In Svizzera si riaccende il dibattito sul principio ed il concetto di neutralità, che ora si vorrebbe “integrale”; ma in realtà, nella storia del nostro Paese di neutralità integrale non c’è traccia
Dopo essere
stati minacciata da richiedenti l’asilo, Unione europea, stranieri e
frontalieri, ed aver smascherato la quinta colonna pluto-giudaico-massonica
composta da città di sinistra e radical chic, secondo i nazionalisti nostrani
pare che oggi il destino della nostra nazione dipenda dalla neutralità. Che non
solo deve essere, come del resto è già da circa un paio di secoli, ma, Blocher
dixit, deve essere integrale (qualsiasi cosa significhi), ché altrimenti non è.
Qualcuno ha addirittura parlato di elemento fondante della nostra identità, per
cui metterlo in questione o addirittura negarlo indebolirebbe o addirittura
negherebbe il fatto stesso di essere Svizzera.
Sia ben
chiaro, che la guerra in Ucraina e l’adesione della Confederazione alle
sanzioni internazionali abbia rilanciato il dibattito sulla neutralità e sul
suo significato, il quale evidentemente non può essere disgiunto dal contesto
storico-politico in cui si colloca (ogni principio politico deve confrontarsi
con l’attualità), è sicuramente positivo; che questo dibattito venga usato per
fini di propaganda politica possiamo considerarlo un inevitabile danno
collaterale; tuttavia che nel suo svolgimento si confondano mito e storia, o
addirittura che i dati di quest’ultima vengano scientemente alterati o
falsificati per i propri fini e interessi, questo è inaccettabile.
Per cui
diciamolo: la Svizzera, o meglio la Confederazione elvetica è certo che non sia
nata neutrale, sia nella storia che nel mito. Guglielmo Tell non era un fine
diplomatico che ha dispensato i suoi buoni uffici per appianare le questioni
tra il balivo di turno e i cantoni primitivi, ma una testa piuttosto calda che
ha pensato bene di risolvere il problema usando balestra e frecce (con
conseguente omicidio). E almeno fino alla battaglia di Marignano (1515) la
storia elvetica è tutt’altro che neutra e pacifica, costellata com’è di guerre
e scaramucce. E anche dopo non è che siamo stati con le mani in mano, seduti al
bar a giocare a jass o a tricottare con l’uncinetto, visto che ancora nel 1536
Berna ha conquistato il Canton Vaud e altri territori savoiardi a sud del lago
Lemano, che i cantoni cattolici e protestanti continuarono a darsi botte da
orbi per altri tre secoli e che per altrettanto tempo di mercenari svizzeri
furon colme tutte le guerre europee. E i relativi camposanti.
Per di più
fino alla Guerra dei trent’anni (1618-1648) per noi europei il termine
“neutrale” aveva una dichiarata connotazione negativa. In un conflitto, allora
spesso condito da forti connotazioni religiose, non si poteva non schierarsi. O
con me, o contro di me, come insegnano i Vangeli: tertium non datur. Solo dopo
la pace di Westfalia politici ed esperti di diritto cominciano a formulare
un’idea diversa, ossia che gli stati, soprattutto se piccoli e deboli, potevano
entro certi limiti astenersi dal partecipare ai conflitti. Tant’è che la prima
dichiarazione ufficiale di neutralità della Svizzera risale alla Dieta del
1674, quasi quattro secoli dopo la data della supposta fondazione della
Confederazione elvetica, non prima.
E non era
certamente una neutralità di tipo integrale come Blocher e seguaci sperano che
diventi adesso, visto che alle potenze straniere era permesso attraversare il
nostro territorio, e che di mercenari pronti servire il signore di turno dietro
congrua ricompensa come detto ne partirono ancora diverse decine di migliaia.
Un traffico di carne umana che durò ufficialmente fino al 1815, quando il
Congresso di Vienna non solo statuì il principio della neutralità elvetica nel
diritto internazionale, ma impose pure la fine del “mercenariato”, anche se in
realtà in forma non ufficiale se non illegale, di svizzeri che combatteranno
guerre in giro per il mondo ce ne furono anche dopo. Senza dimenticare che,
alla faccia del fondamento identitario e senza negare l’importantissimo ruolo
che rivestì il diplomatico elvetico De la Harpe, a Vienna furono le potenze
vincitrici guidate dallo zar di Russia Alessandro I a imporre la neutralità
alla Svizzera più che gli stessi svizzeri a rivendicarla (curioso in questo
senso che sia oggi proprio un altro “zar”, Vladimir Putin, a negarla).
Indipendentemente
da ciò, da allora fummo neutri come oggi chiedono Blocher e sodali?
Assolutamente no. Senza soffermarci sulle oscillazioni del XIX e XX secolo (non
per nulla il Consiglio federale sia durante la guerra franco-prussiana del 1870
che allo scoppio della Prima Guerra mondiale sentì la necessità di riaffermare
la neutralità elvetica, cosa che sarebbe stata superflua se fosse stata così
integrale e internazionalmente chiara come oggi si vuol far credere) o le
concessioni fatte alle potenze dell’Asse durante la Seconda Guerra mondiale,
credo che nessuno possa avere dubbi da che parte stava la Svizzera durante la
Guerra fredda. È sufficiente un esempio: fino agli anni ’80 del XX secolo
durante le esercitazioni militari il nemico poteva essere uno e uno soltanto,
ossia rosso e proveniente dall’est. Eppure questo suo essere apertamente
schierata con l’Occidente non le ha impedito di prestare i suoi buoni uffici
praticamente ovunque e con chiunque. Anzi, è soprattutto in questo contesto che
la Confederazione ha potuto davvero realizzarsi in questo suo ruolo.
Per cui,
prima di discutere sulla nostra neutralità e su quale forma darle, credo sia
utile porsi (e rispondere a) una fondamentale domanda, senza la quale tutta
questa discussione rischia di ridursi a mera propaganda politico-elettorale: la
Svizzera è mai stata davvero integralmente neutrale?
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