“Bisogna
girare Venezia a piedi. Chi la gira soltanto in barca ne ha un’immagine morta;
la Venezia dei decadenti è lunare, lievemente putrida, vista da persone
adagiate sui cuscini delle imbarcazioni”. Raccogliendo l’invito del giornalista
e scrittore Guido Piovene, ci si mette allora in marcia volentieri. A piedi. D’altronde
Venezia sembra grande, ma in realtà si gira tutta camminando, basta non andare
di fretta.
La sfida è riuscire a passare tre giorni
in città spendendo non più di 60 euro al giorno. Può sembrare impossibile ma
non lo è, basta lasciar stare il weekend. Visitare Venezia nei giorni feriali
vuol dire trovarsi di fronte un’altra città, e non certo peggiore. A cominciare
dalle opzioni per dormire a basso prezzo: nel grande e relativamente tranquillo
sestiere di Cannaregio ci sono vari affittacamere dove si possono spendere 28
euro a notte per una matrimoniale. Un suggerimento potrebbe essere Corte
Loredana, mentre per chi ha il gusto degli istituti religiosi ci sono anche
opzioni come Casa Caburlotto, secolare istituzione di suore rimodernata di
recente e convertita in residenza per soggiorni brevi.
Incamminandosi verso Rialto dalla stazione
ci può essere subito l’occasione di mettere qualcosa sotto i denti, per
prepararsi alle camminate del resto della giornata. Nelle calli intorno al
famoso ponte, che è una tappa immancabile e gratuita, s’incontra tutta una
costellazione di bacari, enoteche che fanno piccola ristorazione. È il paradiso
dei “cicchetti”, fettine di pane con sopra di tutto, dal lardo alle acciughe al
baccalà, declinato in ogni sua possibile sfumatura, da accompagnare con
“un’ombra” della casa, cioè un calicino di bianco o di rosso. In una zona ad
alto tasso di trappole per turisti, Cantina Do Mori – bacaro tra i più antichi
di Venezia – mantiene una sua romantica crociata nel preservare la tradizione.
Ecco allora bottiglie secolari alle pareti, pentolame in rame e un tripudio di
cicchetti, frittatine, polpette, ovetti con l’acciuga e “francobolli”,
minuscoli tramezzini quadrati che sono una specialità della casa.
Dopo lo spuntino si prosegue verso piazza
San Marco, dove affacciano due dei principali gioielli della città: palazzo
Ducale e la basilica di San Marco, secondo Stendhal “la prima moschea che si
incontra andando verso oriente”. Arrivati in piazza, l’immagine non è delle
migliori: ad attendere i visitatori, più che le atmosfere oniriche di The new pope di Sorrentino sono degli eterni
lavori in corso. Stanno mettendo al sicuro la basilica dall’acqua alta con
scintillanti barriere in vetro, ma da mesi tutto procede a rilento.
La magnificenza del
potere
Palazzo Ducale è sconfinato già a vederlo
da fuori, ma solo entrandovi ci si rende conto di cosa doveva essere Venezia
sotto la Serenissima, quell’immenso carrozzone politico e militare che
governava terre fino alle coste siriane. A sorprendere, oltre alla magnificenza
del potere, è la sua segmentazione: chi oggi si lamenta della burocrazia
italiana dovrebbe visitare le aule, le stanze e le stanzette di questo palazzo,
ognuna con una sua precisa e insostituibile funzione, almeno a detta dei
rispettivi funzionari che le occupavano. Nel senato c’è un orologio con
ventiquattr’ore e una sola lancetta. Guardandolo meglio ci si rende conto che i
numeri sono messi in ordine antiorario. Non c’è nessun apparente motivo, solo a
sottolineare che a Venezia molte cose funzionano al contrario. Il biglietto per
palazzo Ducale è costoso (25 euro), ma si ha poi accesso anche al museo Correr,
alle prigioni e alla Biblioteca marciana.
A una certa ora, camminando intorno alla
piazza e a riva degli Schiavoni si nota qualcosa di inaspettato: nei giorni
feriali Venezia di sera è vuota. I residenti del centro sono meno di 50mila, i
pendolari se ne sono già andati e i turisti che restano a dormire non sono
molti. Quando s’incontra qualcuno, ci si sorride. Alle sei di pomeriggio di un mercoledì
perfino il Florian – probabilmente il caffè più antico del mondo, è del 1720 –
ha le porte sbarrate. A questa stessa ora le enoteche della zona del mercato di
Rialto, invece, cominciano ad animarsi. Sarde in saor (cioè fritte e condite
con cipolle in agrodolce, pinoli e uvetta), schie (gamberetti della laguna),
seppie in nero con polenta, un quartino di bianco e la cena è fatta. Al tavolo
della Cantina do Spade si gioisce per aver mangiato con 20 euro in modo
egregio.
Al mattino, se è il periodo di carnevale,
si deve partire con le frìtoe, le frittelle, che a Venezia sono grandi come un
pugno. Con lo zabaione, con la crema oppure veneziane, cioè con uvetta e
ricoperte di zucchero, la cui semplicità le fa vincere a mani basse. Due
pasticcerie consigliate sono Dal Mas e Tonolo, entrambe botteghe centenarie…
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