Piacentini – In questi giorni è arrivata un po’ di neve ma nulla cambia ed invece vedo un accanimento terapeutico verso un modello di sviluppo turistico quasi sacralizzato, come se quella forma di fruizione della montagna in inverno fosse l’unica possibile.
Situazione preoccupante perché non si vuole prendere atto di quello che sta
accadendo e si pensa di risolvere tutto con l’illusione “tecnocratica”
Si posizionano cannoni sparaneve sempre più potenti anche ad alte
temperature, non importa se intorno la terra è brulla: pura follia.
Wu Ming – Anzitutto c’è un problema simbolico, di immaginario: la montagna è
vista come una fabbrica che d’inverno deve produrre neve, e questa neve ha
l’unico scopo di imbiancare il paesaggio e consentire lo sci. Così, quando la
neve non arriva, nessuno pensa al danno per le sorgenti, per la biodiversità,
per gli equilibri ambientali, i pascoli, l’agricoltura. L’unico problema è che
non si può sciare, e nessuno dice che proprio l’industria dello sci, con il suo
enorme dispendio di energia, contribuisce al riscaldamento globale, il quale
comporta meno neve naturale, quindi un maggiore ricorso a quella artificiale, e
un maggiore consumo energetico: il classico serpente che si morde la coda.
Il mito della “settimana bianca” è talmente forte che certi rifugi, in
assenza di neve, invece di puntare su chi cammina, organizzano serate disco sul
modello delle “Vacanze di Natale” dei film di Vanzina. Perché la montagna
d’inverno dev’essere quella roba lì. Se non c’è la neve, bisogna farla a tutti
i costi: trovare una soluzione tecnologica, non cambiare mentalità.
D’altronde, succede così anche con la “transizione ecologica”: invece di
ammettere che c’è un intero modello economico da cambiare, si preferisce
pensare che le rinnovabili, i crediti del carbonio e qualche milione di alberi
piantato qua e là ci permetteranno di mantenere le stesse abitudini.
Piacentini – Per questo parlo di conversione ecologica perché la transizione è più che
sputtanata e comunque saremmo in netto ritardo. Va cambiato radicalmente il
modello socio-economico. La necessità di una svolta radicale deriva proprio
dalla tua riflessione, dalla considerazione che nell’immaginario del turista
non si riesce a smontare un modello di fruizione che nasce negli anni del boom
economico e che arriva ad oggi con una progressiva degenerazione.
Mi sembra molto importante anche la tua riflessione sulla carenza di neve –
Si chiedono risorse pubbliche ingenti gridando all’emergenza come si trattasse
di affrontare una catastrofe legata ad un terremoto
devastante. Un’emergenza da carenza neve senza per nulla considerare che
il vero problema semmai è la conseguente carenza d’acqua nel sistema
idrografico.
Wu Ming– Sì, l’ordine delle priorità viene capovolto. Ma non è accaduto lo
stesso anche con l’emergenza Covid? Una cassiera di supermercato poteva
lavorare otto ore a contatto con i clienti, però, tornata a casa, non poteva
farsi una passeggiata nel parco. Inutile stupirsi: come diceva Marx, «il morto
afferra il vivo e lo tiene prigioniero»
Piacentini- Dovremmo avere la forza di lavorare per un nuovo paradigma e provare
a cambiare l’immaginario sul come abitare e fruire le nostre montagne. Il
turismo ok ma va diversificato davvero, le “terre alte” non possono vivere solo
di turismo.
Penso al tema dei Cammini, quando nel periodo della pandemia per due anni
il Cammino di Santiago ha visto un annullamento del flusso turistico con gli
enormi danni relativi. Certo non è facile cambiare rotta visto il forte
intreccio tra politica ed imprenditoria, una sorta di patto per utilizzare
risorse ingenti che andrebbero indirizzate su progetti a favore delle comunità
locali con un occhio rivolto al futuro. Come possiamo secondo te provare, nel
nostro piccolo, a ribaltare l’immaginario delle comunità locali oltre a quello
della città e dei turisti e portarli alla costruzione di una sorta di patto tra
città e montagna che include anche quello tra generazioni?
Wu Ming – L’importanza economica del turismo è sovrastimata, perché un Paese
come l’Italia, quando è in crisi nera e non ha idee per rilanciarsi, si rifugia
in quel che ha già, per certi versi a costo zero, e prova a convincersi che sia
la panacea di tutti i mali. Lo stesso vale per la montagna. Che offre, e
potrebbe offrire ancora di più, lavoro nell’agricoltura, nell’allevamento,
nell’artigianato, nella salvaguardia e cura del territorio, nella cultura. Ma
per sviluppare questi settori bisognerebbe investire sui servizi, sui trasporti
pubblici, sugli ospedali, sull’abitare. E allora si preferisce la montagna
parco giochi, perché tenere aperto un parco giochi è più semplice, più
compatibile con l’idea che certe zone non vanno davvero abitate, vanno solo
consumate. Chi invece vorrebbe fare altro viene zittito, intimidito, non
rappresentato, isolato. Eppure sull’Appennino ci sono ormai tanti giovani che
svolgono attività slegate dal turismo. Si dice che senza quest’ultimo la
montagna si spopola, ma in realtà il turismo è perfettamente compatibile con
una montagna poco abitata: bastano poche centinaia di persone che garantiscono
l’accoglienza stagionale.
Per questo, e non solo per le evidenti ragioni ambientali, prima di
spendere per dei cannoni energivori che sparano la neve anche a 10 gradi,
bisognerebbe garantire collegamenti frequenti, anche notturni, tra montagna e
città, e tra comune e comune.
Piacentini – A proposito di servizi è ridicolo strumentalizzare i
disabili narrando che gli impianti servono a portarli in alto anche d’estate,
quando poi in paese non c’è nessuna attenzione all’accessibilità diffusa. Altro
scandalo è che questi finanziamenti spesso arrivano dal PNRR con un’operazione
di scippo verso le future generazioni che può fare scattare sentimenti di
ribellione più che legittimi.
Bisognerebbe creare i presupposti per far crescere la coscienza su come lo
sperpero di risorse pubbliche per alimentare un’economia “estrattiva” toglie
l’aria al futuro dei giovani e delle comunità locali. Penso anche alla follia
degli impianti eolici industriali nei fragili crinali appenninici.
Bisogna rivedere radicalmente il paradigma dello sviluppo lineare che non
tiene conto dei vincoli naturali. Urgono nuovi progetti che mettono al centro la
conservazione e la cura del territorio. Un’economia che sposa il concetto del
limite e la sfida alla complessità.
Wu Ming – Parlando degli impianti di risalita, prima o poi si arriva sempre
alla contraddizione tra ambiente e lavoro, l’occupazione viene usata come
ricatto per perpetuare i danni al territorio. Invece, proprio la montagna è un
territorio dove la cura dell’ecosistema può produrre lavoro, in tanti settori.
Occuparsi di un castagneto, per dire, può avere una valenza produttiva,
culturale e turistica allo stesso tempo. In un Paese con un dissesto
idrogeologico mostruoso sarebbe facile creare nuova occupazione puntando sulla
messa in sicurezza del territorio. O sul patrimonio forestale.
Il tema dell’occupazione viene anche usato per etichettare “gli
ambientalisti” come un’élite cittadina, che vive comoda e dà più importanza ai
faggi che agli esseri umani. Dobbiamo invece sottolineare l’ingiustizia
profonda di un’industria come quella dello sci, che in molti territori si regge
sul denaro pubblico, speso per tenere in piedi una macchina inquinante e
prossima alla rottamazione, invece di aiutare attività virtuose.
Quest’anno il governo italiano ha chiesto ai cittadini di ridurre i consumi
energetici: poi però i signori dello sci da discesa ricevono aiuti per le loro
bollette e parlano di usare ancora più energia, e più acqua, per l’innevamento
artificiale. Anche questa è un’ingiustizia che andrebbe denunciata.
Piacentini– Come vedi il rapporto con la politica istituzionale? Non credo siano
tutti uguali e quindi credo sia opportuno aprire dei canali di confronto
istituzionali, mantenendo una piena autonomia. Oggi la politica istituzionale è
troppo spesso condizionata dagli interessi economico – finanziari e non è
assolutamente indenne anche un pezzo importante dell’ambientalismo politico ed
associativo. Lo dimostra anche l’approccio alla politica energetica cosiddetta
green. Davanti a questo scenario pensi si possa riuscire a far penetrare
in alcuni ambiti le nostre istanze o non rimane invece che concentrarsi sulla
costruzione di vertenze dal basso ?
Wu Ming -Paolo, anch’io non credo che siano tutti uguali, però sono
quantomeno simili: fanno gli interessi dei loro clientes, almeno
finché ritengono che questo non li danneggi sul piano dell’immagine pubblica,
ovvero della carriera politica.
Oggi servono cambiamenti radicali e questi non sono mai venuti dall’interno
delle istituzioni, dove il cerchiobottismo è una tattica di sopravvivenza, se
non proprio una forma mentis. Una vera alternativa è possibile solo se molte
persone la sostengono, la raccontano, la praticano sui territori, la pretendono
e hanno la forza per pretenderla.
Piacentini– ti ho fatto la domanda perché pensando, ad esempio, alla posizione dei
Verdi che da una parte provano a spingere verso un cambiamento radicale e
dall’altra arriva la “necessità politica” del compromesso. Un po’ come la lista
civica di Bologna che dice di sì al Passante basta che sia green.
Dovremmo provare a comunicare meglio le contraddizioni della politica. Far
capire che alcune scelte sono, non solo insostenibili, ma profondamente
incompatibili con le vere azioni virtuose. Non basta opporsi ma bisogna fare
rete per costruire e praticare alternative radicali da comunicare in modo
efficace.
Wu Ming – Qualche giorno fa, il danneggiamento di nove cannoni sparaneve sul Corno
alle Scale ha fatto gridare all’ecoterrorismo. Io non so se sia stato un
sabotaggio consapevole o un semplice vandalismo. Però sono sicuro che ad
essere sabotato con progetti insostenibili e ingiusti è il futuro dei
territori, delle comunità locali e delle nuove generazioni. Non si può
continuare a inseguire una monocultura, quella del turismo invernale, che non
ha prospettive e sega il ramo su cui stiamo sedute.
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