Sono arrivato a Nuoro circa 25 anni fa, in questi anni ho assistito a una spaventosa crisi che anno dopo anno ha ridotto il capoluogo barbaricino a una cittadina che sopravvive solo grazie al settore terziario.
Gli uffici, le scuole, ciò che rimane dell’ospedale,
qualche banca, i dipendenti pubblici e privati tengono ancora in piedi questa
piccola città che ha sfornato negli anni personalità di livello nazionale e
internazionale e che ha contribuito non poco a dare lustro all’Italia intera.
Eppure adesso tutti i settori: economico, sanitario, culturale ecc. annaspano e
sopravvivono solo grazie alla volontà di pochi coraggiosi che nei diversi
ambiti si rifiutano di accettare l’idea che ormai non ci sia nulla da fare e
che sarebbe meglio abbandonare al proprio destino quella che un tempo fu
definita, a ragione, l’Atene sarda.
L’economia nuorese è caratterizzata da centinaia di
chiusure di attività commerciali di ogni genere, è sufficiente farsi una
passeggiata per le vie del centro per rendersi conto del deserto economico che
si sta espandendo inesorabilmente, dove c’era una florida libreria sempre piena
di gente che con la testa china sui libri sceglieva con gioia e interesse cosa
leggere adesso ci sono saracinesche abbassate ormai arrugginite; l’elegante
esercizio di abbigliamento nel quale era possibile acquistare un bel vestito e
nel frattempo socializzare con il simpatico negoziante che tra una battuta e
l’altra sapeva consigliarti il capo che meglio si poteva adattare alle tue
esigenze ora non è più nulla e il cartello affittasi si è ormai ingiallito; la
bella concessionaria nella quale si entrava spesso solo per ammirare i nuovi
modelli di automobili, oramai ha chiuso i battenti da tempo.
L’aspetto più deprimente di tutto ciò è che al posto
di queste e tante altre attività che non posso per motivi di spazio citare in
questo articolo, al posto loro, dicevo, non c’è più nulla, solo luoghi chiusi e
abbandonati che fanno stringere il cuore pensando agli esercenti e ai loro
dipendenti che fino a qualche anno fa contribuivano a rendere vitale il tessuto
economico della città. La cosa però che mi colpisce di più è la rassegnazione
con la quale tutti noi che abitiamo qui accettiamo questo stato di cose.
Dall’economia alla tutela della salute, la situazione peggiora e ciò sembra
impossibile da credere. Negli ultimi anni abbiamo assistito all’attacco più
duro e nefasto alla sanità nuorese, reparti d’eccellenza che vengono chiusi,
medici che vanno in pensione e non vengono sostituiti, liste d’attesa per le
visite specialistiche che pretendono di far aspettare per anni tante persone
che avrebbero bisogno urgentemente di una visita.
E anche in questo caso si potrebbe continuare per ore
nell’elenco del disfacimento della sanità pubblica nuorese. Ma anche in questo
caso si rimane allibiti soprattutto per il modo in cui ormai se ne parla in
città, ancora con rassegnazione come se si trattasse di un evento ineluttabile
al quale ormai non ci si può più opporre. Vogliamo parlare della situazione
scolastica nel nuorese? Parliamone, nei piccoli centri le scuole chiudono
costringendo i bambini che vivono in quei luoghi a lunghi viaggi mattutini in
vecchi scuolabus per raggiungere la scuola più vicina. A Nuoro gli accorpamenti
selvaggi dei diversi istituti incidono notevolmente sulla qualità dell’istruzione.
I ragazzi a scuola pur riconoscendo lo sforzo e la dedizione della maggioranza
degli insegnanti che operano in questi territori non vedono l’ora di scappare
via consapevoli di vivere in un luogo che muore ogni giorno e non gli lascia
nessuna possibilità per pensare a costruire un futuro in queste terre. Leggo
nei loro occhi ancora tristezza e rassegnazione, non vorrebbero andare via, ma
non hanno alternative, cos’altro possono fare?
Lavoro, sanità, scuola i capisaldi della democrazia, i
settori che determinano la civiltà di una nazione, nel nuorese sono sotto
attacco da anni. “Ci siamo opposti per anni a questa sciagurata azione di
smantellamento” – mi dicono tante persone che vivono a Nuoro e che hanno
militato in associazioni, partiti, sindacati che negli ultimi anni ho ascoltato
con attenzione – “adesso non ce la facciamo più, siamo esausti, cerchiamo di
salvare il salvabile, per il resto non sappiamo più cosa fare”. Rassegnazione,
ancora rassegnazione anche dove questa parola dovrebbe essere bandita poiché se
alzano bandiera bianca le forze sociali allora significa che ci troviamo di
fronte a un fenomeno irreversibile. Certo ciò non accade solo nel nuorese,
tutte le aree interne italiane stanno subendo lo stesso destino, ma nel centro
Sardegna la situazione è ancora più critica perché si tratta di un territorio
che è un’isola dentro l’isola abbandonata da anni dal governo di Roma.
Come siamo arrivati alla rassegnazione generalizzata,
come è stato possibile che l’unica provincia, la Stalingrado sarda, che ha
sostanzialmente resistito al dilagare nell’isola della sciagura leghista e
della destra antidemocratica adesso si ritrovi a fare i conti con il peggior
nemico del cambiamento, la rassegnazione. Il fatto è che il nostro avversario,
il capitalismo selvaggio e arrogante è sempre più forte e pervasivo e ha
approfittato in maniera astuta dell’arretramento della sinistra italiana su
posizioni di neocentrismo ben rappresentate dal PD e dal renzismo.
D’altro canto quella che si definisce, a torto o a
ragione, la sinistra autentica, non sa fare altro che arroccarsi su posizioni
parcellizzate per cui ci ritroviamo, ad esempio, ad avere dieci partitini
comunisti divisi e litigiosi e non riusciamo a far rinascere una grande forza
politica autenticamente socialista che possa opporsi con forza, come faceva un
tempo, con tutti i suoi limiti, il vecchio PCI, alla devastazione della
democrazia e, dunque, allo smantellamento della vita sociale, economica e
culturale nelle zone svantaggiate dell’interno della nostra isola e dell’Italia
intera.
Intanto, al momento, in attesa che succeda qualcosa di
straordinario, la storia c’insegna che ciò spesso accade, resisto, resisto con
tutte le mie forze alla rassegnazione!
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