Anche la pratica del surf e una scorpacciata di ostriche – nel loro piccolo – possono contribuire a rinsaldare il dominio di Rabat sui territori rivendicati dalla Repubblica Araba Democratica dei Saharawi.
La discussa tesi – evocata dal sottoscritto in
svariate occasioni (vedi l’alpinismo in Pakistan) – per cui turismo e
colonialismo spesso vanno a braccetto, riceve un’ulteriore conferma.
Questa la notizia. In quel di Dakhla un ristorante in
prossimità all’Atlantico avrebbe raggiunto il rango di “paradiso marocchino
delle ostriche”.
Se può lasciare indifferenti la notizia che la nuova
gestione avrebbe “convertito” al consumo di ostriche l’affezionata clientela
(ormai oltre il il 50% dei clienti consumerebbe, a testa, almeno 20 ostriche a
pasto in alternativa al pesce) quello che sconcerta è altro.
Ossia che perfino la rivista Jeune Afrique – in quello
che a prima vista sembrava un articolo promozionale – parli di Dakhla come di
una località marocchina a tutti gli effetti. Dandolo per scontato. E invece
Dakhla – se la geografia non è un’opinione – si trova nella Penisola del Rio de
Oro ossia in territorio saharawi.*
Il locale in questione serve almeno 500 piatti di
ostriche al dì (circa 2000 nei fine settimana) in ogni periodo dell’anno
(tranne che nel Ramadan) e con il suo allevamento rifornisce di ostriche un
buon numero di altri ristoranti.
Oltretutto l’attuale proprietario sarebbe originario
del Morbihan (in Bretagna, ma si può?). Viveva a Marrakesh, ma si è innamorato
della “laguna di Dakhla assai pescosa grazie a una falda pratica preistorica”
che garantisce la temperatura ottimale per l’allevamento delle ostriche. Torna
alla mente la questione della risorsa ittica, una delle poche a disposizione
della Repubblica Araba Democratica dei Sahrawi (l’altra è costituita da
fosfati). Risorsa attualmente saccheggiata dal Marocco, fino a qualche tempo fa
anche con la benedizione dell’Unione Europea (grazie ai voti presumibilmente
comprati).
Ma i turisti? Quelli che vi fanno scalo (definiti
“amanti degli scatti allo iodio”, con riferimento, presumo, ai selfie con piedi
nell’acqua e Oceano sullo sfondo) sarebbero per lo più, oltre che marocchini
benestanti, europei e statunitensi dediti al surf. E qui, senza bisogno di
aggiungere altro, il cerchio si chiude.
* nota 1: Insediato da secoli nei territori conosciuti
come Sāqiyat al-ḥamrāʾ (Saguia el Hamra) e Wādī al-dhahab (Rio de Oro) il
popolo saharawi rivendicava il diritto all’autodeterminazione e
all’indipendenza già negli anni trenta del secolo scorso.
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