Scientist Rebellion è un movimento che
unisce gli attivisti climatici e ambientalisti legati al mondo della scienza.
Ad aprile hanno portato avanti numerose azioni di disobbedienza civile
Extinction Rebellion è
uno dei movimenti emersi con maggior forza negli ultimi anni, tra quelli che
portano in piazza la lotta alla crisi climatica, spesso con simboliche azioni
di disobbedienza civile. Il nome significa “Ribellione all’estinzione”: si riferiscono
all’estinzione di massa causata dalle attività umane, ma si intuisce che si
parli anche dell’estinzione della vita umana stessa, sotto i colpi delle
proprie azioni inquinanti, climalteranti e distruttive.
Da XR (come viene accorciato il nome del
movimento) deriva Scientist
Rebellion, che riunisce gli attivisti legati in qualche modo alla
scienza e alla ricerca. Nelle scorse settimane sono state organizzate una serie di
azioni in diverse città italiane (e nel resto del mondo): su
Cominciamo Bene, trasmissione di RBE,
è stato raggiunto uno degli attivisti, Elia Valentini, e intervistato in onda.
Scientist Rebellion, ci ha spiegato,
nasce perché si è capito quanto fosse «importante avere gli scienziati
coinvolti nella disobbedienza civile, lo strumento principale di lotta di
questo movimento». Non c’è, volutamente, una precisa gerarchia: entrambi i
movimenti sono costruiti in modo orizzontale, senza leader: ci si basa, spiega
Valentini, su gruppi di lavoro, in un clima di fiducia. Per quanto riguarda SR,
non c’è la richiesta stringente di essere parte del mondo della ricerca: «come
per tutti i movimenti, gli allies [gli alleati] possono fare
bene. Ci sono molti ruoli da ricoprire, non solo per la comunicazione ma anche
per l’amministrazione».
Vista la natura delle azioni dei gruppi,
meno orientate a cortei e più ad azioni di disobbedienza civile, Valentini
sottolinea che è ben presente il rischio di arresto (è successo anche
in questi giorni). Ma «ci sono azioni definite ad alto rischio o
basso rischio». Ci sono ad esempio attività legate alla comunicazione, chiamate
“teach out”, dove si comunica la scienza «in maniera quasi teatrale e
artistica per aiutare le persone ad avvicinarsi ai contenuti». Oppure, si
affiggono poster legati alla causa. Valentini però precisa che il movimento
mira ad aumentare le azioni ad alto rischio, quelle che «creano frizione con il
sistema e in ultima analisi sono le più efficaci per produrre un cambiamento».
L’attivista che, singolarmente, è stata
maggiormente al centro dell’attenzione mediatica e politica è Greta Thunberg,
che è l’originatrice di un altro ampio movimento, quello dei Fridays
For Future. Ma alcuni degli argomenti che sono stati utilizzati, negli
anni, per criticarla, riguardano proprio la scienza. Ad
esempio, visto la sua giovane età, viene spesso invitata a non
perdere momenti importanti di studio (la sua protesta prevede di scioperare
ogni venerdì) e di seguire invece un percorso scolastico che la porti a
risolvere, da adulta, i problemi del pianeta.
Sono molte le fallacie di questo
ragionamento. In primis, l’idea che la crisi climatica possa risolversi con
formule magico-scientifiche, invece di un radicale cambiamento dello stile di
vita e delle società attuali: una questione cioè che riguarda la politica, più
che la tecnica. Non meno fuori luogo sono le tempistiche immaginate, visto che
è proprio il mondo scientifico a dirci con forza che non bisogna aspettare
neanche un minuto per agire.
Data la natura di Scientist Rebellion,
abbiamo chiesto a Valentini che cosa pensasse di questo tipo di critiche. «È
uno dei tanti tentativi di delegittimazione dell’interlocutore, piuttosto che
entrare nel merito dei contenuti». Soprattutto, dice, niente esclude che una
persona segua entrambe le strade: studiare da ricercatrice la crisi climatica,
e al contempo scendere in piazza per porre l’accento sul problema. Sono inoltre
gli stessi ricercatori a lanciare l’allarme sul clima, anche quando non
prendono parte a movimenti di protesta. L’IPCC, il Gruppo
intergovernativo sul cambiamento climatico che produce le
ricerche sulle quali si basano, ad esempio, le conferenze COP, è composto da
scienziati di tutto il mondo, che, nota Valentini, riflettono il consenso
dell’ambito scientifico riguardo alla responsabilità umana della crisi
climatica ormai da decenni.
«Non tutti gli scienziati sono su
posizioni come la nostra, anche per motivi personali o per timori di essere
arrestati o perdere il lavoro» specifica Valentini, riferendosi all’attivismo e
definendo legittimi questi timori. Ma, aggiunge, «non dobbiamo dimenticarci che
abbiamo un’enorme responsabilità morale: se diciamo che c’è un’emergenza e poi
non facciamo nulla, il pubblico qualche dubbio se lo può far venire, e pensa
che la situazione non sia così grave».
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