La Sardegna è in pericolo. È sotto attacco, non ci sono più dubbi. Ed è la vittima
della degenerazione più estrema e paradossale di un tema nato sano, ossia
l’ambiente e la sostenibilità, ormai trasformato in una minaccia devastante.
Sorretto dall’ideologia “green” combinata con la dismisura
delle locuste finanziarie, sta prendendo forma un assalto speculativo volto a
deturpare per sempre l’intero paesaggio della Sardegna.
Navi cariche di mastodontiche turbine eoliche stanno approdando con la
stessa minacciosa imponenza metallica dei carichi di missili e blindati che vediamo
nei porti polacchi con destinazione Ucraina. Non è un caso: la logistica di chi
vuole controllare un territorio in modo integrale tende ad assomigliarsi, e gli
strateghi che la comandano hanno lo stesso set di pensiero, spesso gli stessi
conti correnti. Passano per le stesse porte girevoli di Davos. Perciò i lunghi
carichi di eliche e di torri d’acciaio appaiono con lo stesso lugubre
impilaggio di una batteria missilistica da portare al fronte. Ma qui il fronte
siamo noi. È una guerra al nostro paesaggio e al nostro respiro.
Sbarchi segreti e strategie occulte
Le acque del porto di Oristano in questi giorni hanno
visto l’arrivo della “Uhl Frontier”, una nave che, nonostante tentasse un
arrivo di soppiatto, non ha potuto nascondere la verità del suo carico:
gigantesche pale eoliche, preludio di un’invasione programmata.
Le foto pubblicate da L’Unione Sarda sono molto chiare.
Questo movimento non solo nasconde operazioni di grande portata, ma rappresenta
la punta dell’iceberg di una strategia più ampia e inquietante.
È l’avanguardia ormai visibile di una cosa a cui forse per abitudine non
volevamo credere fino in fondo, nonostante fosse annunciata nei documenti
denunciati da tanti sindaci esposti alle carte del Sacco della Sardegna.
Nessuno, prima che arrivi la guerra, riesce a immaginarla davvero nella sua
esatta portata. Ora è impossibile non vedere, non sapere, non sentire la
minaccia con una prossimità che scandisce ormai i minuti.
Una disparità allarmante
La Sardegna si trova nel mirino di speculatori energetici, con progetti
eolici che superano di sei volte la media nazionale in termini di richieste di
connessione. A fronte di una potenza complessiva progettata di 58
Gigawatt per la sola Sardegna, l’isola si confronta con una realtà
nazionale che vede regioni come la Sicilia e il Friuli Venezia Giulia fermarsi
rispettivamente a 16,8 (non pochi comunque) e 1,2 gigawatt. La Lombardia (che è
la regione industriale e popolosa che sappiamo) è destinataria di progetti che
sono quaranta volte più piccoli dell’attacco alla Sardegna.
L’Isola verrebbe trasformata in una colonia estrattiva da cui
ricavare un volume di energia sufficiente a coprire i bisogni di più di 50
milioni di individui. La Spagna intera. O la Corea del Sud. O l’Argentina e
l’Uruguay insieme. Una disparità che grida vendetta e solleva dubbi su chi
realmente beneficerà di questa energia in surplus. Non certo la popolazione
locale, che dovrebbe svendere l’intera sua storia a un brutale sfruttamento del
suolo, dell’aria, delle connessioni sociali a un potere soverchiante che usa
l’orripilante stile estrattivo di un qualsiasi Congo belga.
Violazioni e impatti irreversibili
Il caso che riguarda la Basilica di Saccargia è emblematico: turbine
alte come grattacieli minacciano di deturpare il contesto di un
monumento storico meraviglioso, per non parlare dello sfregio sistematico e
senza remore del paesaggio nuragico, così come di ogni altro bene identitario.
Centinaia di torri da duecento metri destinate a spossessare ogni pezzo
dell’anima che lega insieme popolo, cultura e natura: un genocidio volto a
sopprimere nel tempo brevissimo di un blitz militare qualsiasi indipendenza
economica e morale di una comunità in declino, alla quale si vuole infliggere
il colpo di grazia.
Un’isola come questa è un mondo, ed è un mondo che sarà presto inghiottito
e dimenticato nei flussi digitali delle borse occidentali. La decisione di
proseguire, nonostante i pareri contrari, è stata forzata attraverso un sistema
di cavilli, società opache, scatole cinesi, che si piega inesorabilmente ai
desideri delle corporazioni con sovrana indifferenza rispetto ai bisogni dei
cittadini e con totale emarginazione degli enti territoriali.
Il profitto dietro il “progetto”
Un singolo impianto eolico da 1 megawatt può generare fino a 150.000 euro
annui in incentivi. Con una capacità totale che promette ritorni finanziari
superiori agli 8 miliardi di euro, è chiaro che la spinta verso
l’eolico in Sardegna è solo la caricatura grottesca di un’iniziativa “verde”
mentre appare più una corsa all’oro moderna, un Far West senza epica, una
brutale invasione condotta a spese dell’ambiente e della collettività.
La ribellione dell’Isola
Siamo appena agli inizi. Le comunità sarde non staranno a guardare. La
reazione popolare spinge a mobilitazioni e richieste di moratoria. La Giunta
regionale intervenga decisamente per impedire che il patrimonio di questa terra
sia sacrificato sull’altare della speculazione energetica. Questo è il momento
di ascoltare la voce dei cittadini. Gli speculatori hanno nel frattempo
mobilitato i più agguerriti studi legali. Sono preparati a ripetere anche qui
le tante storie di malagiustizia in cui i padroni universali si sdraiano sulla
sfera pubblica. Draghi, in nome delle semplificazioni, aveva creato il contesto
giuridico per favorire lo stupro dei territori. A un tentativo di stupro si
reagisce difendendo i nostri corpi. Poi andranno fatti anche i conti con le teste
dei tiranni.
In che direzione va l’energia? Il caso Thyrrenian Link
Comitati locali e molti cittadini sardi segnalano con forza il caso del
“Tyrrhenian Link”. Questo super cavo elettrico è parte di un progetto
infrastrutturale che mira a migliorare la distribuzione dell’energia tra la
Sardegna e il continente, in entrambe le direzioni. I comitati si sono
mobilitati contro l’approdo di tale infrastruttura a Terra Mala, esprimendo
timori per l’impatto ambientale e paesaggistico che potrebbe derivare dalla
realizzazione di questi grandi interventi energetici. La comunità locale ha
chiesto un incontro con la presidente della Regione per discutere gli sviluppi
ulteriori. Il tema è chiaro: se soltanto in eolico si sta progettando una
potenza che alimenterebbe una Corea, e se si uniscono i terrificanti campi
fotovoltaici che sloggeranno gli agricoltori impoveriti e aggiungeranno altri
stupri paesaggistici, allora la direzione dell’energia elettrica va in una sola
direzione. E anche la direzione dei benefici. Il sospetto è che il cavo sia lo
sbocco finale e definitivo di quella specie di sbarco militare che per ora
vediamo al porto di Oristano.
L’equivoco di fondo sulle rinnovabili
C’è una considerazione più di fondo. I grandi campi eolici e fotovoltaici,
nel funzionare come megacentrali, rischiano di centralizzare il controllo
dell’energia nelle mani di pochi, allontanandosi dall’ideale di un sistema
energetico democratico e accessibile a tutti. Questo modello limita la
partecipazione di piccoli produttori e comunità, che invece potrebbero trarre
grandi benefici da impianti di piccola e piccolissima scala, distribuiti su
tutto il territorio.
I sistemi decentralizzati trasformano ogni edificio, dalle case agli
uffici, in una mini-centrale energetica autonoma, riducendo la dipendenza da
infrastrutture remote e massicce, oltre a minimizzare le perdite energetiche
dovute al trasporto su lunghe distanze. L’integrazione con le smart grid, o
reti intelligenti, potenzia ulteriormente questo approccio, ottimizzando il consumo
e la condivisione di energia in base alle effettive necessità, rendendo il
sistema più efficiente e sostenibile.
Abbracciare questa visione significa non solo promuovere l’efficienza, ma
anche sostenere l’autosufficienza, l’innovazione locale e un futuro energetico
più equo e sostenibile per tutti.
L’assalto alla Sardegna se ne frega di questo approccio autenticamente
ambientalista, perché il green che si vuole imporre è quello del modello Davos,
del World Economic Forum: autoritario, opaco, verticale, distruttivo. Se
elimini contadini e popoli dai loro suoli, rendi vile il prezzo dei beni
agricoli, ma avrai tanta energia che vanterà una falsa decarbonizzazione per
produrre cibi scadenti, sbobbe per nuovi poveri. Il nuovo totalitarismo passa
anche da questo.
Democrazia o tritolo
È imperativo che la Sardegna riscopra il potere di una pianificazione
consapevole ed equilibrata. Le decisioni future devono bilanciare le
possibilità della tecnologia e l’integrità del patrimonio, garantendo che
l’energia prodotta serva veramente le necessità dell’isola e non quelle di
entità che hanno il cuore in chissà quale fondo d’investimento. Servirà una
grande forza democratica. Altrimenti vincerà il tritolo, se non saranno date
altre scelte.