lunedì 6 febbraio 2023

La passione per le bollicine è sempre meno sostenibile - Marina Forti

 

Abbiamo cominciato ad aggiungerle anche quando non ci sono in natura. È un amore che viene da lontano, che ora però va ridimensionato

Bollicine, sostantivo plurale: piccole bolle di anidride carbonica che sciolte nell’acqua o in altre bevande le rendono frizzanti. Per metonimia, vino spumante o champagne, da cui “brindare con le bollicine”. Difficile spiegare l’insana passione della specie umana per le bollicine, in tutte le possibili accezioni: acqua effervescente, bibite gassate, fino ai più nobili perlage dei vini della Champagne (regione nel nordest della Francia) o dei loro cugini italici.

Non è chiaro perché ci sembri più dissetante l’acqua frizzante della liscia; perché la sensazione pungente delle bollicine sul palato ci provochi piacere. Certo è che il nostro stesso lessico riflette questa passione: frizzante è qualcosa di allegro, che suscita interesse, solletica – una conversazione frizzante, un carattere effervescente.

Non tutte le bollicine però sono uguali. Naturali, o artificiali? Prendiamo l’acqua: in natura non esiste pura, la H2O porta sempre in sé tracce di sali, minerali, sostanze organiche e inorganiche assorbite nel suo viaggi0 attraverso strati di terreno e di roccia prima di risalire in superficie. Ci sono acque che sgorgano dal terreno bollenti, fumanti, solforose; acque bullicanti (con le bolle, come la fonte naturale alle porte di Roma nota fin dall’antichità), o frizzanti a causa dei sali che vi sono disciolti.

Certe fonti sono state venerate dagli antichi, a cui apparivano come misteri di natura, quasi miracolose per le loro proprietà curative: oggi sappiamo che dipende tutto dalla conformazione geologica degli strati di roccia che l’acqua ha attraversato. Sta di fatto che nel corso della storia alcune sono state cercate per curare o per purificare l’organismo e tonificare lo spirito. Acque termali in cui bagnarsi o da bere: e quelle con bollicine sono da sempre le più ricercate.

Fin dal medioevo sappiamo di acque minerali messe in boccette sigillate per essere vendute ai pellegrini come medicinale o reliquia. Ma la moderna storia delle acque minerali comincia nel diciannovesimo secolo, quando le località termali della vecchia Europa diventano meta di un turismo facoltoso, dove il bel mondo frequenta eleganti hotel con marmi e specchi alternando passeggiate con feste mondane, e bagni salutari.

All’apice del turismo termale si afferma anche l’abitudine di portare con sé bottiglie d’acqua di note fonti, le francesi Evian o Vittel, la tedesca Apollinaris. Un consumo di lusso, s’intende. Un lusso che varca l’oceano: pare (ma forse è solo un aneddoto) che sia stato Benjamin Franklin, dopo un soggiorno termale quando era ambasciatore in Francia, a importare per primo bottiglie dell’acqua che aveva tanto apprezzato. Certo è che nel 1845 entra in commercio negli Stati Uniti la Poland Spring, prima acqua minerale americana, estratta da una fonte nel Maine.

La più rinomata delle acque minerali però sarà quella che viene da una fonte di Vergèze, non lontano da Nîmes, nel sud della Francia: così ricca di anidride carbonica che le sue bollicine pizzicano nel naso. La svolta avviene nel 1863, quando l’imperatore Napoleone III concede a un medico, ex sindaco della cittadina, il permesso di vendere l’acqua di quella fonte a cui fino ad allora tutti potevano attingere. Il dottor Alphonse Granier organizza soggiorni curativi con docce e bagni di bollicine, e perfino inalazioni.

L’affare funziona così bene che per gestire la stazione termale assume un giovane collega interessato all’idroterapia, Louis Perrier. A fine secolo il dottor Perrier, insieme a un gruppo di investitori, comincia a imbottigliare quell’acqua frizzantissima e la mette in commercio con il proprio nome. La pubblicizza come “la principessa delle acque da tavola”, e il successo è travolgente. A cavallo del secolo l’acqua Perrier sfonda nel mondo anglosassone, anche perché l’azienda viene acquistata da tale St John Harmsworth, che aveva fatto fortuna con i giornali: sarà lui a lanciare la Perrier nel Regno Unito come la cosa migliore da miscelare al whisky. Il nuovo marketing fa della Perrier “lo champagne delle acque in bottiglia”. Nel 1930, la Compagnie de la source de Perrier dichiara di aver venduto 18 milioni di bottiglie (traggo queste notizie dalla bella storia dell’acqua potabile di James Salzman, Drinking water. A history).

Da allora, il mercato dell’acqua in bottiglia è cresciuto senza sosta – soprattutto da quando siamo stati convinti che quella imbottigliata sia meglio di quella del rubinetto, perfino quando si tratta di acqua liscia. Ma questo è successo negli ultimi trent’anni, ed è un altro discorso.

Le bollicine sono talmente ricercate che abbiamo imparato ad aggiungerle anche se non ci sono in natura. Così oggi è “effervescente naturale” un’acqua che contiene anidride carbonica già alla fonte, distinta da quella con “aggiunta di anidride carbonica”. La prima contiene almeno 250 milligrammi di anidride carbonica per litro. Nell’altra, la quantità può variare (ma di norma va sottoposta a diverse verifiche, in particolare sul contenuto di sali). Per il resto cambia solo il gusto di chi la beve, in tutte le varianti dal leggermente frizzante all’esplosione che pizzica nel naso, all’acqua “fatta in casa” con le bustine (chi ricorda l’Idrolitina?) o più modernamente con macchinette della soda. Il risultato è pur sempre acqua.

Dissetante, digestiva? Miti. Le bollicine di gas “stimolano i recettori del gusto sulle papille gustative, simulando un effetto anestetizzante che, anche se di breve durata, può dare una sensazione di freschezza”, leggiamo nelle schede della fondazione Umberto Veronesi. La sensazione che l’acqua frizzante disseti di più è appunto una sensazione.

Né si può dire davvero che sia digestiva, sebbene molte acque si pubblicizzino come tali: sembra che anche questa sia solo una sensazione dovuta all’espulsione del gas dopo aver bevuto. In compenso non è ingrassante, tutt’al più gonfia un po’ lo stomaco. Fanno ingrassare invece le bibite gassate, vera passione insana del mondo contemporaneo: non per il gas, ma per gli zuccheri e i sali che contengono, una delle cause della moderna epidemia di obesità.

Freschezza illusoria

Le sensazioni però contano: quell’effetto di freschezza sul palato sarà illusorio, ma è potente. Tanto che l’industria dell’acqua in bottiglia è diventata gigantesca, per non parlare delle bibite, con miliardi di litri venduti ogni anno, per lo più in bottiglie di plastica monouso che andranno a inquinare mari e discariche.

L’estate scorsa però acqua e bibite gassate hanno cominciato a scarseggiare, perché la filiera industriale dell’anidride carbonica si è inceppata…

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