L’induismo non ha un sistema unificato di credenze ed idee, è un fenomeno socio-culturale e presenta un ampio spettro di convinzioni e pratiche che da un lato possono essere considerate affini al panteismo, e dall’altro sono approfondite speculazioni metafisiche. Intrinsecamente e naturalmente, l’induismo ha un’anima ecologica e, come nel caso del buddhismo e del giainismo (riforme dell’induismo), ha senso parlare di ecologia induista. Per l’induismo tutti gli esseri viventi sono sacri perché sono parte di Brahman (Dio supremo), e dovrebbero essere trattati con rispetto e compassione. Questo perché l’anima può essere reincarnata in qualsiasi forma di vita. L’Induismo è pieno di storie che trattano di animali come divinità, come la scimmia Hanuman era un servitore fedele del Rama. Gli indù associano animali a divinità diverse e li considerano sacri, tra cui la scimmia (Hanuman), l’elefante (Ganesh), la tigre (Durga) e persino il topo (l’animale che cavalca Ganesh). Per molti indù, che costituiscono quasi l’80% della popolazione indiana di 1,3 miliardi di persone, la mucca è un animale sacro e, nella mitologia indù, viene raffigurata come l’accompagnamento di diversi dei, come Shiva, che cavalca il toro Nandi, o Krishna, il dio pastore che raggruppava le vacche. Negli antichi testi la mucca appare come ‘Kamdhenu’ o mucca divina, che soddisfa tutti i desideri. Le sue corna simboleggiano gli dei, le sue quattro zampe, le antiche scritture indù o i Veda, e le sue mammelle i quattro obiettivi della vita, tra cui la ricchezza materiale, il desiderio, la giustizia e la salvezza. Gli indù vedono nella mucca un simbolo sacro della vita che va protetto e riverito. La mucca secondo gli indù produce 5 elementi essenziali: latte, formaggio, burro (o ghee), urina e sterco. I primi tre sono alimenti e usati nel culto degli dei indù, mentre le deiezioni possono essere utilizzate nelle cerimonie religiose o bruciate per ottenere carburante1. Nonostante l’importanza delle vacche e il ruolo simbolico che rivestono, purtroppo sono spesso vittima di violenza e fin dal 1870 movimenti ambientalisti indù e sikh hanno organizzato i primi movimenti di protezione delle mucche.
La maggior parte degli indù è vegetariana per questa credenza nella santità
della vita. Si crede anche che gli alberi, i fiumi e le montagne abbiano
l’anima, e bisognerebbe prendersene cura e onorarli. Nella visione indù vi è
anche la concezione che “vivere semplicemente” sia una virtù: i maestri
(bramini) sono consigliati di vivere grazie alla carità degli altri e di non
accumulare troppa ricchezza. La persona estremamente rispettata nella società
indù è il sadhu, o saggio, che vive fuori dalla società normale, in
foreste o caverne o viaggia a piedi da una città a un’altra. Il sadhu è
orgoglioso di vivere semplicemente e consumare il meno possibile. Ecco quindi
che l’ecologia induista dà, epistemologicamente, una sferzata al consumismo e
alla società industriale di massa. Secondo l’ecologia induista la felicità è
necessariamente anticonsumista in quanto non proviene da beni esteriori: questo
vuole dire che, per dominare la vita, la ricerca dei beni materiali, con il conseguente
consumo di beni e di energia, non dovrebbe essere consentita. Tutti gli sforzi
per sfruttare le cose di questo mondo sono considerati, dai maestri indù, una
distrazione da questo scopo centrale della vita. Lo scopo principale della vita
è scoprire la natura spirituale, la pace e la realizzazione interiore che ciò
porta.
Uno dei più importanti esponenti dell’ecologia induista è sicuramente
l’eco-giornalista Amitav Ghosh, definito “il più grande scrittore indiano di
lingua inglese” che lavora come antropologo. Nei suoi libri ha scritto spesso
della devastazione della Terra. Nei suoi romanzi, pubblicati in Italia da Neri
Pozza, tra cui la “Trilogia dell’oppio”, ha raccontato l’origine del sacco
dell’Occidente nei confronti delle ex colonie fra Asia e Africa; mentre il suo
nuovo libro, La maledizione della noce moscata, parla del
colonialismo come furia devastatrice alla base delle conseguenze irreversibili
che vediamo oggi sul pianeta rispetto agli equilibri ecosistemici. È stato
proprio Ghosh a sottolinea come la sindemia da Covid-19 «Ci ha mostrato
che gli impatti sul cambiamento climatico, i loro effetti sulla società,
saranno assai diversi da ciò che ci è stato detto. La narrazione consolidata,
in Occidente, è che la crisi sarà terribile per i più poveri, “non-bianchi”.
Invece sarà sì molto negativo per la povera gente, ma colpirà anche i Paesi
ricchi, in modi diversi, con effetti altrettanto devastanti. E penso che se c’è
una lezione che dobbiamo imparare da questa esperienza è che le mega crisi richiedono
una risposta collettiva. Che non si è manifestata ovunque. L’Italia resta una
nazione con una cultura comune, una lingua comune: quando è stato chiesto di
fare sacrifici, la gente ha risposto. Non così negli Stati Uniti, che hanno
avuto pessimi risultati. E tuttora vivono fra disagio sociale, sfiducia e
polarizzazione politica. Idem il Regno Unito. In America la società ha una fede
enorme nella tecnologia come fonte di salvezza. Pensavano che il vaccino li
avrebbe salvati. Ma dopo che il vaccino è diventato disponibile, la diffidenza
sociale ha preso il sopravvento, e ancora oggi la sfiducia è il vettore
principale» – ha dichiarato il saggista indiano in una recente
intervista al Corriere2. Il nesso causale tra crisi
climatica ed ecologica e la sindemia da Covid-19 è la conseguenza
centrale del comportamento degli esseri umani, esattamente come i conquistadores diffusero
malattie mai apparse prima e sterminarono le civiltà native americane: «Credo
sia chiaro come il global warming segua questi modelli. Una delle
caratteristiche più marcate del colonialismo è ciò che si potrebbe chiamare
“violenza per omissione”. Permettere alle malattie di fare strage. O agli
interventi sull’ambiente di provocare disastri contro i popoli nativi».
Amitav Ghosh crede che la violenza distruttiva contro la Terra, derivanti
dalla mentalità estrattiva e separatista, sia non solo derivante dal
capitalismo e dalla sua globalizzazione, ma bensì dal colonialismo, nato in
epoche pre-capitalistiche, con l’idea che l’imperialismo venga prima del
capitalismo come causa della devastazione del pianeta. Come ha dichiarato Ghosh
al Corriere, il momento scatenante è stato quando l’Europa ha conquistato le
Americhe: «Un evento che ha comportato una violenza su una scala mai
vista prima, con la soppressione di 80-90 milioni di persone. Quella violenza
ha creato una nuova società. Con l’eliminazione di decine di milioni di
persone, ma anche con l’idea di sostituirli con africani schiavi. Un intervento
demografico su quella scala non era mai avvenuto, mai. (…) Negli ultimi anni,
l’intero discorso sul cambiamento climatico è stato focalizzato sul capitalismo
come il principale motore del disastro che stiamo attraversando. Certo, c’è
molta verità in questo. Ma allo stesso tempo il nostro capitalismo non è nato
da sé, è venuto fuori dal colonialismo che lo ha reso possibile. Le
disuguaglianze, specie quelle geopolitiche, sono simili a ciò che esisteva nel
XVII secolo. Il dominio globale dell’Europa d’allora corrisponde a quello
odierno dell’Occidente».
Secondo Ghosh il suprematismo bianco occidentale non è solo un retaggio
nazista e fascista e di qualche nostalgico, ma bensì un fenomeno che attraversa
tutti gli occidentali contemporanei, anche i più progrediti. Il suprematismo
bianco è stato la base giustificatrice del genocidio dei nativi americani e
degli schiavi in quanto non considerati “completamente umani”, esattamente come
è alla base dell’utilitarismo (l’uomo bianco poteva fare di loro ciò che
voleva), dell’antropocentrismo (che è una costruzione occidentale) e della
violenza nei confronti della Natura. L’uomo bianco si è sempre sentito
superiore e padrone sostituendo l’etica ancestrale fondata sul senso del limite
con l’etica centrata sull’azione ipertrofica dell’individuo. Come ha sostenuto
Ghosh: «Se oggi queste idee vivono è grazie all’esperienza
coloniale delle Americhe. Poche centinaia di bianchi violentissimi
dell’Estremadura3 scoprirono di poter sterminare
centinaia di migliaia di nativi. Così è entrata in testa l’idea di esser simili
a Dio, padroni del mondo. Che tutto esista per servirli».
L’idea stessa delle fonti d’energia fossile ha origini coloniali e nascono
da un problema di potere e di controllo. Come spiega Ghosh: «L’energia
diventa il perno della geopolitica globale alla fine del XVIII secolo, quando i
combustibili fossili che gli inglesi cominciano a usare diventano centrali
nelle loro strategie imperiali. E i combustibili fossili sono divenuti
importanti perché – a differenza dell’energia dei mulini – potevano essere
portati ovunque, quindi controllati».
Dove poggia sul piano culturale e filosofico? Secondo il saggista
indiano «L’Illuminismo è di sicuro legato a questa esperienza. L’idea
che gli esseri umani siano al di sopra di tutto. Penso, quindi sono4. È da qui che discende
quell’incredibile violenza. E infatti diversi pensatori chiave del tempo erano
connessi strettamente al colonialismo. Cartesio ha trascorso gran parte della
sua vita in Olanda quando questa era il perno del dominio globale. Il filosofo
inglese Locke investiva nelle piantagioni e comprava schiavi. Anche Hegel
ripeteva che gli africani erano inferiori, senza storia. Mentre parlava di
libertà dello spirito». La violenza coloniale nei confronti della
Natura si è concretizzata nell’idea scientifica e riduzionista di classificare,
di dare nome alle cose: gli scienziati settecenteschi usavano la
classificazione come modo per separare, dividere e infine dominare. «Il
sistema con cui Linneo battezzò animali, piante e minerali deriva interamente
dal colonialismo. L’idea era avere un sistema che potesse oggettivare le
risorse che il mondo offriva. E il sistema linneano ha trionfato non perché
fosse il migliore ma perché l’impero spagnolo l’adottò».
Amitav Ghosh punta il dito contro il net-zero washing, che
tanto piace all’Occidente per lavarsi la coscienza di politiche tossiche, anti-ecologiche
e estrattiviste; e contro il soluzionismo tecnocratico alla crisi climatica.
Nei Paesi ricchi si pensa che la crisi climatica sia una preoccupazione tecnica
con effetti economici, mentre in quelli poveri è un problema di disuguaglianza
e giustizia: «Se chiede a chiunque in Occidente qual è la posta in
gioco con il clima tutti risponderanno che si tratta di ridurre l’impronta di
carbonio. Di soluzioni tecniche. Nel Sud globale, se dite a qualcuno cosa pensa
di fare al riguardo? La risposta sarà sempre: “Perché dovrei far qualcosa? La
nostra impronta pro-capite è ancora piccola rispetto a quella dell’Occidente!
Tocca a loro agire. Sono diventati ricchi quando eravamo poveri, a nostre
spese. La percezione è di profonda ingiustizia». Per arrivare alla
decarbonizzazione necessaria al pianeta c’è solo un modo: «che
l’Occidente riduca le emissioni cambiando stile di vita. Fino a quando ciò non
accadrà qui, non accadrà da nessun’altra parte. È la cruda realtà». Questo
in parte è già realtà in Cina, per esempio, con l’enorme calo della domanda dei
consumatori, esattamente come in India perché la gente ancora ricorda come si
può vivere in modo frugale. Come ci ricorda Ghosh: «Toccherà agli
occidentali imparare a farlo».
1 https://www.focus.it/ambiente/animali/8-cose-che-forse-non-sai-sulle-vacche-sacre-in-india#:~:text=Negli%20antichi%20testi%20la%20mucca,la%20giustizia%20e%20la%20salvezza.
2 https://www.corriere.it/pianeta2030/22_novembre_30/amitav-ghosh-tutto-cominciato-il-colonialismo-quando-iniziammo-far-violenza-terra-12422acc-6efc-11ed-9e97-468f31203204.shtml
3 Regione spagnola
di frontiera della cristianità durante la Reconquista, all’estremità segnata
dal fiume Duero (“Extrema Duris”) da cui partirono le grandi spedizioni
coloniali spagnole e portoghesi.
4 Cogito ergo sum alla
base del riduzionismo cartesiano
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