. La svolta avviene nel 1863, quando l’imperatore Napoleone III concede
a un medico, ex sindaco della cittadina, il permesso di vendere l’acqua di
quella fonte a cui fino ad allora tutti potevano attingere. Il dottor Alphonse
Granier organizza soggiorni curativi con docce e bagni di bollicine, e perfino
inalazioni.
L’affare funziona così bene che per
gestire la stazione termale assume un giovane collega interessato
all’idroterapia, Louis Perrier. A fine secolo il dottor Perrier, insieme a un
gruppo di investitori, comincia a imbottigliare quell’acqua frizzantissima e la
mette in commercio con il proprio nome. La pubblicizza come “la principessa
delle acque da tavola”, e il successo è travolgente. A cavallo del secolo
l’acqua Perrier sfonda nel mondo anglosassone, anche perché l’azienda viene
acquistata da tale St John Harmsworth, che aveva fatto fortuna con i giornali:
sarà lui a lanciare la Perrier nel Regno Unito come la cosa migliore da
miscelare al whisky. Il nuovo marketing fa della Perrier “lo champagne delle
acque in bottiglia”. Nel 1930, la Compagnie de la source de Perrier dichiara di
aver venduto 18 milioni di bottiglie (traggo queste notizie dalla bella storia
dell’acqua potabile di James Salzman, Drinking water. A history).
Da allora, il mercato dell’acqua in
bottiglia è cresciuto senza sosta – soprattutto da quando siamo stati convinti
che quella imbottigliata sia meglio di quella del rubinetto, perfino quando si
tratta di acqua liscia. Ma questo è successo negli ultimi trent’anni, ed è un
altro discorso.
Le bollicine sono talmente ricercate che
abbiamo imparato ad aggiungerle anche se non ci sono in natura. Così oggi è
“effervescente naturale” un’acqua che contiene anidride carbonica già alla
fonte, distinta da quella con “aggiunta di anidride carbonica”. La prima
contiene almeno 250 milligrammi di anidride carbonica per litro. Nell’altra, la
quantità può variare (ma di norma va sottoposta a diverse verifiche, in
particolare sul contenuto di sali). Per il resto cambia solo il gusto di chi la
beve, in tutte le varianti dal leggermente frizzante all’esplosione che pizzica
nel naso, all’acqua “fatta in casa” con le bustine (chi ricorda l’Idrolitina?) o più
modernamente con macchinette della soda. Il risultato è pur sempre acqua.
Dissetante, digestiva? Miti. Le bollicine
di gas “stimolano i recettori del gusto sulle papille gustative, simulando un
effetto anestetizzante che, anche se di breve durata, può dare una sensazione
di freschezza”, leggiamo nelle schede della fondazione Umberto
Veronesi. La sensazione che l’acqua frizzante disseti di più è appunto una
sensazione.
Né si può dire davvero che sia digestiva,
sebbene molte acque si pubblicizzino come tali: sembra che anche questa sia
solo una sensazione dovuta all’espulsione del gas dopo aver bevuto. In compenso
non è ingrassante, tutt’al più gonfia un po’ lo stomaco. Fanno ingrassare
invece le bibite gassate, vera passione insana del mondo contemporaneo: non per
il gas, ma per gli zuccheri e i sali che contengono, una delle cause della
moderna epidemia di obesità.
Freschezza illusoria
Le sensazioni però contano: quell’effetto
di freschezza sul palato sarà illusorio, ma è potente. Tanto che l’industria
dell’acqua in bottiglia è diventata gigantesca, per non parlare delle bibite,
con miliardi di litri venduti ogni anno, per lo più in bottiglie di plastica
monouso che andranno a inquinare mari e discariche.
L’estate scorsa però acqua e bibite
gassate hanno cominciato a scarseggiare, perché la filiera industriale
dell’anidride carbonica si è inceppata…
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