mercoledì 22 febbraio 2023

Ma siamo mai stati davvero neutrali? - Rocco Bianchi

In Svizzera si riaccende il dibattito sul principio ed il concetto di neutralità, che ora si vorrebbe “integrale”; ma in realtà, nella storia del nostro Paese di neutralità integrale non c’è traccia

 

Dopo essere stati minacciata da richiedenti l’asilo, Unione europea, stranieri e frontalieri, ed aver smascherato la quinta colonna pluto-giudaico-massonica composta da città di sinistra e radical chic, secondo i nazionalisti nostrani pare che oggi il destino della nostra nazione dipenda dalla neutralità. Che non solo deve essere, come del resto è già da circa un paio di secoli, ma, Blocher dixit, deve essere integrale (qualsiasi cosa significhi), ché altrimenti non è. Qualcuno ha addirittura parlato di elemento fondante della nostra identità, per cui metterlo in questione o addirittura negarlo indebolirebbe o addirittura negherebbe il fatto stesso di essere Svizzera.

Sia ben chiaro, che la guerra in Ucraina e l’adesione della Confederazione alle sanzioni internazionali abbia rilanciato il dibattito sulla neutralità e sul suo significato, il quale evidentemente non può essere disgiunto dal contesto storico-politico in cui si colloca (ogni principio politico deve confrontarsi con l’attualità), è sicuramente positivo; che questo dibattito venga usato per fini di propaganda politica possiamo considerarlo un inevitabile danno collaterale; tuttavia che nel suo svolgimento si confondano mito e storia, o addirittura che i dati di quest’ultima vengano scientemente alterati o falsificati per i propri fini e interessi, questo è inaccettabile.

Per cui diciamolo: la Svizzera, o meglio la Confederazione elvetica è certo che non sia nata neutrale, sia nella storia che nel mito. Guglielmo Tell non era un fine diplomatico che ha dispensato i suoi buoni uffici per appianare le questioni tra il balivo di turno e i cantoni primitivi, ma una testa piuttosto calda che ha pensato bene di risolvere il problema usando balestra e frecce (con conseguente omicidio). E almeno fino alla battaglia di Marignano (1515) la storia elvetica è tutt’altro che neutra e pacifica, costellata com’è di guerre e scaramucce. E anche dopo non è che siamo stati con le mani in mano, seduti al bar a giocare a jass o a tricottare con l’uncinetto, visto che ancora nel 1536 Berna ha conquistato il Canton Vaud e altri territori savoiardi a sud del lago Lemano, che i cantoni cattolici e protestanti continuarono a darsi botte da orbi per altri tre secoli e che per altrettanto tempo di mercenari svizzeri furon colme tutte le guerre europee. E i relativi camposanti.

Per di più fino alla Guerra dei trent’anni (1618-1648) per noi europei il termine “neutrale” aveva una dichiarata connotazione negativa. In un conflitto, allora spesso condito da forti connotazioni religiose, non si poteva non schierarsi. O con me, o contro di me, come insegnano i Vangeli: tertium non datur. Solo dopo la pace di Westfalia politici ed esperti di diritto cominciano a formulare un’idea diversa, ossia che gli stati, soprattutto se piccoli e deboli, potevano entro certi limiti astenersi dal partecipare ai conflitti. Tant’è che la prima dichiarazione ufficiale di neutralità della Svizzera risale alla Dieta del 1674, quasi quattro secoli dopo la data della supposta fondazione della Confederazione elvetica, non prima. 

E non era certamente una neutralità di tipo integrale come Blocher e seguaci sperano che diventi adesso, visto che alle potenze straniere era permesso attraversare il nostro territorio, e che di mercenari pronti servire il signore di turno dietro congrua ricompensa come detto ne partirono ancora diverse decine di migliaia. Un traffico di carne umana che durò ufficialmente fino al 1815, quando il Congresso di Vienna non solo statuì il principio della neutralità elvetica nel diritto internazionale, ma impose pure la fine del “mercenariato”, anche se in realtà in forma non ufficiale se non illegale, di svizzeri che combatteranno guerre in giro per il mondo ce ne furono anche dopo. Senza dimenticare che, alla faccia del fondamento identitario e senza negare l’importantissimo ruolo che rivestì il diplomatico elvetico De la Harpe, a Vienna furono le potenze vincitrici guidate dallo zar di Russia Alessandro I a imporre la neutralità alla Svizzera più che gli stessi svizzeri a rivendicarla (curioso in questo senso che sia oggi proprio un altro “zar”, Vladimir Putin, a negarla).

Indipendentemente da ciò, da allora fummo neutri come oggi chiedono Blocher e sodali? Assolutamente no. Senza soffermarci sulle oscillazioni del XIX e XX secolo (non per nulla il Consiglio federale sia durante la guerra franco-prussiana del 1870 che allo scoppio della Prima Guerra mondiale sentì la necessità di riaffermare la neutralità elvetica, cosa che sarebbe stata superflua se fosse stata così integrale e internazionalmente chiara come oggi si vuol far credere) o le concessioni fatte alle potenze dell’Asse durante la Seconda Guerra mondiale, credo che nessuno possa avere dubbi da che parte stava la Svizzera durante la Guerra fredda. È sufficiente un esempio: fino agli anni ’80 del XX secolo durante le esercitazioni militari il nemico poteva essere uno e uno soltanto, ossia rosso e proveniente dall’est. Eppure questo suo essere apertamente schierata con l’Occidente non le ha impedito di prestare i suoi buoni uffici praticamente ovunque e con chiunque. Anzi, è soprattutto in questo contesto che la Confederazione ha potuto davvero realizzarsi in questo suo ruolo.

Per cui, prima di discutere sulla nostra neutralità e su quale forma darle, credo sia utile porsi (e rispondere a) una fondamentale domanda, senza la quale tutta questa discussione rischia di ridursi a mera propaganda politico-elettorale: la Svizzera è mai stata davvero integralmente neutrale?

da qui

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