martedì 10 gennaio 2023

Ecologia induista, Amitav Ghosh: “Il colonialismo iniziò a violentare la Terra” - Lorenzo Poli

 

L’induismo non ha un sistema unificato di credenze ed idee, è un fenomeno socio-culturale e presenta un ampio spettro di convinzioni e pratiche che da un lato possono essere considerate affini al panteismo, e dall’altro sono approfondite speculazioni metafisiche. Intrinsecamente e naturalmente, l’induismo ha un’anima ecologica e, come nel caso del buddhismo e del giainismo (riforme dell’induismo), ha senso parlare di ecologia induista. Per l’induismo tutti gli esseri viventi sono sacri perché sono parte di Brahman (Dio supremo), e dovrebbero essere trattati con rispetto e compassione. Questo perché l’anima può essere reincarnata in qualsiasi forma di vita. L’Induismo è pieno di storie che trattano di animali come divinità, come la scimmia Hanuman era un servitore fedele del Rama. Gli indù associano animali a divinità diverse e li considerano sacri, tra cui la scimmia (Hanuman), l’elefante (Ganesh), la tigre (Durga) e persino il topo (l’animale che cavalca Ganesh). Per molti indù, che costituiscono quasi l’80% della popolazione indiana di 1,3 miliardi di persone, la mucca è un animale sacro e, nella mitologia indù, viene raffigurata come l’accompagnamento di diversi dei, come Shiva, che cavalca il toro Nandi, o Krishna, il dio pastore che raggruppava le vacche. Negli antichi testi la mucca appare come ‘Kamdhenu’ o mucca divina, che soddisfa tutti i desideri. Le sue corna simboleggiano gli dei, le sue quattro zampe, le antiche scritture indù o i Veda, e le sue mammelle i quattro obiettivi della vita, tra cui la ricchezza materiale, il desiderio, la giustizia e la salvezza. Gli indù vedono nella mucca un simbolo sacro della vita che va protetto e riverito. La mucca secondo gli indù produce 5 elementi essenziali: latte, formaggio, burro (o ghee), urina e sterco. I primi tre sono alimenti e usati nel culto degli dei indù, mentre le deiezioni possono essere utilizzate nelle cerimonie religiose o bruciate per ottenere carburante1. Nonostante l’importanza delle vacche e il ruolo simbolico che rivestono, purtroppo sono spesso vittima di violenza e fin dal 1870 movimenti ambientalisti indù e sikh hanno organizzato i primi movimenti di protezione delle mucche.

La maggior parte degli indù è vegetariana per questa credenza nella santità della vita. Si crede anche che gli alberi, i fiumi e le montagne abbiano l’anima, e bisognerebbe prendersene cura e onorarli. Nella visione indù vi è anche la concezione che “vivere semplicemente” sia una virtù: i maestri (bramini) sono consigliati di vivere grazie alla carità degli altri e di non accumulare troppa ricchezza. La persona estremamente rispettata nella società indù è il sadhu, o saggio, che vive fuori dalla società normale, in foreste o caverne o viaggia a piedi da una città a un’altra. Il sadhu è orgoglioso di vivere semplicemente e consumare il meno possibile. Ecco quindi che l’ecologia induista dà, epistemologicamente, una sferzata al consumismo e alla società industriale di massa. Secondo l’ecologia induista la felicità è necessariamente anticonsumista in quanto non proviene da beni esteriori: questo vuole dire che, per dominare la vita, la ricerca dei beni materiali, con il conseguente consumo di beni e di energia, non dovrebbe essere consentita. Tutti gli sforzi per sfruttare le cose di questo mondo sono considerati, dai maestri indù, una distrazione da questo scopo centrale della vita. Lo scopo principale della vita è scoprire la natura spirituale, la pace e la realizzazione interiore che ciò porta.

Uno dei più importanti esponenti dell’ecologia induista è sicuramente l’eco-giornalista Amitav Ghosh, definito “il più grande scrittore indiano di lingua inglese” che lavora come antropologo. Nei suoi libri ha scritto spesso della devastazione della Terra. Nei suoi romanzi, pubblicati in Italia da Neri Pozza, tra cui la “Trilogia dell’oppio”, ha raccontato l’origine del sacco dell’Occidente nei confronti delle ex colonie fra Asia e Africa; mentre il suo nuovo libro, La maledizione della noce moscata, parla del colonialismo come furia devastatrice alla base delle conseguenze irreversibili che vediamo oggi sul pianeta rispetto agli equilibri ecosistemici. È stato proprio Ghosh a sottolinea come la sindemia da Covid-19 «Ci ha mostrato che gli impatti sul cambiamento climatico, i loro effetti sulla società, saranno assai diversi da ciò che ci è stato detto. La narrazione consolidata, in Occidente, è che la crisi sarà terribile per i più poveri, “non-bianchi”. Invece sarà sì molto negativo per la povera gente, ma colpirà anche i Paesi ricchi, in modi diversi, con effetti altrettanto devastanti. E penso che se c’è una lezione che dobbiamo imparare da questa esperienza è che le mega crisi richiedono una risposta collettiva. Che non si è manifestata ovunque. L’Italia resta una nazione con una cultura comune, una lingua comune: quando è stato chiesto di fare sacrifici, la gente ha risposto. Non così negli Stati Uniti, che hanno avuto pessimi risultati. E tuttora vivono fra disagio sociale, sfiducia e polarizzazione politica. Idem il Regno Unito. In America la società ha una fede enorme nella tecnologia come fonte di salvezza. Pensavano che il vaccino li avrebbe salvati. Ma dopo che il vaccino è diventato disponibile, la diffidenza sociale ha preso il sopravvento, e ancora oggi la sfiducia è il vettore principale» – ha dichiarato il saggista indiano in una recente intervista al Corriere2. Il nesso causale tra crisi climatica ed ecologica e la sindemia da Covid-19 è la conseguenza centrale del comportamento degli esseri umani, esattamente come i conquistadores diffusero malattie mai apparse prima e sterminarono le civiltà native americane: «Credo sia chiaro come il global warming segua questi modelli. Una delle caratteristiche più marcate del colonialismo è ciò che si potrebbe chiamare “violenza per omissione”. Permettere alle malattie di fare strage. O agli interventi sull’ambiente di provocare disastri contro i popoli nativi».

Amitav Ghosh crede che la violenza distruttiva contro la Terra, derivanti dalla mentalità estrattiva e separatista, sia non solo derivante dal capitalismo e dalla sua globalizzazione, ma bensì dal colonialismo, nato in epoche pre-capitalistiche, con l’idea che l’imperialismo venga prima del capitalismo come causa della devastazione del pianeta. Come ha dichiarato Ghosh al Corriere, il momento scatenante è stato quando l’Europa ha conquistato le Americhe: «Un evento che ha comportato una violenza su una scala mai vista prima, con la soppressione di 80-90 milioni di persone. Quella violenza ha creato una nuova società. Con l’eliminazione di decine di milioni di persone, ma anche con l’idea di sostituirli con africani schiavi. Un intervento demografico su quella scala non era mai avvenuto, mai. (…) Negli ultimi anni, l’intero discorso sul cambiamento climatico è stato focalizzato sul capitalismo come il principale motore del disastro che stiamo attraversando. Certo, c’è molta verità in questo. Ma allo stesso tempo il nostro capitalismo non è nato da sé, è venuto fuori dal colonialismo che lo ha reso possibile. Le disuguaglianze, specie quelle geopolitiche, sono simili a ciò che esisteva nel XVII secolo. Il dominio globale dell’Europa d’allora corrisponde a quello odierno dell’Occidente».

Secondo Ghosh il suprematismo bianco occidentale non è solo un retaggio nazista e fascista e di qualche nostalgico, ma bensì un fenomeno che attraversa tutti gli occidentali contemporanei, anche i più progrediti. Il suprematismo bianco è stato la base giustificatrice del genocidio dei nativi americani e degli schiavi in quanto non considerati “completamente umani”, esattamente come è alla base dell’utilitarismo (l’uomo bianco poteva fare di loro ciò che voleva), dell’antropocentrismo (che è una costruzione occidentale) e della violenza nei confronti della Natura. L’uomo bianco si è sempre sentito superiore e padrone sostituendo l’etica ancestrale fondata sul senso del limite con l’etica centrata sull’azione ipertrofica dell’individuo. Come ha sostenuto Ghosh: «Se oggi queste idee vivono è grazie all’esperienza coloniale delle Americhe. Poche centinaia di bianchi violentissimi dell’Estremadura3 scoprirono di poter sterminare centinaia di migliaia di nativi. Così è entrata in testa l’idea di esser simili a Dio, padroni del mondo. Che tutto esista per servirli».

L’idea stessa delle fonti d’energia fossile ha origini coloniali e nascono da un problema di potere e di controllo. Come spiega Ghosh: «L’energia diventa il perno della geopolitica globale alla fine del XVIII secolo, quando i combustibili fossili che gli inglesi cominciano a usare diventano centrali nelle loro strategie imperiali. E i combustibili fossili sono divenuti importanti perché – a differenza dell’energia dei mulini – potevano essere portati ovunque, quindi controllati».

Dove poggia sul piano culturale e filosofico? Secondo il saggista indiano «L’Illuminismo è di sicuro legato a questa esperienza. L’idea che gli esseri umani siano al di sopra di tutto. Penso, quindi sono4. È da qui che discende quell’incredibile violenza. E infatti diversi pensatori chiave del tempo erano connessi strettamente al colonialismo. Cartesio ha trascorso gran parte della sua vita in Olanda quando questa era il perno del dominio globale. Il filosofo inglese Locke investiva nelle piantagioni e comprava schiavi. Anche Hegel ripeteva che gli africani erano inferiori, senza storia. Mentre parlava di libertà dello spirito». La violenza coloniale nei confronti della Natura si è concretizzata nell’idea scientifica e riduzionista di classificare, di dare nome alle cose: gli scienziati settecenteschi usavano la classificazione come modo per separare, dividere e infine dominare. «Il sistema con cui Linneo battezzò animali, piante e minerali deriva interamente dal colonialismo. L’idea era avere un sistema che potesse oggettivare le risorse che il mondo offriva. E il sistema linneano ha trionfato non perché fosse il migliore ma perché l’impero spagnolo l’adottò».

Amitav Ghosh punta il dito contro il net-zero washing, che tanto piace all’Occidente per lavarsi la coscienza di politiche tossiche, anti-ecologiche e estrattiviste; e contro il soluzionismo tecnocratico alla crisi climatica. Nei Paesi ricchi si pensa che la crisi climatica sia una preoccupazione tecnica con effetti economici, mentre in quelli poveri è un problema di disuguaglianza e giustizia: «Se chiede a chiunque in Occidente qual è la posta in gioco con il clima tutti risponderanno che si tratta di ridurre l’impronta di carbonio. Di soluzioni tecniche. Nel Sud globale, se dite a qualcuno cosa pensa di fare al riguardo? La risposta sarà sempre: “Perché dovrei far qualcosa? La nostra impronta pro-capite è ancora piccola rispetto a quella dell’Occidente! Tocca a loro agire. Sono diventati ricchi quando eravamo poveri, a nostre spese. La percezione è di profonda ingiustizia». Per arrivare alla decarbonizzazione necessaria al pianeta c’è solo un modo: «che l’Occidente riduca le emissioni cambiando stile di vita. Fino a quando ciò non accadrà qui, non accadrà da nessun’altra parte. È la cruda realtà». Questo in parte è già realtà in Cina, per esempio, con l’enorme calo della domanda dei consumatori, esattamente come in India perché la gente ancora ricorda come si può vivere in modo frugale. Come ci ricorda Ghosh: «Toccherà agli occidentali imparare a farlo».

 

1 https://www.focus.it/ambiente/animali/8-cose-che-forse-non-sai-sulle-vacche-sacre-in-india#:~:text=Negli%20antichi%20testi%20la%20mucca,la%20giustizia%20e%20la%20salvezza.

2 https://www.corriere.it/pianeta2030/22_novembre_30/amitav-ghosh-tutto-cominciato-il-colonialismo-quando-iniziammo-far-violenza-terra-12422acc-6efc-11ed-9e97-468f31203204.shtml

3 Regione spagnola di frontiera della cristianità durante la Reconquista, all’estremità segnata dal fiume Duero (“Extrema Duris”) da cui partirono le grandi spedizioni coloniali spagnole e portoghesi.

4 Cogito ergo sum alla base del riduzionismo cartesiano

da qui

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