mercoledì 11 maggio 2022

Un Futuro senza Eni

  

Un Futuro senza Eni

Due anni fa, la pandemia e la conseguente chiusura di diversi settori economici facevano sprofondare il prezzo del petrolio ai suoi minimi storici, lasciando presagire a molti che il destino dell’industria fossile fosse segnato.

Oggi ci troviamo in una situazione apparentemente ribaltata. La guerra in Ucraina, a cui si aggiunge la speculazione sui mercati finanziari, stanno spingendo i listini del gas su livelli mai visti prima, gonfiando i profitti delle multinazionali energetiche.

 

L’ennesima fase emergenziale sta inoltre spianando la strada ad una serie di narrazioni e manovre che rischiano di allontanare l’orizzonte di una giusta transizione. Governo e industria fossile parlano di sbloccare le trivelle, puntare sul carbone e aumentare le forniture di gas da altri paesi del Sud globale. Noi crediamo che sia invece indispensabile iniziare ad immaginare modelli energetici alternativi, che mettano al centro persone e territori, ed interrogarci su come costruirli, a partire da pratiche ed esperienze già esistenti.

Il prossimo 11 maggio si terrà l’Assemblea generale di Eni, la più importante multinazionale italiana. Per il terzo anno consecutivo, i lavori si svolgeranno a porte chiuse, così da consentire a management e azionisti di discutere indisturbati su come investire gli enormi profitti generati in questi mesi di guerra. A partire dallo scorso autunno, Eni ha prodotto ricavi per 200 mila euro al minuto: tendenza che sembra destinata a durare nel tempo.

In un momento come questo, l’ultima cosa di cui sentiamo il bisogno è un raduno di banche e fondi di investimento intenti a ragionare su come sfruttare a loro vantaggio le crisi che stiamo attraversando.

Sentiamo invece l’esigenza di interrogarci su come mettere un punto definitivo al sistema energetico attuale, e porre le basi per costruire modelli più giusti, sostenibili, democratici, e autonomi.

Per questo invitiamo tutte le realtà e persone che condividono questa prospettiva, o vogliano portarne delle altre, ad un confronto su questi temi, il 14 maggio a Roma, presso il LOA Acrobax.

Vorremmo che questa sia un’occasione per comprendere quali siano i costi reali e le implicazioni dell’approccio europeo alla “sicurezza energetica”, e come la crisi in Ucraina rischi di acuire e produrre nuove ingiustizie legate al controllo delle risorse.

Crediamo sia importante connettere tra loro pratiche e visioni di chi resiste contro Eni e l’industria fossile, lungo tutta la filiera estrattiva, dalle trivellazioni in Mozambico o in Val d’Agri, ai gasdotti che dall’Azerbaijan e dal nord Africa arrivano in Puglia e in Sicilia, fino ai poli petrolchimici presenti nel nostro paese. Collegare questi nodi ci sembra cruciale per far emergere una narrazione comune e tessere alleanze in grado di sfidare colossi come Eni.

Oggi che sempre più persone sono costrette alla scelta impossibile tra pagare le bollette e fare la spesa, pensiamo sia fondamentale concepire modelli energetici radicalmente diversi, che si fondino su assunti di giustizia sociale, ambientale, e democraticità. Esperienze come quelle delle comunità e cooperative energetiche, nonché delle realtà che praticano risposte politiche alla povertà energetica, sono esempi preziosi di come sia possibile costruire collettivamente modelli più giusti.

Le domande e i dubbi sono tanti e complessi. Cosa intendiamo per controllo democratico? È possibile sottrarre il controllo delle risorse a multinazionali come Eni? Qual è la nostra idea di sicurezza energetica e i principi di un modello energetico più giusto? È sufficiente sostituire una fonte energetica con un altra? Quali alleanze vogliamo tessere e di quali strumenti abbiamo bisogno?

Solo una cosa è certa: il sistema energetico attuale continuerà a produrre ingiustizie, e smantellarlo è il primo passo per farne emergere di nuovi…

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Clima, Greenpeace e ReCommon: «ENI continua a investire su un futuro fossile, peggiorando la crisi climatica in corso»


– Malgrado gli annunci e i numerosi tentativi di pubblicizzare una sua fantomatica svolta green, ENI continuerà di fatto nei prossimi anni ad avere al centro del proprio business gas fossile e petrolio. È quanto denunciano Greenpeace Italia e ReCommon alla vigilia dell’assemblea degli azionisti di ENI, che ancora una volta si terrà a porte chiuse e senza azionisti, impedendo la possibilità di dibattito su scelte strategiche importantissime in un momento storico così delicato.

Secondo quanto contenuto nell’analisi della strategia di decarbonizzazione di ENI al 2050 – pubblicata dall’autorevole associazione francese Reclaim Finance, in collaborazione con ReCommon e Greenpeace Italia – i piani del Cane a sei zampe non sono in linea con quanto richiesto dagli scenari net zero dell’IPCC e dell’Agenzia Internazionale dell’Energia per limitare l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 gradi Celsius ed evitare gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici.

ENI infatti nel breve termine continuerà ad aumentare la propria produzione di petrolio e gas fossile, che sarà superiore di circa l’8% rispetto ai livelli del 2016, e “consumerà” entro 2030 il 71% del budget di carbonio che le è stato assegnato dai modelli scientifici. Inoltre, nel 2035, l’intensità carbonica delle sue attività sarà superiore del 21% rispetto a quanto consentito.

«Eni continua a fare greenwashing e nasconde l’aumento delle sue emissioni con soluzioni fasulle come la cattura e lo stoccaggio di CO2, che fino ad ora non ha mai funzionato, oppure schemi di offsetting forestale che, seppur attivi da decenni, non hanno protetto le foreste che continuano a degradarsi», dichiarano Greenpeace Italia e ReCommon. «L’ultima perla che abbiamo ascoltato è la bufala della fusione nucleare, spacciata come disponibile nel prossimo decennio, a dispetto delle affermazioni degli esperti del settore che non la ritengono praticabile prima del 2060».

Per denunciare l’impatto dell’azienda sul clima del Pianeta, attivisti e attiviste di Greenpeace questa mattina hanno aperto uno striscione con il messaggio “ENI killer del clima” nei pressi dello storico stabilimento del Cane a sei zampe a Porto Marghera. Solo pochi giorni fa, infatti, la Commissione per i diritti umani delle Filippine (CHR) ha pubblicato un’indagine pluriennale su 47 società – tra cui proprio ENI – sui danni associati alle violazioni dei diritti umani che derivano dai cambiamenti climatici di cui queste compagnie sono responsabili.

Il rapporto della commissione filippina stabilisce una solida base per affermare che le attività commerciali distruttive per il clima delle compagnie di combustibili fossili e del cemento sono una minaccia per i diritti umani. Questi colossi non possono dunque continuare a violare i diritti umani e anteporre il loro profitto alla sicurezza delle persone e del pianeta.

L’indagine del CHR è partita nel 2015, quando i sopravvissuti ai violentissimi tifoni che si erano abbattuti sull’arcipelago delle Filippine hanno presentato, insieme a diversi esponenti della società civile (tra cui Greenpeace South Asia), una denuncia proprio alla Commissione per i diritti umani di Manila contro i grandi inquinatori, accusati di provocare cambiamenti climatici catastrofici, violando così i diritti umani.

«Insieme a chi ha aderito a questa iniziativa, chiediamo al nuovo governo filippino e ai leader mondiali di adottare le conclusioni della Commissione, ritenendo i grandi inquinatori responsabili degli impatti dannosi per il clima derivanti dalle loro attività commerciali», ha dichiarato Yeb Saño, Direttore Esecutivo di Greenpeace Sud-Est asiatico.

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