Una ricerca ha sfruttato il lockdown per
capire meglio le abitudini della fauna e trovare modi per mitigare il nostro
disturbo negli ambienti naturali
Nonostante l’esperienza e l’abitudine,
camminare nei boschi periurbani del Trentino nella primavera del 2020 mi ha
portato a percepire un contesto inusuale, quasi irreale. In pieno lockdown, in
quanto ricercatrice, avevo il permesso di monitorare i punti di osservazione
della fauna tramite macchine fotografiche automatiche attivate dal movimento,
le “trappole fotografiche”, senza così interrompere uno studio in corso da
anni.
Quello che mi ha subito colpito era ciò
che mancava: la presenza degli esseri umani, il rumore dei loro spostamenti e
attività. Non potevo non pensare al fatto che le specie del bosco (in
particolare i mammiferi di cui mi occupo, come cervi, caprioli o tassi)
dovevano a maggior ragione aver notato la nostra assenza.
Mentre immagini e video bizzarri di
animali “allo sbaraglio” nelle città – non sempre veritieri – scorrevano sui
mezzi d’informazione ho proposto il tema ai colleghi della Società
internazionale di bio-logging, che
è la tecnologia per lo studio degli animali mediante sensori.
Abbiamo lanciato un’iniziativa globale, la
“Covid-19 bio-logging initiative”, che oggi condivide più di un miliardo di
localizzazioni gps di animali “tracciati” durante quella che abbiamo chiamato
“pausa umana” (anthropause). I dati raccolti
possono aiutarci ad approfondire il rapporto tra essere umano e natura, e la
fauna in particolare. Stiamo cercando di capire se il comportamento degli
animali è influenzato anche dalla presenza umana in quanto tale, oltre che
dalle infrastrutture, come le strade e gli edifici. Le nostre ipotesi
suggeriscono che, in aree di frequentazione antropica, gli animali reagiscono
all’assenza di disturbo “lasciando cadere” alcune delle loro difese, come il
comportamento notturno o la distanza dalle infrastrutture.
A differenza degli aneddoti emersi durante
il lockdown, il nostro impegno è di trovare delle risposte quantitative e
verificate, secondo il metodo scientifico. Stiamo dunque adottando un approccio
sperimentale “controllo-trattamento”, confrontando i movimenti degli animali
tra il 2020 e gli anni precedenti.
Il quadro che emerge è di grande
complessità, con parziale supporto delle nostre ipotesi. Nelle aree di studio
in Trentino, i mammiferi sembrano aver usato aree e risorse più vicine a strade
e contesti umani, ma senza alterare i propri cicli di attività giornaliera,
cioè non rendendosi più visibili nelle ore diurne. Questo sembra indicare che
gli animali reagiscono al disturbo con modalità “plastiche”, ossia reversibili
in assenza di presenza umana, associate ad altre risposte “croniche”, o
maggiormente sedimentate in individui abituati a condividere lo spazio e le
risorse con gli umani.
La prosecuzione di queste ricerche potrà
suggerire misure di mitigazione al nostro disturbo, per esempio nelle aree
protette, nonché aiutare ad affrontare la frequentazione degli ambienti
cittadini da parte di specie “confidenti”, testimoni inconsapevoli di una
disponibilità di spazi selvatici che si assottiglia.
Francesca Cagnacci è ricercatrice
presso la fondazione Edmund Mach di Trento.
C. Rutz, F. Cagnacci et al, Covid-19 lockdown allows researchers to quantify the effects of
human activity on wildlife, Nature Ecology &
Evolution (2020)
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